Il Miele

Pubblicazione: 17 Maggio 2016

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Giornata Nazionale del Miele

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Ambasciatrice Susanna Canetti  per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

Viaggio immaginario dentro l’alveare

Fin dai tempi antichi scienziati e poeti si sono interessati alle api e al loro dolce prodotto, ma quale istinto guida l’ape tra i fiori, quale misteriosa forza della natura induce questo piccolo insetto, così fragile eppure così efficiente, a compiere il miracolo di trasformare le poche gocce di nettare prodotte da un fiore in un alimento tanto buono e prezioso?
Per trovare una risposta proviamo a chiudere gli occhi, a immaginare di diventare piccini piccini, e di seguire l’ape nel suo volo fino dentro l’alveare, lasciandoci trasportare dalla curiosità per questo mondo così affascinante, e dal desiderio di vivere la natura dal suo interno. Ci uniamo allora al volo di numerose altre api che, convergendo da diversi punti del prato, sembrano imboccare un invisibile, eppure reale, corridoio aereo, che le convoglia in un fiotto sempre più denso, verso l’ingresso dell’arnia. Improvvisamente sentiremo un profumo caldo e penetrante diffondersi nell’aria, e tracciare una specie di corsia preferenziale. All’entrata dell’alveare, per prima cosa dovremo abituarci all’oscurità, e accodarci alle miriadi di api cariche di nettare. Ci troveremo quindi all’interno di un organismo perfettamente sincronizzato, dove troveremo api dedite a compiti di pulizia, costruzione delle cellette esagonali, nutrizione delle giovani larve e immagazzinamento delle provviste. Vedremo le api più anziane, le bottinatrici, che dopo aver raccolto il nettare dai fiori tornano all’alveare e, superato il controllo olfattivo da parte delle api guardiane, trovano ad attenderle le giovani api magazziniere, pronte a liberarle dal nettare, che andranno a depositare nelle celle di cera ancora vuote: servirà più di un mese per trasformarlo in miele. Ad un certo punto, confinata nella parte più buia, osserveremo un’ape più grande di tutte le altre, timida ed ombrosa, intenta a deporre uova, in una specie di travaglio perpetuo: la regina. La sua vicinanza, grazie a particolari feromoni, ci infonderà una profonda sensazione di benessere, e ci spronerà a seguire il nostro istinto, perpetuando il grande ciclo dell’alveare e del miele. E’ lei la forza unificatrice della colonia, senza di lei la comunità sarebbe triste e malinconica, e lasciata a sé stessa finirebbe per morire.

Il miele, quindi, non nasce per caso, ma è il risultato di un processo molto complesso, su cui influisce l’ambiente nel quale operano le api.

L’ape è un insetto dell’ordine degli imenotteri, famiglia degli apidi, razza ape mellifera ligustica, meglio conosciuta come ape italiana, considerata la più produttiva fra le varie razze, perché molto laboriosa e mansueta, tanto da essere stata diffusa in tutto il mondo. Le api vivono in famiglie numerosissime, formate da alcune migliaia di individui, tutti figli della stessa madre. Durante la buona stagione le api bottinatrici si dedicano alla raccolta delle provviste alimentari, le quali, dovendo sfamare l’intera famiglia anche nei periodi freddi o di maltempo, devono avere la caratteristica di non alterarsi nel tempo. Il miele risponde in pieno a tale esigenza: la sua conservabilità, infatti, è dovuta all’alta concentrazione di zuccheri, superiore all’80%, percentuale tanto elevata da impedire qualsiasi alterazione.

Le principali fonti di approvvigionamento sono il nettare, che è prodotto dalle piante da fiori, e la melata, che è un derivato della linfa degli alberi, prodotta da alcuni insetti succhiatori, che la trasformano trattenendo l’azoto ed espellendo il liquido in eccesso ricco di zuccheri. Per le piante, il nettare serve ad attirare vari insetti impollinatori, allo scopo di assicurare la fecondazione dei fiori. A seconda della loro anatomia, e in particolare della lunghezza della proboscide (detta ligula), le api domestiche possono raccogliere il nettare solo da alcuni fiori, che sono detti appunto melliferi.  Partendo dal nettare o dalla melata, che sono sostanze zuccherine ricche di acqua, ne eliminano l’eccesso di umidità, le concentrano e le arricchiscono con gli enzimi da loro prodotti, fino ad ottenere il prezioso miele. Nel girovagare tra i fiori l’ape svolge anche un’ importante funzione botanica: introducendosi nel fiore per succhiare il nettare viene a contatto con il polline. Questa polverina resta attaccata al suo corpo, e quando andrà a visitare altri fiori dello stesso tipo favorirà la fecondazione incrociata delle piante, che darà origine a frutti migliori rispetto a quelli che si otterrebbero con l’autoimpollinazione, ossia quando il polline di un fiore penetra nel suo stesso ovario. L’impollinazione è un importante servizio che le api offrono all’ambiente e all’agricoltura.

