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Pubblicazione: 30/06/2018
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Era il 1979 e io, giovanotto di vent’anni proveniente dalla Sicilia, dopo il corso allievi ufficiali venni assegnato con l’incarico di Comandante di plotone alla caserma di Diano Castello, in provincia di Imperia. La mia condizione di ufficiale mi permetteva di alloggiare fuori dalla caserma; ne approfittai e andai a vivere in un piccolo albergo in collina.
L’albergo era gestito da una coppia simpaticissima – e dalla nonna che comandava tutti a bacchetta – che, lì vicino, possedeva una meravigliosa, vigna dove si coltivava il vitigno principe della costa ligure: il Pigato.
Vedendo una vigna così ben tenuta il mio spirito contadino si risvegliò e mi offrii di dar loro una mano e di imparare alcune tecniche di viticoltura. Poiché era gennaio e non c’erano villeggianti passavamo i fine settimana a lavorare in vigna e ricordo ancora con quanta passione quella famiglia curava la propria vigna, poi l’uva e infine il vino.
Dopo pochi anni sarebbe scoppiato il famoso scandalo del metanolo, quindi, a posteriori, ho apprezzato ancora di più la cura e l’amore che questi amici mettevano nel produrre il vino pensando più alla qualità che al profitto. Ricordo che avevano messo a punto un metodo che, con l’aiuto del freddo, preveniva la velatura del vino ai primi caldi. Oggi sono passati quarant’anni e la tecnologia ha permesso di fare grandi progressi, ma l’impegno è rimasto immutato, resistendo anche al cambio generazionale.
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La Liguria è una regione che da sempre registra piccoli numeri nel contesto enologico nazionale, ma negli ultimi vent’anni sono stati fatti passi da gigante per quanto riguarda la qualità dei vini.
Una buona parte dei vignaioli liguri, che per molti anni hanno fatto affidamento su pratiche enologiche e di marketing un po’ obsolete, oggi hanno finalmente iniziato un percorso di rinnovamento e di apertura verso il mondo. Iniziamo assieme questo magnifico giro enologico per la Liguria e i suoi 300 km di costa.
Partendo per il nostro tour dal confine con la Francia e dalla provincia di Imperia, non possiamo non nominare La Doc Rossese di Dolceacqua. Dal vitigno Rossese, che per anni è stato un po’ maltrattato da tanti esperti del settore, oggi, grazie anche a una maggiore cura nella vinificazione, si ricavano vini con sfumature fini ed eleganti. Senza ombra di dubbio è un vitigno da tenere sotto controllo negli anni a venire.
Piccola menzione va fatta per un altro vitigno di nicchia, che ha beneficiato negli ultimi anni di una vera e propria riscoperta: il Moscatello di Taggia. La coltivazione di quest’uva, già nota XVI secolo, è una piccola realtà: attualmente viene vinificata sia come vendemmia tardiva, sia come vino secco.
Continuando a percorrere la Riviera Ligure di Ponente torniamo al Pigato, cui accennavamo più sopra, che oggi entra con diverse percentuali in diverse Doc. Anche il Vermentino entra in diverse Doc e, insieme al Pigato, è il vitigno più diffuso in quest’areale. La zona di Albenga e Ortovero in provincia di Savona e di Ranzo in provincia di Imperia sono le zone più rinomate per entrambi i vini.
Questi due vitigni sono praticamente fratelli, anche si differenziano poi per il risultato in bottiglia. Il Pigato tende a essere un vino che esprime il meglio di sé con qualche anno di invecchiamento ed è stato declinato un po’ in tutti i modi, poiché viene diventa passito, ma anche spumante metodo classico. Il Vermentino è già in grado di colpire da subito, per la sua freschezza e per un bouquet di profumi sempre molto piacevoli.
Sempre in provincia di Imperia, se ci avventuriamo nell’entroterra, troviamo il Dolcetto, qua chiamato Ormeasco. Principale protagonista della Doc Ormeasco di Pornassio, vino eroico, è storicamente una delle più importanti denominazioni liguri.
Negli ultimi anni sono stati riscoperti in Liguria alcuni vitigni autoctoni che danno ottimi vini: è il caso della Lumassina delle Colline Savonesi Igp, un vino semplice, ma fresco e piacevole soprattutto spumantizzato con il metodo Charmat (un metodo di spumantizzazione in autoclave).
Per quanto riguarda i vini rossi in fase di rilancio senza dubbio c’è la Granaccia, che nel Savonese la fa da padrona.
Il futuro è aperto anche ad altre sperimentazioni e si stanno sviluppando progetti con vitigni di origine francese come Sirah, Viogner e Roussanne.
Genova sta faticosamente cercando di trovare uno spazio nel mercato per il vino simbolo della città: il Val Polcevera Coronata Doc, che nasce dai vitigni Bianchetta Genovese, Vermentino e Albarola.
Il vitigno Bianchetta è molto diffuso in tutta la provincia di Genova; dà un vino semplice e fresco di cui moltissimi produttori propongono anche la versione spumante metodo classico.
Un vitigno riscoperto da poco e sul quale val la pena scommettere è lo Cimixa, salvato dall’estinzione e oggi coltivato nell’entroterra di Chiavari e Lavagna (Genova).
In questa specifica zona si fa sentire l’influenza della Toscana e quindi troviamo il Sangiovese, ma anche il Ciliegiolo, che una buona parte dei produttori vinifica in rosa. Oltre ai vitigni di chiara origine toscana però ce sono altri, quasi sconosciuti: la Pollera Nera e il Vermentino Nero che ultimamente stanno prendendo piede e che vengono vinificati insieme o separatamente.
Il vino per antonomasia dei Colli di Luni è però il Colli di Luni Doc, che è prodotto con il vitigno Vermentino: un vino di personalità, con aromi fruttati e vegetali.
I muretti a secco, costruiti nel corso secoli dagli agricoltori di queste zone (che rientrano nella provincia di La Spezia), sono oggi in gran parte abbandonati o in rovina. Dalle viti che ancora vi vegetano si ricava, in piccolissima quantità, un vino passito molto particolare: lo Sciacchetrà, che oggi, grazie anche al lavoro degli amici di Slow Food è denominato Cinque Terre/Sciacchetrà Doc.
Il nome di questo vino aromatico pare derivi da shekar, termine ebraico utilizzato per indicare genericamente una bevanda alcolica. Si produce con uve Bosco, Albarola e Vermentino lasciate appassire per oltre settanta giorni. Al termine dell’appassimento, quando gli acini sono ricoperti di muffa nobile, i grappoli vengono diraspati e pigiati per ottenere poco più di venticinque litri per ogni quintale di uva.
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