Taormina Gourmet 2014: i punti chiave

Pubblicazione: 03/11/2014

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Dal ricco calderone di Taormina Gourmet2014 vogliamo estrapolare un paio di concetti chiave sui quali si potrebbe ragionare per ore. Senza nulla togliere a tutti coloro che hanno dato il proprio prezioso contributo alla manifestazione, vorremmo partire dalla “lezione di cucina numero zero” di Fabio Picchi, e dalla presentazione di Andrea Ribaldone per fare alcune riflessioni e, possibilmente, aprire un dibattito.

Primo tema: il cibo come esperienza

Fabio Picchi
Quanti di noi si sono in qualche modo emozionati alla vista di un bel dolce, nel sentire il profumo del soffritto, nel gustare un piatto prelibato? E quanti di noi invece si emozionano al fruscìo delle banconote? Picchi parte da questo paragone per aprire l’accesso alla cucina come esperienza a tutto tondo, come momento di emozione. In Italia non c’è, a differenza che in Francia, la cultura dell’esperienza gastronomica nel grande ristorante. Se escludiamo gli appassionati che non si fanno alcuno scrupolo ad investire tempo e denaro al ristorante, tutti gli altri non si premiano una volta tanto con una bella cena. Tutti gli altri non cercano l’esperienza emozionale e/o culturale al ristorante. Non solo: si registra ormai la tendenza a ordinare solo un piatto al ristorante, sì: anche nel “grande” ristorante.
Quali sono le ragioni di questa lontananza fra alta cucina e gente comune, in un paese come l’Italia che fa della buona tavola una delle sue più alte bandiere?
Perché si preferisce premiarsi con un cellulare nuovo piuttosto che con una cena gourmet?
Hamburger di carne d’asino

Secondo tema: tradizione e innovazione

Andrea Ribaldone
Le parole di Ribaldone sono state una ventata d’aria fresca: senza alcuna falsa diplomazia ha puntato il dito – fra le altre cose – contro la tanto proclamata lotta fra tradizione e innovazione in cucina. Anche secondo noi non c’è nulla di più insensato: la cucina è, ed è sempre stata, trasformazione e contaminazione. Trasformazione di materia grezza in qualcosa di più appetibile, tecniche sempre in evoluzione, metamorfosi continua delle presentazioni, cambiamento storico nella percezione del “gusto” (pensiamo ad esempio alla scomparsa delle intense speziature di qualche secolo fa). E poi: contaminazione di ingredienti, importazione ed esportazione di piante e animali, contatti e scambi fra i popoli: tutto questo avveniva quando ci si muoveva su muli, bastimenti e carrozze, figuriamoci adesso. Perciò non si può che affermare che quella che noi percepiamo come “tradizione” lo è solo perché la nostra memoria storica di “umani del nostro tempo” arriva si o no a cinquant’anni fa. Per noi “tradizione” è la zuppa di pane della nonna: un po’ poco, temporalmente parlando, rispetto alla storia dell’uomo. E probabilmente c’è bisogno di scrollarsi di dosso la tradizione intesa come elemento statico per considerarla, invece, un terreno fertile da cui far crescere una nuova cucina dinamica e “fresca”.
Cosa ne pensate?
Macedonia di frutta e verdura sciroppate, sorbetto di yogurt e basilico
***
Il Direttivo ringrazia sentitamente tutta la redazione di Cronachedigusto.it, in particolare la giornalista e nostra socia Clara Minissale, per aver reso possibile la partecipazione di AIFB a Taormina Gourmet, manifestazione prestigiosa e ricca di contenuti, che rende finalmente giustizia alle enormi potenzialità del Sud in campo enogastronomico. 

Articolo di Sara Bardelli

12 commenti

  1. Partecipo molto volentieri a questo dibattito. Ora sono in mezzo al lavoro, ma mi riprometto di ripensare a queste considerazioni e a questi temi che mi affascinano moltissimo. A presto, non appena avrò elaborato un pensiero caratterizzato da elementi di una qualche coerenza e logicita’.

  2. Una prima considerazione mi si affaccia alla mente: lasciamo da parte la considerazikne che non tutti sono educati al gusto e a percepire le differenze tra ingredinti e cotture, e limitiamoci a coloro che sono in grado di apprezzare. Molti sentono smorzarsi l’emozione di una qualche “esperienza”gastronomica” di fronte alla spesa che certa cucina di ricerca richiede. Non vale la pena, dicono, di spendere certe cifre per adsaghiare qualcosa che molto spesdo viene presentato sul piatto in quantità considerate troppo limitate e che, in aggiunta, non appaiono “reali” perché non replucabili nelle mense casalinghe.