Di pari passo alla raccolta da parte delle bottinatrici, aumenta l’attività della regina, che depone numerose uova, dalle quali nasceranno le nuove api operaie, femmine sterili che, a seconda della loro età, svolgeranno diversi compiti: spazzine, nutrici, pulitrici, costruttrici dei favi, magazziniere, sentinelle e infine bottinatrici. I maschi, invece, chiamati fuchi , hanno il solo ruolo di fecondare le regine, e vengono allevati dalle api nutrici soltanto nei periodi dell’anno in cui è necessaria la loro presenza: assolto il loro compito muoiono.

Il miele nell’antichità

Presso le più antiche civiltà il miele era considerato un prodotto di pregio, tanto che, unitamente all’ape che lo produceva, era ritenuto di origine “sacra”. Gli antichi erano convinti che il miele venisse giù dal cielo come la rugiada e si posasse sulle foglie e sui fiori, da dove le api lo raccoglievano, mentre si pensava che la cera stilasse direttamente dalle piante.

Gli uomini primitivi, che avevano intuito la sua dolcezza e  prelibatezza, andavano alla ricerca degli alveari, proprio perché lo consideravano come un qualsiasi altro cibo idoneo alla loro sussistenza. La più antica testimonianza dell’uso del miele da parte dell’uomo risale a 9000 anni or sono, ed è rappresentata da una pittura rupestre scoperta in Spagna, la quale sembra mostrare un uomo che si arrampica sulla cima di una rupe, circondato da api in volo, e dotato di una cesta per riporvi i favi. Questa tecnica primordiale è ancora oggi utilizzata dai “cacciatori di miele” in India, che si arrampicano con scale di corda su rupi alte anche 100 metri. Probabilmente furono gli Egizi i primi a capire l’importanza di offrire alle api un luogo in cui costruire l’alveare, e ciò è dimostrato dalle immagini incise in alcuni bassorilievi del 2400 a.C., nei quali si nota l’operazione di prelievo dei favi dagli alveari con l’uso del fumo. Nacquero così le prime arnie fatte di rami, canne intrecciate e argilla, con forma cilindrica. Gli Egizi utilizzavano il miele a scopo terapeutico come componente di diversi unguenti, e gli attribuivano anche un forte valore rituale: veniva infatti depositato nelle tombe dei faraoni come cibo indispensabile per il viaggio nell’oltretomba. Il miele era conosciuto e apprezzato da tutti i popoli dell’area mediterranea, e di quella egeo-anatolica, e in molte di queste l’apicoltura, intesa come attività organizzata ben distinta da quella di “cacciatore di miele”, era praticata almeno dalla seconda metà del 2000 a.C.. I Greci conferivano al miele una componente divina, tanto da considerarlo il cibo degli Dei. Lo credevano inoltre un potente elisir di giovinezza, e lo somministravano regolarmente agli atleti che concorrevano ai Giochi Olimpici.
Aristotele fu il primo a studiare scientificamente le api, e nel trattato “De Generatione Animalium” avanzò una prima ipotesi sulla formazione del miele: “il miele è una sostanza che cade dall’aria, specialmente al sorgere delle stelle e quando si incurva l’arcobaleno, l’ape lo porta da tutti i fiori che sbocciano in un calice, essa bottina i succhi di questi fiori con l’organo simile alla lingua”. Sino al termine del Medioevo i suoi scritti rappresentano l’unica fonte autorevole sull’argomento. Nell’antica Roma troviamo importanti studi sulle api e sull’apicoltura. Plinio il Vecchio pubblica nel 79 d.C. la “Naturalis historia” dove si legge: “Il miele viene dall’aria, alla mattina presto le foglie degli alberi si trovano coperte di gocce di miele. Sia che si tratti del sudore del cielo, o di una specie di saliva delle stelle, o dell’umidità prodotta dall’aria che purga se stessa, cionondimeno porta con sé il grande piacere della sua natura celeste”. Virgilio, apicoltore e poeta, nelle “Georgiche” tratta dell’organizzazione dell’apiario e della flora apistica; questo documento rappresenta il primo vero trattato di apicoltura. Fino al Cinquecento la conoscenza sulle api rimarrà bloccata a questo primitivo e spesso mitologico livello; bisognerà arrivare alla seconda metà del XVII secolo per avere una formulazione del processo di trasformazione del nettare in miele, da parte del microscopista danese Swammerdam, e solo nell’Ottocento la chimica organica fornirà un’esatta spiegazione del fenomeno.

