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Pubblicazione: 20/08/2016
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Quando ho deciso di parlare del Ratafìà davo per scontato, per ignoranza, che ci si riferisse ad un liquore tipico dell’Abruzzo. In realtà con questo termine si indicano tutti quei liquori composti da un infuso a base di frutta e alcol.
Di conseguenza, a ragion di logica, possono definirsi ratafìà tutti quei liquori in cui sia presente un frutto: come il nocino, a base di noci, o il limoncello, a base di limoni. Vi sono anche ratafià agli agrumi: l’importante è che sia sempre presente un frutto, come quella a base di cotogne o di anice.
In Italia quello riconosciuto come tale è a base di visciole e se ne distinguono due diverse produzioni, quella piemontese e quella abruzzese. Parlo di Italia perché in realtà con la stessa denominazione viene indicato un liquore a base di acqua, alcol, noce verde, piante aromatiche e noce moscata prodotto in Spagna, soprattutto nella regione catalana; talmente conosciuto che a lui è dedicato un festival che si svolge annualmente a Santa Coloma di Farners. Mentre in Francia con il termine ratafià si indica un distillato.
In principio i liquori nacquero a scopo terapeutico. I medici della scuola Salernitana, in epoca medioevale, scoprirono che, utilizzando le acquaviti come solventi, potevano ottenere dei distillati ricchi dei principi officinali presenti nelle piante. La presenza dell’alcol permetteva di stabilizzare le sostanze e ottenere dei prodotti medicamentosi. Probabilmente il gusto non era dei migliori, ma inizialmente lo scopo non era quello di soddisfare il palato ma di curare certi disturbi di salute.
La nascita dei liquori dolci ad uso voluttuario, invece, si fa risalire a Caterina de’ Medici, che ne inizia la produzione come omaggio di benvenuto per la corte di Firenze e poi di Parigi. I distillati erano prerogativa dei ceti nobiliari, visti gli alti costi di produzione legati alla scarsità della canna da zucchero prodotta solo in Medio Oriente, nord Africa, Sicilia, Canarie e Madeira. Bisognerà aspettare l’espandersi del commercio di canna da zucchero proveniente dalle Americhe per far sì che i liquori divenissero prerogativa dei ceti meno abbienti.
Si possono distinguere due diverse lavorazioni del Ratafià: quella piemontese è prodotta partendo da uno sciroppo a base di visciole, mentre quella abruzzese è a base di visciole e/o amarene e vino rosso ottenuto da uve del vitigno Montepulciano.
Le visciole, arrivate in Italia in epoca romana, appartengono al genere Prunus, di cui fanno parte anche le dolci ciliegie. Ma si differenziano per la specie: il Prunus avium comprende tutte le ciliegie dolci, mentre il Prunus cerasus quelle acide.
A sua volta, quest’ultimo comprende tre varietà: l’amarena, la visciola e la marasca. Le amarene hanno un colore rosso rubino, con una polpa e un succo chiari. Le visciole, invece, sono caratterizzate da un rosso brillante anche nella polpa e nel succo. Mentre le marasche, che sono più piccole, sono utilizzate per la produzione di liquori.
In Piemonte vi è un paese, Andorno Micca, in provincia di Biella, dove il liquore Ratafìà viene prodotto dal 1600 nel monastero di Santa Maria della Sala. La lavorazione, nel tempo, venne trasmessa ad alcune famiglie locali e il paese, dal 1880, è sede della storica fabbrica “Cavalier Giovanni Rapa”. La famiglia Rapa ci tiene a rivendicare la paternità dell’origine etimologica: leggenda vuole che nell’anno 1000 il liquore salvò dalla peste la popolazione di Andorno e la figlia dell’inventore del liquore, prima accusata di stregoneria, poté sposare il figlio di un acerrimo nemico del padre. Al notaio, per ratificare la pace ottenuta, non restò che pronunciare “Et sic res rata fiat” (E così le cose trattate vanno eseguite), storpiato dai presenti in “Rata fiat”.
Ma non mancano altre versioni sull’origine del nome dato a questo liquore: sempre in Piemonte ratafia sta per “rata fià”, gratta-fiato, conferendo così al liquore proprietà lenitive per la tosse e il mal di gola.
In Abruzzo il notaio ritorna nella storia, ma in altro modo: la tradizione prevedeva che il liquore venisse offerto a conclusione di un contratto stipulato, rato fiat.
Per altri ancora le origini del nome sono malesi, da arak, acquavite e tafia, acquavite di canna.
Alcune brave massaie abruzzesi producono ancora questo liquore in casa, mantenendo le tradizioni e utilizzando, là dove la terra è più povera, le visciole selvatiche.
Si apprezza per il suo gusto dolce e piacevole, con una bassa gradazione alcolica che può variare a seconda dei metodi di produzione. E’ buona regola consumarlo giovane per poterne apprezzare le caratteristiche. Va conservato al buio e in un luogo fresco per mantenerlo inalterato nel tempo. Si consiglia di servirlo a fine pasto con dolciumi.
Per chi volesse provare a rifarlo in casa ecco la ricetta tratta da La cucina abruzzese di Alessandro Molinari Pradelli:
1,5 kg di ciliegie amarene o di visciole ben mature
1 l di vino rosso (ideale il Montepulciano d’Abruzzo)
una stecca di vaniglia tagliata per il lungo
cannella grattugiata
500 ml di alcol a 90°
500 g di zucchero
Dopo aver lavato le amarene (o visciole) e averle private dei piccioli, lasciatele al sole per un giorno sopra ad un telo. Bisogna evitare di utilizzare frutti bagnati: la presenza di acqua diluirebbe in un qualche modo l’alcol, andando ad interferire sul prodotto finale.
Il giorno dopo trasferite le visciole in un vaso, unite il vino, profumate con la cannella e la vaniglia e fate macerare al sole per 40-45 giorni.
Trascorso questo tempo filtrate eliminando la vaniglia, schiacciate i frutti e unitevi l’alcol e lo zucchero; quest’ultimo si scioglierà dopo averlo lasciato riposare qualche giorno, avendo l’accortezza di smuovere il vaso con delicatezza una o due volte al giorno.
Trasferite il tutto in una bottiglia, tappate e fatelo maturare in un luogo fresco e buio.
Fonti
http://www.festivaldellestorie.org/it-it/il-festival/il-paese-delle-visciole.aspx?altTemplate=Stampa
http://www.ilgiornale.it/news/cultura/rigattiere-parole-ratafi-843891.html
Molinari Pradelli, A., La cucina abruzzese, Newton & Compton Editori
http://www.giardinaggio.it/frutteto/ciliegio/ciliegio.asp
http://www.calderini.it/hycald/calderini_69_sala_bar/html/Liquori.pdf
Credits immagini:
foto di copertina: Donatella Bartolomei http://ingredienteperduto.blogspot.it/2013/07/il-tempo-delle-visciole-cotte-al-sole.html
http://sapori-italia.it/it/pats/ratafia-rattafia
Partecipano come contributors:
Micaela Ferri, Ratafià, liquore abruzzese
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