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Pubblicazione: 09/02/2016
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Ambasciatrice Manuela Conti per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar
Santa Pulonia l’è l’ultim mercant de nev.
L’allungarsi delle giornate, il sole che batte più a lungo sulle rive esposte a sud: nella tradizione popolare il giorno di Sant’Apollonia rappresenta l’ultima possibilità di neve. La festa è un preludio alla primavera, una celebrazione della fine dell’inverno: dopo i lunghi mesi bui, si comincia a ritornare nelle piazze, in quegli stessi giorni che i contadini vanno alla “cà strascia” a scegliere le patate per i primi trapianti e la prima erba fresca mangiata dagli animali è detta di “Santa Paulonia”.
La festa patronale di Sant’Apollonia viene celebrata il 9 febbraio a Viganò, piccolo borgo dell’Alta Brianza lecchese, ed è conosciuta anche come la sagra dell’omonimo raviolo. Questo dolce, è dato da una sfoglia sottilissima di fattura simile a quella della chiacchiera e il cui ripieno richiama la ben nota torta paesana brianzola. Ma procediamo con ordine.
Apollonia fu un’anziana donna di fede cristiana vissuta ad Alessandria d’Egitto nel III secolo d.C. Nella “Historia Ecclesiastica” di Eusebio di Cesarea (265-340 d.C.), ella fu vittima di martirio durante un periodo di sommosse popolari e di persecuzioni ad opera dei pagani contro i cristiani. La santa, che venne catturata e percossa al punto di perdere tutti i denti, preferì suicidarsi tra le fiamme di un rogo piuttosto che tradire la sua fede e perdere la verginità. Per questo nell’iconografia religiosa, Sant’Apollonia viene raffigurata come una giovane donna che tiene tra le mani da un lato una tenaglia, dall’altra la palma del martirio. In seguito alla canonizzazione, Sant’Apollonia è considerata la patrona dei dentisti e la protettrice
contro il mal di denti e i mali affini.
Di come un raviolo dolce sia stato intitolato a una santa protettrice dei denti non esistono cenni storici. Quel che è noto è che sulla ricetta vige un segreto quasi istituzionale e la certezza che la sua produzione riesce ad aggregare da quasi cento anni un intero paese. Inizialmente la preparazione del raviolo era affidata esclusivamente alle famiglie più nobili, che potevano permettersi di acquistare beni alimentari raffinati e così preziosi come il cacao e lo zucchero. Solo successivamente il dolce divenne di patrimonio “popolare”.
Dopo un periodo di fermo, che coincise con quello delle due guerre, i ravioli di Sant’Apollonia, cominciarono a comparire sui banchi delle osterie del paese. L’usanza era quella di regalarne agli avventori e ai familiari e a poco a poco, la sua preparazione iniziò ad aumentare, divenendo tradizione di tutte le famiglie viganesi, per poi arrivare a varcare i confini territoriali del piccolo paese brianzolo.
In concomitanza della festa e della fiera che riempiva le strade di Viganò, pare che avesse luogo un’usanza molto particolare: la bulada de la murusa, letteralmente la timbrata della fidanzata.
Una legge non scritta permetteva ai fidanzati di dichiararsi davanti alla comunità intera: in quel giorno di festa, i giovani “bollavano” scherzosamente con una palla di neve le loro amate e potevano permettersi il lusso di passeggiare mano nella mano alla luce del sole, regalandosi il firon, una collana di castagne prima bollite,poi cotte nel forno del paese. Ancora oggi, ogni anno, vengono cotti quintali di ravioli: l’impasto e la farcia necessaria alla preparazione del dolce, vengono prima elaborati nello storico panificio Sala in Piazza Cesare Battisti, detentore della ricetta originale, poi portati nella vicina parrocchia per essere confezionati e fritti con l’aiuto dei volontari.
Paolo, panettiere di quarta generazione, mi indica sommariamente quello che serve per ottenere un buon raviolo. La ricetta che segue, per ovvi motivi non è quella originale, ma in un certo senso, mi sento sollevata: il raviolo è ancora al sicuro e manterrà la sua aura preziosa ancora per qualche decade.