Nascita ed evoluzione dell’apicoltura

L’uomo preistorico, nomade e cacciatore, una volta scoperto il miele iniziò ad uccidere le api per depredarle del loro alimento. Divenuto in seguito stanziale (agricoltore e allevatore), iniziò a comprendere fra le sue produzioni anche quella del  miele.

Le api, dopo essere diventate oggetto di allevamento da parte degli antichi agricoltori, divennero un privilegiato argomento di studio da parte dei primi naturalisti. Scienziati, poeti e scrittori iniziarono a parlare del magico mondo delle api, e a divulgare le tecniche per un’apicoltura sempre più produttiva e redditizia. In Egitto, Grecia e Roma si cominciarono a costruire degli alveari artificiali. Gli sciami naturali venivano catturati ed alloggiati in alveari di legno, terracotta, paglia impastata con il fango, o sughero, ma spesso le api venivano uccise per raccogliere il miele. Solo a partire dalla metà dell’Ottocento, importanti studi ed invenzioni modificarono le sorti delle api e dell’apicoltura, come la grande scoperta dello spazio-ape, lo spazio fisso di 9 mm che le api lasciano per distanziare le loro costruzioni, e permette il passaggio di due api simultaneamente. Ciò portò nel 1851 alla messa a punto dell’arnia moderna a favi mobili, che consentiva di visitare l’arnia estraendo semplicemente i favi, e che fu la base di un’apicoltura razionale e moderna. Nel 1865 si perfezionò lo smielatore centrifugo, capace di estrarre il miele senza distruggere i favi.

L’apicoltore conosce la natura ed il comportamento delle api, le asseconda per aumentare la produzione, ma fondamentalmente sfrutta l’istinto di questo insetto ad accumulare scorte di miele, prelevandone poi la parte eccedente per sé. In primavera, quando le fioriture sono più intense, l’apicoltore aumento lo spazio a disposizione della famiglia, sovrapponendo all’arnia il melario, ossia il magazzino destinato a contenere il miele per l’alimentazione umana. Nel melario si completa la trasformazione del nettare in miele, grazie all’azione combinata del calore, che fa evaporare l’umidità residua, e delle api, che creano una corrente d’aria all’interno dell’alveare muovendo le ali ed eliminando così il vapore. Si calcola che per produrre un kg di miele siano necessari cinquantamila viaggi di bottinatrici, oltre a tutto il lavoro di trasformazione e maturazione. Una volta che i favi sono pieni di miele, completato il processo di concentrazione, le api chiudono le celle con un velo di cera, detto opercolo. A questo punto, l’apicoltore sa che il miele può essere prelevato. Quindi toglie i favi dal melario, allontana le api con il soffiatore, e li porta nel suo laboratorio, dove verranno introdotti nello smielatore centrifugo per l’estrazione del miele, e infine li restituisce alle api per il raccolto successivo.

La danza delle api e la nascita delle varietà di miele

 L’ape che ha trovato un luogo ricco di nettare, ne comunica la posizione alle compagne con una danza, fatta di movimenti rettilinei e curvi. Questo comportamento le porta ad essere fedeli, finché possibile, ad una stessa fioritura. Quindi, lo stesso comportamento che garantisce l’impollinazione alle specie botaniche, permette all’apicoltore di selezionare miele monoflora. Quando un’ape trova una sorgente nettarifera interessante, al ritorno all’alveare inizia una specie di danza, attraverso la quale comunica alle altre api la direzione da seguire e la distanza da percorrere per trovare la fioritura. Il nettare trasportato dalla bottinatrice viene annusato e assaggiato dalle altri api, in modo tale da poterlo riconoscere tra i vari fiori. Lo stesso comportamento avranno tutte queste api al ritorno dai loro viaggi, che eseguiranno la medesima danza, dando luogo ad una specie di catena figurata. Se la fioritura durerà abbastanza a lungo da riempire il melario, avremo miele con caratteristiche organolettiche (colore, profumo, sapore) costanti, e con particolari proprietà nutritive: questo è il miele monoflora, di origine botanica definita. Quando invece la fioritura cessa di fornire nettare prima che il melario sia pieno, le api si troveranno obbligate a visitare altre specie botaniche: si avrà così il miele poliflora o millefiori. Per la selezione del più pregiato miele monoflora, l’apicoltore deve conoscere il territorio sul quale operano le api, conoscere le essenze vegetali presenti e sapere quali fiori sono fonte di nettare. Nel caso di avverse condizioni climatiche, che ostacolano il lavoro delle api, il melario non verrà riempito, e in quell’annata non avremo produzioni di quel particolare miele. Per favorire la produzione di mieli monoflora, gli apicoltori possono contare su una tecnica chiamata nomadismo, che consiste nello spostare le arnie per seguire le varie fioriture. Il nomadismo richiede molti sacrifici e fatica, ma con un po’ di esperienza e un po’ di fortuna, questa pratica premia il lavoro dell’apicoltore, dando vita alla raccolta di mieli molto pregiati.

