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Il ricettario ufficiale di Netflix
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Pubblicazione: 12/07/2016
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Son passati anni dall’ultima mia visita a Napoli, una città che mi ha rapita!
Una città che ti avvolge in ogni dove, che ti cattura in ogni vicolo. I profumi, i mille colori, il dialetto difficile da comprendere per chi napoletano non è…
La cucina napoletana resta, senza ombra alcuna, uno dei capisaldi della cucina italiana e il cuoppo fritto, una parte di essa.
Il cuoppo o meglio nù cuopp (in dialetto napoletano) non è altro che un cono di carta o cartoccio, acquistato in una delle tante friggitorie napoletane, dove possiamo trovare al suo interno numerose prelibatezze fritte: definito al giorno d’oggi come “cibo da strada” da degustare mentre si passeggia per le vie del centro della città, intenti ad esplorare ed ammirare ogni suo angolo e vicolo.
Il cono viene fatto tenendo ferma una punta del foglio di carta ed arrotolando su se stesso il restante foglio.
Matilde Serao, scrittrice e giornalista, inseparabile dalla città campana, già nel 1884 ne parlava ne “Il Ventre di Napoli”, dove scriveva che con un solo soldo si poteva avere una vasta scelta:
“…dal friggitore si ha un cartoccetto di pesciolini che si chiamano fragaglia e che sono il fondo dei panieri dei pescivendoli.” E dallo stesso friggitore si possono avere anche “…per un soldo, quattro o cinque panzarotti, vale a dire delle frittelline in cui vi è un pezzetto di carciofo, o un torsolo di cavolo o un frammentino di alici.”
Jeanne Caròla Francesconi nel suo libro “La Cucina Napoletana” racconta che le tipiche e numerose friggitorie napoletane dei quartieri popolari sono elementari, disadorne, funzionali, dove al loro interno ci si può trovare solo che l’indispensabile: un banco e una caldaia più alta che larga, colma d’olio fumante fino all’orlo. Di solito si trova una donna e si racconta che di norma sia sempre prosperosa e viene chiamata “la friggitora”, fautrice di tutte quelle leccornie quasi da far concorrenza alla pizza. All’esterno della friggitoria una vetrina espone le squisitezze che poi si potranno degustare quali: pizzelle, crocché, palle di riso, calzoncini, paste cresciute, ortaggi in pastella…
Nell’800 le friggitorie popolari erano gestite all’aperto, dove la gente si recava quasi quotidianamente, dato il bassissimo costo del cibo. Il friggitore a quel tempo veniva chiamato “zeppalaiuolo”, perché sotto il nome di zeppole erano genericamente indicati vari tipi di fritti (attenzione a non confonderle con le zeppole di San Giuseppe, che sono altra cosa). Tali fritti in quel tempo erano gli scagliuozzoli e i tittoli (scagliuozzoli piccolissimi), i zigarii (polenta tagliata a listarelle) e i vuzzarielli (probabilmente fritto di vento, perché internamente vuoti), le vurracce (borraggine) in pastella, le frittelle di baccalà ed in estate zucca e peperoni fritti poi palle e sfingi.
Un tempo il Cuoppo veniva chiamato anche “cuoppo a otto”: data la povertà in cui versava il popolo napoletano, il friggitore accettava un pagamento “a rate” fino a otto giorni dopo l’effettivo acquisto.
Salvatore di Giacomo, poeta, drammaturgo e saggista italiano di fine Ottocento, autore di notissime poesie in lingua napoletana, parla proprio della friggitora del cuoppo napoletano nella poesia “Donn’Amalia e Speranzella”
Donn’Amalia ‘a Speranzella,
quanno frie paste crisciute,
mena ll’oro’int’ ‘a tiella,
donna’Amalia ‘a Speranzella.
Che bellezza chillu naso
ncriccatiello e appuntatiello,
chella vocca ‘e bammeniello,
e chill’ucchie, e chella faccia
mmiez’ ‘e tìttelle e ‘a vurraccia
Pe sta femmena cianciosa
Io farria qualunque cosa!…
Piscitiello addeventasse,
dint’ ‘o sciore m’avutasse,
m’afferrasse sta manella,
mme menasse ‘int ‘a tiella
donn’Amalia ‘a Speranzella!