(dosi per 50 ravioli circa)
Per la sfoglia dolce
farina di grano tenero di tipo 00 500 g
burro 50 g
zucchero semolato 50 g
uova intere 2
grappa 1 bicchierino (circa 50 ml)
zeste di 1 limone
sale un pizzico
Per la farcia
biscotti secchi 300 g
amaretti 200 g
cacao amaro in polvere 50 g
zucchero semolato 3 cucchiai
cedro candito 50 g
pinoli 70 g
uvetta 150 g
uovo 1
un panino secco ammollato
latte circa 250 g
Per friggere
olio di semi di arachidi 1 l
Per decorare
zucchero semolato
zucchero a velo
Preparazione
Sbriciolate i biscotti grossolanamente, mescolateli agli altri ingredienti e unite il latte poco alla volta.
Con l’aiuto di un cucchiaio di legno, amalgamate e schiacciate i pezzi più grossolani, mescolate il tutto e fate riposare qualche ora in frigorifero, coperto da pellicola.
In questo modo vi sarà possibile capire se la consistenza della farci a è sufficientemente umida: il ripieno infatti deve poter essere inserito in una tasca da pasticcere, ma non deve essere bagnato.
Fate una fontana con la farina, formate un cratere nel mezzo e inserite le uova, il sale, la grappa, la zeste di limone e lo zucchero.
Amalgamate con una forchetta, poi aggiungete il burro a tocchetti e lavorate fino ad ottenere un impasto liscio e sodo.
Coprite con la pellicola e fate riposare almeno un’ora prima di stendere.
Nel mixer passate velocemente i due zuccheri e tenete da parte.
Riprendete la pasta e con l’aiuto di un mattarello o della sfogliatrice, tiratela fino ad ottenere un velo di 2 mm.
Distribuite delle noci di farcia ben distanziate e chiudete i bordi pressando bene.
Scaldate l’olio in una pentola dai bordi alti e friggete 4 o 5 ravioli per volta.
Per far sì che si gonfino bene, rigirateli più volte, cuocete circa 2 minuti ciascun raviolo e, una volta passati velocemente nella carta assorbente, tuffateli nella miscela di zucchero.
Partecipano come contributors:
Maria Di Palma, La Caccavella, Ravioli dolci al forno con castagne e cioccolato
Giulietta Bodrito, Ravioli ai ceci, cacao e cioccolato
Manuela Conti: i Ravioli dolci di Santa Apollonia
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Grazie Manuela per quest’articolo illuminante. Una tradizione che non conoscevo. 🙂
Grazie a te per il tuo contributo! 🙂
Grazie mille, non conoscevo affatto questi dolci, ma ora con la tua ricetta credo che farò anche io questi dolci spettacolari. Marianna
Grazie Marianna, spero proprio che ti piaceranno 🙂
Manuela se non fossi satura di fritto questi li preparerei all’istante! Mi salto il ripieno per dei ravioli dolci di frolla, che dici?
Grazie di cuore per la ricetta e le ricerca 🙂
Dico che se c’è spazio i unisco alla tua tavola, Marina 😉 Grazie a te! Un abbraccio
io li proverò sicuramente anche dopo carnevale, adesso mi rilasso una settimanba perché ho fritto molto, complimenti Manuela sono molto belli e interessante il ripieno, saluti
Eh lo so, purtroppo ad arrivare i martedì grasso c’è questo rischio…però son buoni tutto l’anno! Grazie Tamara anche per l’aiuto di questi giorni 🙂
Ciao Manuela, bellissima storia e bella ricetta che non conoscevo…chissà magari la farcia potrebbe essere ottima anche come ripieno di una crostata. Complimenti
Secondo me è un’ottima idea,magari leggermente più morbida, ma questa farccia è davvero delicato e con una frolla avrebbe il suo perchè!
Grazie mille per il commento