Proprietà e virtù del miele

Il miele può essere tranquillamente consumato così come ce lo forniscono le api, senza nessuna manipolazione che ne modifichi le caratteristiche. L’apicoltore, una volta estratto il miele dai favi lo filtra, per togliere i residui di cera rimasti, lo fa decantare, per eliminare l’aria incorporata durante la centrifugazione, e lo invasetta. Il miele non ha bisogno d’altro. Dal punto di vista chimico è una soluzione sovrasatura di vari zuccheri in acqua, ma la composizione esatta varia in base al periodo del raccolto, il clima, l’origine botanica, le tecniche di lavorazione utilizzate e all’invecchiamento. In ogni caso, di norma, il contenuto di acqua non dovrebbe superare il 18%, per non andare incontro a fermentazioni e non essere più commestibile. Gli zuccheri si aggirano al 75%, e fra le rimanenti sostanze troviamo acidi, sali minerali, proteine, vitamine, amminoacidi e sostanze aromatiche, ed è la loro quantità a determinare colore, sapore e profumo di ogni tipo di miele. Il 90% degli zuccheri  è rappresentato da zuccheri semplici, come glucosio e fruttosio, derivati in parte dal saccarosio del nettare “invertito”, cioè scisso nei suoi componenti per effetto degli enzimi aggiunti dalle api. Glucosio e fruttosio sono alimenti preziosi, non richiedono alcuna trasformazione da parte dell’apparato digerente e risultano così subito disponibili per i fabbisogni energetici del nostro organismo. Al miele grezzo vengono riconosciute proprietà antibatteriche, antivirali e antimicotiche, strettamente legate alla pianta da cui deriva. Il miele è un alimento indicato per tutta la famiglia, soprattutto per chi deve affrontare particolari sforzi fisici o mentali, ma bisogna ricordarsi di non somministrarlo ai bambini al di sotto dei 12 mesi, per evitare il botulismo infantile. Può rivelarsi prezioso nei momenti di calo dei glucidi, che si verificano lontano dai pasti o in presenza di un deperimento fisico legato a malattia, stress, anzianità, terapie antibiotiche o farmacologiche prolungate. Non è consigliabile, se non sotto controllo medico e in dosi molto limitate, a chi soffre di diabete, obesità o a chi sta seguendo una dieta ipocalorica.

Il miele è uno dei pochi alimenti che possono essere conservati a lungo senza intervenire con sostanze additive. Il rapporto tra glucosio e fruttosio determina lo stato fisico del miele, che può essere liquido o solido. Al momento dell’estrazione tutti i mieli sono ovviamente liquidi ma, con il tempo, gli zuccheri tendono a tornare al loro stato naturale, cristallino, rendendo la massa solida di consistenza più o meno cremosa, in base al rapporto tra fruttosio e glucosio. Se è molto alto il contenuto di fruttosio il miele non cristallizza, o lo fa molto lentamente, come nel caso del miele di acacia, castagno e melata. Al contrario, quando è maggiore il contenuto di glucosio, la cristallizzazione sarà più rapida e compatta. Questo è un processo naturale, tipico della maggioranza dei mieli, anzi: un miele che, passato l’inverno, non si sia solidificato (a parte i mieli sopra citati), denuncia di aver subìto un trattamento termico spinto, la pastorizzazione. Questa operazione viene effettuata a livello industriale, e da chi confeziona grosse partite di miele stoccato e indurito, in quanto per poterlo invasettare è costretto a liquefarlo, e ciò è possibile solo con il riscaldamento. In questo modo si rende fluido il miele, ma purtroppo si distrugge anche buona parte degli enzimi, a discapito dei principi nutritivi. Quindi, per beneficiare in toto delle proprietà del miele, è necessario scegliere un prodotto fresco, non sottoposto a riscaldamento o pastorizzazione. Chi preferisce un miele che si mantenga allo stato liquido, dovrà orientarsi su prodotti ad alto contenuto di fruttosio. E per chi invece volesse assaggiare una vera prelibatezza, ricca di aromi e di sapori, deve sapere che è possibile gustare il miele contenuto in un piccolo favo naturale. Un’esperienza sensoriale e gustativa da non perdere, in quanto rispetto al miele centrifugato, quello in favo, non essendo stato esposto all’aria, ha conservato tutte le componenti aromatiche più volatili, che sono rimaste protette dall’opercolo, ossia il leggero tappo di cera.

