Lo Stoccafisso e il Baccalà

foto presa dal web

Pubblicazione: 23/05/2016

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Settimana Nazionale dello Stoccafisso e del Baccalà

Ambasciatrice Anna Laura Mattesini per il Calendario del Cibo Italiano-Italian Food Calendar

“Era una notte buia e tempestosa”… potrebbe iniziare proprio con questo ben noto incipit il racconto dell’arrivo dello stoccafisso nel nostro Paese.

Una leggenda vuole, infatti, che la burrasca abbia spinto una nave vichinga a naufragare sulle coste italiane, riversando il suo carico di provviste destinate alla lunga permanenza in mare dei biondi avventurieri, tra le quali il merluzzo essiccato: lo stoccafisso, per l’appunto.

Il nome “stoccafisso”[1] è di origine incerta: potrebbe derivare dalla cittadina norvegese di Stokke, oppure dall’inglese “stock fish”, pesce da stoccaggio, da scorta, o ancora dall’olandese “stocvish”, pesce bastone. Su quest’ultimo nome esiste un’ulteriore leggenda che narra come il soprannome fosse esteso agli stessi vichinghi, in virtù di alcune loro eccellenze anatomiche che le olandesi conoscevano bene in quanto vicine di costa e spesso primo scalo di marinai reduci da un già lungo digiuno. Senza entrare in particolari, questo concorre a spiegare come i vichinghi siano diventati degli esseri quasi mitici e come mai i caratteri genetici biondi si ritrovino spesso anche nelle coste meridionali.

Lo storico Zeffiro Ciuffoletti, nel suo delizioso libricino “Minima Culinaria”, ci offre invece una storia diversa, più completa e ricca di particolari. In questa versione è una nave commerciale della Serenissima a naufragare, nel 1432 (1421 secondo altri, ma ha poca importanza), sull’isola di Rost, la più meridionale delle isole dell’arcipelago norvegese delle Lofoten.

In quelle isole si essiccava, per utilizzarlo come riserva di cibo per i marinai,  il merluzzo artico Gadus Morhua, varietà che vive solo nell’oceano Atlantico settentrionale e che può raggiungere i due metri di lunghezza ed il quintale di peso.

Decapitato, eviscerato e diviso in due direttamente al momento della pesca, viene appeso per la coda e lasciato asciugare all’aria fredda e asciutta per mesi. Successivamente viene messo ad essiccare ulteriormente in ambienti ventilati. In questo modo perde il 70% del suo peso, ossia la componente liquida, ma mantiene le sue caratteristiche nutritive.

Ma com’è possibile che un alimento non riproducibile nel nostro Paese (come invece è successo, ad esempio, per pomodori e patate), sia entrato a far parte del nostro patrimonio gastronomico?

A detta del Ciuffoletti e di altri che ne condividono l’opinione, pare che il comandante della nave naufragata, tale Pietro Querini, sopravvissuto al naufragio, abbia portato in Italia una certa quantità di stoccafisso.

La preparazione riscosse subito un notevole successo, al punto che Bartolomeo Scappi, il “cuoco segreto di papa Pio V”, parla della sua preparazione nella sua opera in sei libri del 1570.

Pellegrino Artusi lo suggerisce in umido e lo definisce “piatto appetitoso, ma non per gli stomachi deboli”.

Rabelais in “Gargantua e Pantagruel” elenca merluzzi salati, stoccafissi e baccalà tra i piatti “sacrificati” dai Gastrolatri al loro dio Ventripotente nei giorni intralardellati di magro.

In effetti lo stoccafisso, grazie alla sua lunga conservazione, riscosse da subito un notevole successo in quanto dava anche agli abitanti dell’entroterra la possibilità di nutrirsi di pesce di mare nei periodi di astinenza religiosa.

Fu, infatti, un padre conciliare, tal Olao Magno, a contribuire alla diffusione del prodotto, parlandone in un suo libricino come del “pesce detto merlusia, essiccato ai venti freddi”. Non solo: fu grazie allo stoccafisso che gli abitanti di Badalucco, nell’entroterra ligure, riuscirono a resistere all’assedio dei Saraceni.

Discorso a parte merita invece il baccalà, di diversa origine, sebbene derivante dallo stesso pesce.

Nel 1472 il navigatore portoghese João Vaz Corte-Real scoprì la “Terra do Bacalhao”, il cui nome derivava dal basso-tedesco “bakel-jau” ossia pesce duro. L’isola di Bacalhao era, in realtà, un’isola fantasma: rappresentata in alcune mappe del 500, corrisponderebbe, all’incirca, all’isola di Terranova. Ed è proprio sui banchi di Terranova che i pescatori baschi, inseguendo branchi di balene, incontrarono i merluzzi atlantici e decisero di applicare anche ad essi il sistema di conservazione sotto sale che già utilizzavano per le balene.