  3. Ritengo che il paragone con la Francia soffri di una certa esterofilia alquanto dilagante sull’argomento perchè, per mia personale esperienza non è proprio così.
    Il mondo dell’alta ristorazione e quello della gente comune non si incontra per motivi abbastanza concreti alcuni dei quali vivo in prima persona.
    Fatto salva l’eccezione del fattore economico che è vera-e-non-vera allo stesso tempo e cioè le persone continuano a mangiare fuori casa privilegiando la pigrizia in cucina alla buona cucina, il tutto secondo la propria possibilità economica che diventa zero per molti vista la crisi attuale, trovo che la discriminante maggiore sia il gusto, quello educato e non necessariamente il palato fine per talento naturale.
    Le persone mangiano ma non sentono una ceppa in bocca e quindi in questa sorta di cecità sensoriale si lasciano affascinare da tutto il resto che è appunto, marketing, confezionamento del piatto, atmosfera di un locale e cazzatelle varie…
    La mia personale esperienza infatti mi porta ad essere un utente mediamente critico ma altrettanto soffrirei di mancanza di “alta cultura” se dovessi affrontare d’emblée uno chef pluristellato perchè sarei portato al diniego della sua bravura qualora non mi sapesse emozionare palato e anima.
    La sensibilità è fondamentale e non necessariamente la si ha, si hanno le basi, ma va anche coltivata e chi lo dice che io ho la “sensibilità” al palato per saper cogliere la nota fine e di ricercatezza dello chef che al limite ha una complessità interiore che rende in modo meno fruibile per i più?!
    Chiunque davanti a Guernica senza il background storico farebbero la figura dei pipponi stratosferici perchè certi passaggi sono inequivocabilmente “storici” e da quelli non si prscinde malgrado il valore assoluto dell’opera.
    In Italia manca questa consapevolezza storica, molti blogger che conosco, non hanno mai fatto una pasta e fagioli ma hanno il sifone in casa per arieggiare qualsiasi alimento hanno sottomano. Tutti vogliono correre i 100 metri ma non hanno nemmeno mai fatto una campestre.
    E’chiaro che sotto sotto preferiscono il cellulare ad una cena stellata manco la capirebbero veramente, prefriscono passare l’idea che “già sanno” quando invece non sanno nemmeno come si pulisce la verdura o il pesce.
    In Francia non è diverso, i supermercati abbondano di semilavorati e lavorati e poichè Parigi non è Francia allora posso ragionevolmente dire che forse loro stanno peggio di noi per alcuni aspetti. La Francia senza Parigi è un paese davvero diverso ma questo è irracontabile a chi vive dell’immagine stereotipata della cucina francese d’elite all’ombra della torre Eiffel.
    Insomma ignoranti noi di base. Se poi volessimo parlare degli chef e di quanto i soldi li “inguaino” letteralmente…
    Almeno i calciatori si sa che sono ignoranti…gli chef passano anche per persone elevate…ma ci avete mai realmente scambiato 4 chiacchiere…alcuni sono gretti ce provinvciali come non si crederebbe…

  4. Tradizione- I piatti della tradizione sobno come la coperta di casa- ognuno di noi ha il ricordo ben stampato nella mente di un determinato sapore di alcuni piatti appartenenti alla tradizione culinaria italiana in generale e della propria famiglia, in particolare. Sono io la prima che soffre all’idea che certi sapori, sono ormai irreplicabili perchè non esistono più nè i metodi di cottura di una volta, nè gli ingredienti stessi. Questa è la considerazione iniziale per dover ammettere che l’evoluzione diventa necessaria ed imprescindibile. Di fronte a persone che mi chiedono “ma la parmigiana non esiste più?”, io rispondo che esiste se te la fai ed è anche giusto che continui ad esistere ed è bene ricordarsi di come veniva fatta da mamme e nonne ma non possiamo evitare che la parmigiana possa subire un’evoluzione: sarà una parmigiana “evoluta” che va apprezzata per le caratteristiche sue proprie ideate da chi te la propone. Certe persone non si rendono neanche conto che ciò che gli viene proposto non è il piatto storico di partenza ma che ha subito una modifica dovuta a cotture più lente, alla diminuzione dei grassi, alla diversità di consistenza….
    A mio giudizio tradizione ed innovazione hanno entrambe diritto di cittadinanza. Si tratta di imparare a comprenderne ed apprezzarne le diversità che vuol anche dire capure quando è il momento di servire in tavola un piatto di stretta tradizione e quando quel medesimo piatto deve essere servito con una buona dose di innovazione. E’ la stessa distinzione che bisogna saper fare tra le scelte dell’abbigliamento: senza nulla togliere alla bellezza ed apprezzabilità di certe minigonne e short, bisogna saper scegliere l’opportunità o meno di presentarsi mezzi nudi a scuola o in ufficio. E’ questione di cultura e a volte anche questa non è sufficiente perchè è questione di….educazione del gusto 😉

    1. Giulietta, avevo affrontato un altro aspetto dell’articolo ma per quanto mi riguarda il mio pensiero trova nelle tue parole piena corrispondenza per quanto affermi in modo chiaro e puntuale sull’aspetto tradizione ed evoluzione. Anche qui la consapevolezza ha il suo ruolo decisamente non marginale nel saper far propria la tradizione e rileggerla con gli elementi che si hanno oggi a disposizione, siano essi di tecnica (nuovi o meno che siano) o di prodotti la cui disponibilità varia con il cambiare delle economie e con il differente valore della produzione agroalimentare.
      Mi piace come scrivi, davvero e questo indipendentemente dal fatto di esser d’accordo con te.