Di per sé il miele non ha scadenza, ma il prodotto fresco ha sicuramente maggiori proprietà nutritive. Saper leggere l’etichetta è importante perché ci aiuta a scegliere quello più adatto al nostro gusto, e all’uso che ne vogliamo fare. E’ meglio preferire miele locale, che non abbia subito lunghi periodi di stoccaggio o lunghi trasporti, e che non sia stato alterato con aggiunta di acqua, zuccheri o altri ingredienti estranei. Oltre all’invecchiamento, anche l’esposizione alla luce e gli sbalzi di temperatura, concorrono alla perdita di qualità da parte del miele. Per verificare che il miele che abbiamo comprato corrisponda all’origine botanica indicata sull’etichetta, si può effettuare un’analisi organolettica, valutando se colore, profumo e sapore corrispondono. Invece un controllo più complesso viene effettuato in laboratorio tramite l’analisi melissopalinologica, che consiste nell’esaminare al microscopio i pollini presenti nel miele, per avere informazioni sui fiori visitati dalle api e anche sulla loro provenienza geografica.

Il miele in cucina

Prima dell’avvento dello zucchero, era il miele ad essere il protagonista assoluto delle cucine del mondo antico di tutta l’area mediterranea, assolvendo a diversi compiti: dolcificare, condire e conservare. I Greci prima e i Romani poi, ne fecero un’ampio utilizzo in cucina, persino Pitagora lo raccomandava come elisir di lunga vita, e Ippocrate lo consigliava per la cura di svariate malattie. Ai tempi dei Romani, alle prescrizioni mediche che ne imponevano la regolare assunzione, si aggiunsero anche le regole del galateo, in base alle quali doveva essere degustato almeno tre volte durante il banchetto. Il “De Re Coquinaria” di Apicio, il più grande trattato sulla cucina dell’antica Roma, è la fonte più ricca di informazioni sull’uso del miele, con una serie infinita di ricette, spesso stravaganti ed elitarie, nelle quali si denota una spiccata predilezione per il gusto agrodolce. Come dolcificante, il miele compariva sulle tavole modeste così come su quelle dei ricchi, dove a volte veniva servito nel favo in cui era contenuto. Durante il Medioevo, il miele conosce un uso costante, ma il suo graduale declino verrà segnato dalla diffusione dello zucchero, iniziata nel VIII secolo d.C. ad opera degli Arabi arrivati in Spagna. Dalla fine del Seicento ai primi dell’Ottocento venne sviluppata nelle isole caraibiche la coltivazione della canna da zucchero, mentre in Europa fu la barbabietola da zucchero a prendere il sopravvento. Lo zucchero, da prodotto di pregio riservato alle sole classi abbienti, divenne di uso comune, e nel Novecento, con la grande espansione dell’industria dello zucchero, al miele non restò che un ruolo marginale. Fortunatamente negli ultimi anni si è visto tornare vivo l’interesse per questo eccezionale prodotto della natura, soprattutto grazie al lavoro di comunicazione ed informazione svolto dagli apicoltori e dalle loro associazioni.