Anche Vittorio De Sica nel film a episodi “L’oro di Napoli”, del 1954, ci porta a conoscere uno spaccato di vita napoletana del tempo nell’episodio “Pizze a credito”, con Sofia Loren e Giacomo Furia.
La caratteristica abitazione nei vicoli napoletani era il basso, un alloggio misero di dimensioni e popolare, che consisteva solitamente in un’unica stanza, dove viveva tutta la famiglia. Spesso, per arrotondare i magri salari, i locatari arrotondavano le loro pingue entrate con delle pizzerie/friggitorie improvvisate proprio sui vicoli: predisponevano una piccola vetrina con gli ingredienti offerti e portavano in strada il calderone, dove friggevano gli impasti. Sono queste le prime pizzerie napoletane: era impensabile, per la maggior parte degli abitanti, disporre di un forno a legna in casa. Inoltre, un semplice impasto fritto e condito anche con poco, era economico per il cliente (oltremodo indigente) e facile a farsi per il venditore.
Proprio per l’atavico modus vivendi di miseria in cui riversava la maggior parte della popolazione e per il fatto che spesso queste botteghe improvvisate aprivano nel giorno di riposo dal lavoro, l’incredibile arte di arrangiarsi napoletana ha visto nascere e crescere il fenomeno della pizza a credito, prontamente nominata pizza a otto, perché si mangiava oggi, ma si pagava dopo otto giorni, quando il bottegaio riapriva il suo basso ed era sicuro del ritorno dei clienti per la bontà dello sfizio offerto.
Al giorno d’oggi, oltre ai classici fritti tramandati dalle vecchie generazioni, possiamo trovare numerose altre varianti, come il cuoppo di pesce con calamari, seppioline, gamberi, totani, fravagli e baccalà; le pizzette, le palle di riso, le crocchette di patate, le zeppolelle, le frittatine e i calzoncelli. Nella variante dolce, invece, troviamo le graffe con lo zucchero.
La friggitoria storica e più famosa di Napoli è la Friggitoria Vomero, luogo dove il tempo sembra essersi fermato. Se passate da quelle parti fermatevi ed assaporate Napoli, nella sua semplicità.
1 kg di patate dalla buccia rossa
1 provola di Agerola di circa 500-600 g
200 g di Parmigiano grattugiato
2 uova
prezzemolo tritato
pangrattato
2 l di olio di semi di arachidi
sale/pepe q.b.
Lavate le patate sotto acqua corrente e mettetele a bollire in abbondante acqua leggermente salata. Una volta cotte, pelatele e passatele con lo schiacciapatate rapidamente per evitare che diventino collose. Lasciate freddare e poi conditele con sale, pepe, Parmigiano e uova sbattute. Amalgamate il tutto. Prendete un pugno di impasto e schiacciatelo tra i palmi delle mani, adagiate un pezzetto di provola (precedentemente tagliata a grossi fiammiferi) ed avvolgetelo con l’impasto per ottenere un cilindro; passatelo nel pangrattato, facendolo ben aderire al panzarotto. Proseguite fino ad esaurimento dell’impasto. Friggetele crocchette nell’olio caldo a 170° fino a doratura.
10 fiori di zucca
250 g di ricotta vaccina
150 g di fiordilatte di Agerola
sale/pepe
1 l di olio di semi di arachide
Per la pastella:
200 ml di acqua ghiacciata
200 g di farina
Pulite i fiori di zucca, eliminate lo stelo ed eventuali residui di terra. Tagliate a cubetti il fiordilatte ed unitelo alla ricotta fresca. Aggiustate di sale e di pepe. Farcite i fiori di zucca con il ripieno e mettete a riscaldare l’olio in un tegame profondo, fino a raggiungere la temperatura di 160-170°C. Preparate la pastella mescolando energicamente con una frusta l’acqua e la farina. Pastellate i fiori di zucca prima di adagiarli nell’olio bollente. Appena dorati toglieteli e fateli scolare. Serviteli ancora caldi.
Foto di copertina Il mondo piccolo.it
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