  5. Arrivo dopo che Mario e Giulietta hanno praticamente espresso tutto il mio pensiero, in particolare il passaggio di Mario, sullo strafigherrimo sifone in casa di chi non ha mai preparato un piatto di pasta e fagioli.. ma quanto è vero!
    Francamente pagare 135 euro per spremermi in bocca un tuorlo d’uovo crudo avvolto dentro un guscio di pellicola… non so ..sono troppo ignorante per apprezzare.. innovativo si, ma le mie papille gustative non sono pronte.. che vogliamo farci… Per carità ci sono poi le eccezioni, e al Taormina Gourmet, si è avuta la fortuna di conoscere e apprezzare il genio di molti talentuosissimi chef nazionali, mi riferisco a Roberto Perbellini, un mito, e ad Angelo Sabatelli, genio assoluto. In linea di massima, comunque, tra il cellulare e la cena, non escluderei anche, di prendere in considerazione il fattore delusione, a fronte di mirabolanti aspettative, quanti poi sono andati in estasi di fronte ad un risotto alla milanese di Carlo Cracco? E lo dico proprio io che ho un cellulare inizio secolo 😀

  6. La parola “gastronomia” per me richiama immediatamente Petrini, con il suo libro “buono, sano e giusto”. Non mi esprimo sui ristoranti stellati, non abbiamo la possibilità economica di frequentare quelli quanto neppure di comprarci un cellulare nuovo (ci sarà un motivo se ci chiamano “generazione senza”). Ma gastronomia è anche la materia prima di eccellenza, che rinchiude in sé la sapienza (costruita sul binonio innovazione e tradizione), la conoscenza, il fare bene le cose, il rispetto per il territorio. E qui la nostra scelta è stata quella di prediligere materie prime ben fatte, decisamente più costose rispetto a quelle “da discount”, ma con un sapore autentico, e recuperare “l’investimento” preparando tutto in casa (i biscotti della colazione, la torta, il pane, le conserve, la pizza del sabato sera, ecc.).
    Ma nello scegliere la materia prima di qualità, così come il ristorante stellato, c’è dietro la comprensione di cosa ci sta dietro, della qualità, dei processi, insomma di un’educazione gastronomica che in età adulta avviene probabilmente solo se uno prova curiosità sull’argomento (o forse no? o forse se fossimo un po’ meno bombardati di ricette della Parodi e un po’ più sulla gastronomia saremmo gradualmente più attenti a certe cose? non lo so).

    Innovazione e tradizione: nella mia vita sono tormentata da questo binomio, me lo ritrovo nell’architettura quanto nel paesaggio e nella gastronomia. Non è possibile cristallizzare dinamiche “vive” come quelle legate al cibo, non ha senso rinunciare a sfruttare la tecnologia intelligente come a non considerare certe nuove scoperte. Allo stesso modo non bisogna rinnegare il passato o perdere le nostre radici. Come un equilibrista sul filo, a ogni passo bisogna ricercare il giusto bilanciamento, e contemporaneamente scrutare la storia e proiettarci nel futuro.
    Dani di Acqua e Menta

  7. Provo a dire la mia “dal basso”. Secondo me qui da noi non c’è una via di mezzo: o ristoranti in cui si mangia come a casa se non peggio o superstellati a cui è difficile avvinarsi. Penso a Parigi, perché come Gambetto penso che Francia-Parigi siano due mondi a parte. Nella capitale francese ci sono ristoranti in cui per prenotare si deve telefonare un mese prima, in cui vai spendi un fisso (mai folle, esclusi i vini) e mangi come uno stellato da noi. Quello che cerco di dire, e penso a Roma, che i nostri stellati siano un po’ troppo lontani dal popolo. Non condivido il discorso sull’abitudine al gusto. Vengo da una famiglia in cui si è sempre cucinato e non credo di essere l’unica, forse col tempo si stanno perdendo certe consuetudini, ma gli italiani in linea generale sanno mangiare e sanno sentire…o sbaglio? Quello che noto attorno a me è la pigrizia, l’associazione che il cucinare sia una perdita di tempo…in molti cucinano per mangiare e stop. I bambini sono abituati a gusti limitati. ma credo che terreno fertile su cui poter lavorare ce ne sia.

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