L’Italia dei mieli

 L’Italia è l’unico Paese al mondo a vantare oltre 60 diverse tipologie di mieli, ognuno dei quali trova la sua identità d’origine nelle tante e diverse fioriture regionali che costituiscono il patrimonio ambientale italiano, soprattutto nelle aree della nostra macchia mediterranea. Da questo vastissimo patrimonio territoriale le api traggono la materia prima che darà origine alla tipicità dei singoli mieli.
La qualità dei mieli italiani, riconosciuta a livello internazionale, è merito dei nostri apicoltori che, con passione, tenacia e perseveranza, sono impegnati nella cura delle api, nella raccolta del prodotto e nella vendita ai consumatori. L’Italia è, inoltre, l’unico Paese al mondo in cui esista un elenco ufficiale di persone qualificate a far parte dei gruppi di assaggio, che devono esprimere valutazioni sensoriali sul miele. Infatti, per apprezzare al massimo le caratteristiche organolettiche del miele, e gustarne le diverse sensazioni e sfumature, si effettua una precisa tecnica di degustazione, proprio come accade per i vini. L’Albo degli esperti in analisi sensoriale del miele è stato istituito ufficialmente nel 1999, con decreto del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.

Come scrive Stefano Valleri ne “Il grande libro dell’Alveare”, “Chi conosce le api non può non amare questo piccolo prodigio della natura, questo perfetto meccanismo che, facendo da tramite tra i fiori e la nostra tavola, ci permette di apprezzare il miele, così buono da gustare e, soprattutto, così prezioso per il nostro benessere”.

Ecco un elenco dei principali mieli monofloreali italiani:

 ACACIA: si presenta generalmente liquido, non raggiunge mai una cristallizzazione completa. Il colore è sempre molto chiaro, da quasi incolore a paglierino. Il sapore è decisamente dolce, con leggerissima acidità. L’aroma è molto delicato, poco persistente e privo di retrogusto. Ha un sapore vanigliato,  di confettato, di mandorla dolce.

AGRUMI: la sua tendenza a cristallizzare è di livello medio. Il colore è molto chiaro: da quasi incolore a giallo paglierino quando liquido; da bianco a beige chiaro quando è cristallizzato. L’odore è intenso. Il sapore è normalmente dolce con leggera acidità, l’aroma molto intenso, floreale, con tendenza al fruttato.
AILANTO: cristallizza spontaneamente pochi mesi dopo il raccolto. Di colore ambra quando è liquido, ambra chiaro quando è cristallizzato. Odore e aroma di media intensità. Per il suo gusto decisamente fruttato e per la sua caratteristica “avvolgente”, si sposa molto bene con macedonie e gelati con la frutta o alla frutta, riuscendo ad armonizzare anche una varietà di sapori diversi.

ASFODELO: tende a cristallizzare formando cristalli fini. Di colore chiaro o molto chiaro, cristallizzato tende al bianco con riflessi madreperlacei. Odore e aroma deboli o di media intensità. In Sardegna viene usato per la preparazione di dolci e piatti di gala. Ha un sapore che ricorda lo zucchero filato, la vaniglia, il latte di mandorle, la cotognata.

CARDO: cristallizza spontaneamente alcuni mesi dopo il raccolto. Il colore è da ambra chiaro ad ambra, con tonalità arancio e spesso fluorescenza verde quando è liquido, da beige chiaro a beige scuro, con tonalità gialle o arancio, quando cristallizzato. L’odore e l’aroma sono di media intensità, abbastanza persistente al palato. Il gusto è fruttato, piccante, con note che ricordano il caramello.

CASTAGNO: tende a rimanere liquido a causa della forte componente di fruttosio. Il colore è ambrato scuro, con tonalità  rossiccio-verdastre nel miele liquido; se cristallizzato assume un colore marrone. Sia l’odore che l’aroma sono intensi, è poco dolce, amaro, molto persistente. Il gusto è aromatico, pungente, amaro ed erbaceo. Rappresenta una delle principali produzioni nazionali, ma ha fatto fatica ad affermarsi nei gusti di chi acquista il miele, sia per il colore scuro, sia per l’aroma forte e amaro. Solo dagli anni ’80 ha cominciato ad avere un suo mercato. Prima molti apicoltori praticavano addirittura una transumanza “di fuga” per evitare di produrlo.
E’ oggi uno dei mieli più utilizzati in cucina.

COLZA: cristallizza rapidamente e finemente in una massa pastosa. Di colore ambra chiaro quando è liquido, beige con tonalità grigie quando è cristallizzato. Odore e aroma di media intensità, leggermente acido, persistente in bocca, a volta con retrogusto. Per il suo sapore “vegetale” può dare un tocco sorprendente a preparazioni di cucina salate.

CORBEZZOLO: la cristallizzazione avviene rapidamente. Il colore è ambrato nel miele liquido, da nocciola a marrone con tonalità grigio-verdi nel miele cristallizzato. Sia odore che sapore sono intensi, in bocca è persistente, con una forte componente amara e astringente. A causa del suo sapore amaro è un miele per amatori. In cucina può essere abbinato a vegetali amari per analogia, o con formaggi dolci e grassi per contrasto.

