Scrivo questo post in una veste inconsueta. Non da food blogger, tanto per cominciare. Non da “tessera n. 2 dell’AIFB”. E neppure da inviata speciale alla V edizione del Campionato Mondiale del Pesto, anche se il blu del grembiule dichiarava apertamente che, anziché per godermela, ero lì per lavorare.
Lo scrivo da Genovese – e da Genovese commossa, orgogliosa e fiera di appartenere ad una città e ad un popolo che sa celebrarsi in un modo unico e raro, capace di preservare e di esaltare le proprie glorie e di stemperarne i toni con quel distacco e quell’autoironia che è la cifra in cui ci riconosciamo, così uniti nell’amore per ciò che ci distingue, così diversi dal resto di quel mondo che da troppo tempo ha colpevolmente rinunciato a comprenderci.
Eppure è così facile, capire i Genovesi: basta deporre il carico di pregiudizi, stereotipi e gratuite maldicenze che ci circondano e mischiarsi alla gente che affolla la Sala del Maggio Consiglio di Palazzo Ducale che, sabato scorso, è diventata il punto di intersezione delle glorie passate e presenti, di un Siglo che un tempo ci ha visti padroni del mondo e di una salsa che, oggi, rinnova i nostri fasti, sulle tavole di tutto il mondo, con buona pace di chi si è illuso che imporci un’estensione geografica del nome (“alla genovese”) potesse limitarne la fama e la bontà.
Il Pesto è uno – ed è solo il nostro, quello fatto col basilico di Prà, con il sale grosso, il Parmigiano e il Pecorino, con l’olio che da noi è sempre e solo extravergine, con i pinoli che nel minestrone non ci vanno e con quell’aglio che, oltre a definirne il sapore in maniera ineffabile, sta a ribadire che noi Genovesi, uomini e donne, siam popolo virile, anche nel palato.
E’ nostra la ricetta che non c’è, nascosta nella sapienza delle dita, in un dosaggio dettato dai sensi, dai capricci del tempo, da un gusto che è memoria che si recupera e che si impone, in barba a Capitolari, denominazioni controllate e padri certi: “mia nonna ci metteva uno stissinin di burro” confesso, in un sussurro imbarazzato – e subito vien fuori che ognuno lo faceva a suo modo, in una sfilata di variazioni sul tema che nulla tolgono.
Ed è nostro anche questo Campionato Mondiale del Pesto, grazie all’ineffabile generosità di Roberto Panizza, che oggi è il vero simbolo della Genova che amiamo e che vorremmo raccontare più spesso: se quella che dieci anni fa era solo un’idea oggi è diventato il momento più vivo della celebrazione di un’identità culturale che sta facendo il giro del mondo in un mortaio, è solo a quest’uomo, che dobbiamo dir grazie. A un entusiasmo immune dal maniman, a un pragmatismo lontano dall’aridità, a una capacità di condividere aliena da qualsiasi protagonismo, ad un amore per il Pesto e per Genova secondo solo alla generosità e all’umiltà che lo contraddistinguono e che Roberto ha impresso anche a questa manifestazione: i saluti delle autorità scorrono via a tempo di record, fra lo stupore dei foresti abituati alle autocelebrazoni del “sarò breve”. Qui brevi lo siamo per davvero e se c’è posto per qualcosa è per il garbo, la simpatia e l’ironia di Bruno Pizzul che, da buon telecronista sportivo, ricorda a tutti che anche il calcio, a Genova, è un’altra cosa: e i polsi che si tendono sui mortai, cinti dai braccialetti delle nostre due squadre sono l’ennesima dimostrazione di un legame che da noi si esprime anche e soprattutto attraverso quel senso di appartenenza alla città che è il vero terreno del contendere, dentro e fuori dal campo.
E oggi è nostra anche Alfonsina Trucco, la genovese di Montoggio di 87 anni che ha riportato in Liguria il titolo di Campione Mondiale del Pesto, sbaragliando oltre 100 concorrenti, provenienti da tutte le parti del mondo. Vedere il suo mortaio e capire che non ci sarebbe stata storia è stato tutt’uno: il resto, lo ha fatto la disinvolta tranquillità di chi il pesto lo fa per davvero e pure da 75 anni, a ricordare che le buone abitudini vanno apprese da piccoli e coltivate per tutta la vita: perché prima o poi le soddisfazioni arrivano: e quando arrivano in una cornice del genere, fra la commozione di chi c’era e la passione di chi non c’era, portano la firma inconfondibile di una città che, quando vuole, è ancora capace di dare – e di farlo in maniera speciale.
Che ti posso dire? Dopo questo post, rimpiango di non essere nata a Genova!
Grazie Ale.
Anch’io, deve essere stata un’esperienza memorabile. Bellissimo post. Grazie Ale.
Prima di leggere ho scorso velocemente le immagini e sono rimasta a bocca aperta davanti a quell’enorme mortaio!
Tutto il sapere della signora Alfonsina e la sua esperienza farebbero impallidire chiunque ed io non posso che ammirarla!
Voi Genovesi siete un popolo meraviglioso e lo si capisce conoscendovi, lasciando agli altri i luoghi comuni 🙂
Poi io amo il pesto…e quando ci chiamate “foresti” 🙂
Grazie Ale di questo bellissimo racconto!!
87 anni senza dimostrarli…che donna deve essere la signora Alfonsina !
Alfonsina doveva vincere anche solo per il sollevamento pesi 🙂
Bellissimo articolo, pieno di amore per la propria città e la propria gente e prima o poi ci dovrò tornare a Genova che, confesso, ancora non sono riuscita a capire.
Ho una domanda: quale tipo di pecorino posso usare?
Grazie!
Questo è uno di quegli eventi a cui mi sarebbe veramente piaciuto partecipare. Il pesto sta a Genova come il ragù a Bologna e impararlo direttamente dai gesti e dai racconti dei genovesi sarebbe un’esperienza indimenticabile. Mi hai resa comunque partecipe con il tuo articolo, raccontato con la passione e la bravura che ti contraddistingue. Abbraccio virtualmente la mitica Alfonisina e urlo: W GENOVA!
Bellissimo….emozionante….commovente…Ale adoro leggere i tuoi post dedicati alla nostra magnifica città…mi ritrovo in tutto ciò che hai scritto, nella passione che ci hai messo…ma mai lo avrei potuto rendere come hai fatto tu!!! Grandissima Ale…felicissima di averti conosciuta!!!!!
Un abbraccio
monica
Hai ragione…dovevano capirlo subito appena visto il suo mortaio…che con la signora Alfonsina non ci sarebbe stata “trippa per gatti”….
Io c’ero, e da forestiera ho potuto comprendere al primo sguardo sulla sala del Maggior Consiglio quanto questo campionato sia sentito dai genovesi, tutti intenti a girare davanti ai concorrenti, a commentare il colore del pesto dell’uno, la consistenza di quello di un altro, e tifare.
E poi, al primo sguardo sull’Alfonsina e sul suo mortaio XL (e pure sul suo pestello, anche quello fuori taglia), io lo sapevo che avrebbe vinto.
Quanto amore, passione e orgoglio in questo racconto… Grazie Ale, soprattutto per averci mostrato come si possa amare incondizionatamente la propria città!
L’Alfonsina con quel mortaio è un monumento al pesto e il suo sguardo sereno e deciso dice molto di lei.
Grazie!
Commossa dalle tue parole, orgogliosa e fiera come te di appartenere ad una città che amo profondamente.
Grazie