Accolto subito con gran favore, anche il baccalà entra ben presto a far parte della gastronomia italiana, sebbene continuasse ad essere considerato piatto “da poveri”. Ancora secondo l’Artusi, a distanza di secoli, “si tratta sempre di baccalà, quindi non vi aspettate grandi cose”. Ma sono proprio i poveri, con la loro ben nota capacità di trasformare, adattare e riciclare, a rendere baccalà e stoccafisso degni di comparire, ben presto, anche sulle tavole dei Signori.

Vengono trattati e cucinati in mille modi diversi, accompagnandoli ai prodotti locali e di stagione. Il baccalà viene fritto nel Lazio, mantecato in Liguria, accompagnato dai peperoni cruschi in Lucania e dalle olive in Sicilia.

Lo stoccafisso regala in umido il meglio di sé, infarinato e cotto con la cipolla alla vicentina (anche se a Vicenza, curiosamente, viene chiamato baccalà), o accompagnato dalle patate in Calabria, previo ammollo nelle speciali acque di Mammola, piccolo paesino in provincia di Reggio Calabria, che donano allo “stocco” un sapore ed una morbidezza unici, grazie ai contenuti di oligominerali ed alla particolare composizione chimico-fisica, tanto che il Ministero delle Politiche Agricole ha inserito lo stocco di Mammola nell’elenco dei P.A.T. italiani (prodotti alimentari tipici).

[1]
Il nome “merluzzo” deriva da “mar lucius”, luccio di mare, per via della grande somiglianza con il sosia di acqua dolce. Meno fortunato del luccio, però, il merluzzo conduce una vita abbastanza faticosa. La specie più ricercata e pregiata è chiamata in gergo locale “skrei”, nome derivante dal vichingo “skrida”, che significa “migrare”; e questo già la dice lunga.

Lo skrei vive nelle profondità del mare di Barents, vicino alla calotta polare. A gennaio, quando le correnti gelide si intensificano, il nostro merluzzo si accende di bollore passionale e va in cerca d’amore, compiendo un viaggio di mille chilometri, per approdare nelle acque ben più vivibili che circondano le isole Lofoten. Dopo tutta questa fatica, nemmeno la soddisfazione di un incontro come si deve: le femmine depongono in acqua le uova che, salendo verso la superficie, incontrano gli strati di seme rilasciati dai maschi e lì avviene la fecondazione. Addirittura le signore merluzze, alleggerite dal peso delle uova, per non salire in superficie ingoiano piccoli sassi: maschio, vade retro! Nel frattempo, i norvegesi si dilettano nell’attività di pesca che gli garantirà reddito e sopravvivenza per il resto dell’anno. Ecco una dimostrazione evidente di come l’amore trasformi in… baccalà.

E proprio lo stocco alla Mammolese è il piatto che vi invito ad assaggiare, per iniziare gustosamente la settimana nazionale del baccalà e dello stoccafisso.

Stocco alla Mammolese

Ingredienti per 4 persone

·        1 Kg di Stocco di Mammola spugnato,

·        500 g di patate della Sila I.G.P.,

·        500 g di pomodori pelati,

·        una cipolla di Tropea,

·        100 g di olive verdi ammaccate in salamoia,

·        un peperoncino più o meno piccante, a proprio gusto

·        una manciata di peperoni essiccati

·        timo, finocchietto selvatico

·        olio extra vergine di oliva.

Scaldare l’olio in un tegame, possibilmente di terracotta.

Farvi imbiondire la cipolla tritata e poi aggiungere lo stocco tagliato a pezzi.

Non mescolare, per conservare l’integrità dello stocco.

Farlo insaporire per pochi minuti, poi toglierlo.

Unire i pelati, i peperoni, le olive e due bicchieri di acqua.

Appena prende il bollore aggiungere le patate tagliate a grossi spicchi e proseguire la cottura per mezz’ora circa.

Unire i pezzi di stocco tenuti da parte e le erbe aromatiche e completare la cottura per altri dieci minuti.

Bibliografia:

Artusi, P.: scienza in cucina e l’arte di mangiare bene”

Maffioli, G.: “Storia piacevole della gastronomia”

Ciuffoletti, Z.: “Minima culinaria”

Abbondanza, A. : “Baccalà e stoccafisso”

Rebora, G.: “La civiltà della forchetta”

Curcio: “Nel meraviglioso mondo degli animali”

Polizzi, R. : “Morti favolose di animali comuni”

Wikipedia

Foto:

www.nairaland.com

www.marinespecies.org

www.norwegiangambit.org

www.liquida.it

www.saltfisk.com

Partecipano come Contributors

Erica Zampieri, A bassa temperatura è meglio 
Lucia Melchiorre, Genovese di baccalà 
Tamara Giorgetti, Pici con ceci e baccalà 
Walter Zanirato, Torretta di baccalà e patate 
Corrado Tumminelli, Tortelli di Baccalà e Ricotta al Basilico
Giulia Robert, Baccalà e Peperoni alla Napoletana
Silvia Leoncini, Lo Stoccafisso nella Tradizione Genovese
Tamara Giorgetti, Baccalà un po’ alla Livornese e un po’ di Casa Mia
Sonia Nieri Turini, Baccalà Mantecato… un “Chicheto” Veneziano

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