EDERA: la velocissima cristallizzazione forma una massa compatta. Di colore biancastro tendente al grigio, con odore e sapore mediamente intensi, persistente in bocca, molto dolce e rinfrescante. Ha un sapore erbaceo, di resina fresca, rinfrescante.

ERBA MEDICA: cristallizza spontaneamente a pochi mesi dal raccolto. Il colore è da ambra a ambra chiaro nel miele liquido, da beige chiaro a nocciola quando cristallizzato. L’odore e l’aroma sono di media intensità, così la persistenza. Ha una notevole acidità. Il sapore ricorda il latte cotto, il mosto d’uva, la cera d’api fusa.

ERICA: torbido anche quando è liquido, cristallizza rapidamente. Di colore ambrato scuro con riflessi rossastri quando è liquido, e marrone-arancio quando cristallizzato. Odore e sapore sono mediamente intensi, persistente in bocca. Il sapore ricorda il tamarindo, la crème caramel, il legno aromatico, la liquirizia. In cucina può essere abbinato a formaggi stagionati e piccanti.

EUCALIPTO: cristallizza spontaneamente in tempi abbastanza rapidi dando origine a una massa compatta. Il colore è da ambrato chiaro a scuro quando è liquido, beige grigiastro quando è cristallizzato. Mediamente intenso all’odorato e al gusto e persistente in bocca. Il sapore rimanda alle caramelle mou, alla liquirizia, al cappuccino, al malto.

GIRASOLE: ha una cristallizzazione variabile ma rapida ed è di colore giallo vivo. Il suo sapore è fruttato, rinfrescante, con retrogusto di anice stellato. Molto utilizzato in pasticceria e dall’industria alimentare.

LAVANDA: quello di lavanda selvatica cristallizza abbastanza rapidamente, con cristalli medio-fini. Il colore va da giallo paglierino ad ambrato, quando liquido; da bianco a beige, a volte con tonalità gialle, quando cristallizzato. Ha un aroma fruttato, che ricorda il frutto della passione, il fico maturo, il torrone, la mandorla. Quello di lavanda e lavandino ha colore molto chiaro, quasi bianco quando è cristallizzato. L’odore e l’aroma sono delicati, non particolarmente caratteristici.

MELATA D’ABETE: resta liquido a lungo, è molto vischioso e raramente cristallizza in modo completo. Ha un colore da ambra scuro a quasi nero, talvolta con sfumature verdastre. All’odore e al gusto è di intensità media, e in bocca è poco dolce e persistente. La melata di abete bianco è più intensa di quella di abete rosso. Ha un sapore affumicato, di liquirizia, balsamico, caramellato.

MELATA DI BOSCO: resta liquido a lungo, ma può cristallizzare. Ha una consistenza vischiosa e filante, di colore ambra scuro fino a quasi nero quando è liquido, assume un colore marrone se cristallizza. Odore e aroma sono di media intensità, in bocca è persistente, può essere caratterizzato da una nota acida e salata. Il sapore ricorda la melassa, il malto, i datteri e la frutta secca.

MELO: cristallizza a granulazione fine, assumendo un aspetto pastoso, fondente. Il colore è ambra chiaro nel prodotto liquido, grigiastro o rossiccio se cristallizzato. L’odore e l’aroma sono intensi. Il sapore richiama l’aroma del frutto, fresco, leggermente amaro.

RODODENDRO: il miele di rododendro si presenta allo stato liquido da incolore a giallo paglierino chiaro, cristallizzato da bianco a beige chiaro. L’odore è molto debole, etereo. Il sapore è normalmente dolce, fine, poco persistente, che ricorda lo sciroppo di zucchero, la marmellata di frutti di bosco.

ROSMARINO: cristallizza alcuni mesi dopo il raccolto, spesso a grana fine. Il colore è giallo paglierino allo stato liquido, bianco-avorio quando cristallizzato. L’odore e l’aroma sono di debole-media intensità, in bocca è poco persistente, è un miele tipicamente fine. Ha un sapore finemente aromatico, floreale, leggermente agrumato.

SULLA: cristallizza spontaneamente, formando una massa compatta di cristalli medi o fini. Si presenta da incolore a giallo paglierino quando è liquido; da bianco a beige chiaro quando cristallizza.
Sia il sapore che l’odore sono di debole intensità, il sapore è mediamente dolce, tendente all’acido e poco persistente.
Per le sue caratteristiche delicate, bilanciate e non invasive è uno dei mieli utilizzati per la preparazione di torroni duri, e in genere si presta a qualsiasi tipo di utilizzo.

TARASSACO:  cristallizza in tempi rapidi venendo a formare una massa morbida e cremosa. Il colore è ambrato con riflessi gialli nel miele liquido, crema o giallo quando cristallizza. Sia all’odore che al gusto si rivela intenso, in bocca molto persistente. C’è una certa discrepanza tra l’odore e il sapore, che appare più fine. Il sapore ricorda la camomilla, le spezie fresche, e la vaniglia.

TIGLIO: cristallizza in ritardo formando per lo più cristalli grossi e irregolari. Il colore va da ambra chiaro a ambra, con riflessi giallo-verdi nei mieli più puri, quando è liquido; quando è cristallizzato da avorio a beige. All’odore è di intensità media-forte, così anche al gusto, ed è molto persistente. Ha un aroma rinfrescante, di mentolo e canfora, di erbe officinali, di salvia e lime, con un finale agrumato e amaro. Esistono differenze tra il tiglio di montagna e il tiglio di pianura, che si ripercuotono sul sapore, dando al miele di tiglio di pianura una nota greve, vegetale, poco fine.

TIMO: cristallizza spontaneamente, spesso con cristalli irregolari. Il colore è da ambra chiaro a ambra quando è liquido, da beige a nocciola quando è cristallizzato. L’odore e il sapore sono di media intensità, persistente in bocca.
Ha un aroma salato, di timolo, di erbe aromatiche non del tutto essiccate, di dattero, di pepe.

TRIFOGLIO: cristallizza in maniera regolare e molto fine. Di colore molto chiaro, bianco latteo o bianco sporco quando cristallizzato. Odore e aroma sono di debole intensità. Ha un sapore delicato, vegetale, fresco, di banana matura, di caramella al latte, di legumi freschi. E’ un componente fondamentale della maggior parte dei mieli millefiori italiani.

Fonti:
Autori vari, Il grande libro dell’Alveare, 1996 Nardini Editore
Kidd, S.M., La vita segreta delle api, 2006Mondadori Editore

Ambasciatori dei mieli 

Osservatorio nazionale miele

Le città del miele

Mieli d’Italia

Partecipano come contributors:

Susanna Canetti, L’Italia dei mieli

Serena Bringheli, Pollo al limone e miele
Marianna Bonello, Sfiziosità di miele
Donatella Bartolomei, Lattarolo marchigiano
Sara Sguerri, Seadas o Sebadas Sarde: Ravioli Dolci al Formaggio con Miele di Corbezzolo
Alice Del Re, Torta al miele d’arancio con datteri e noci
Laura Bertolini, Insalata tiepida di ceci neri con pomodorini e gamberi al miele
Francesca Maria Battilana, Panbrioche semi-integrale al miele
Cristina Galliti, Pesce spada in agrodolce al miele di fiori d’arancio 
Daniela Boscariolo, Muffin alle noci e miele di tiglio
Cristina Tiddia, Crema di riso al miele
Elena Broglia, Waffles con farina di grano saraceno e crema chantilly al miele
Eleonora Colagrosso, Storia del Miele in Alimentazione e Farmacia
Francesca La Nuova, Cous Cous ai Tre Mieli
Marina Malgioglio, Nidi di Pasta al Miele
Alessandra Gennaro, La Mamma di Tutti i Budini: la Tiropatina (Budino al Miele) di Apicio
Milena (Dolci e Pasticci), Biscotti al Miele e Cannella
Daniela Sippi, Torta con il Miele
Nicol Pini, Mousse al Miele e Frutti di Bosco

20 commenti

    1. E’ quasi un poema in effetti, però l’argomento meritava di essere approfondito, se non in tutti i suoi aspetti, almeno in quelli fondamentali! Grazie Alice, sono contenta che ti sia piaciuto!

  1. …un post MERAVIGLIOSO. E’ possibile dirti solo grazie? E non ho contributi e dovo aver letto il tuo scritto non sai quanto mi dispiace..
    ma bravissima!

    1. Mi fa molto piacere che tu abbia apprezzato l’articolo, e ti ringrazio! Ma in questa avventura sono io che devo ringraziare in primis il Miele, che amo, e poi l’AIFB che mi ha dato l’occasione per studiare e conoscere meglio questo prodotto così prezioso, sperimentando un importante momento di crescita personale.

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