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Pubblicazione: 5 Ottobre 2015
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“Sempre mi trema il còr quando ci vai, perché ho paura che non torni mai: sia maledetta Maremma Maremma, sia maledetta Maremma e chi l’ama“. Così faceva una vecchia canzone popolare, Maremma Amara, nata quando iniziò la bonifica di quella zona, allora paludosa e malsana, che si apre a sud-ovest del monte Amiata e si snoda da nord a sud fino al limite naturale del mare. Parole che oggi sembrano inadeguate alla bellezza, maestosità e rigoglio di una zona ricca di acque, pascoli, boschi, e radi ma fascinosi insediamenti umani. Eppure è stata una terra affetta da brigantaggio, analfabetismo, malaria e povertà: le speranze di coloro che puntavano ad una nuova terra da conquistare e sfruttare furono legate alle difficili condzioni climatiche – “marismas” significa palude – e ad una bonifica che arrivò solo a metà ottocento.
Una delle attività più diffuse prima della bonifica era sicuramente la pastorizia, cui si affiancò successivamente l’agricoltura. Tuttavia, le ampie distese verdi picchiettate di pecore o vacche sono tutt’ora uno dei paesaggi più diffusi nella maremma grossetana, e la produzione di formaggio, specie il pecorino, rappresenta una delle eccellenze locali più ancorate ad una tradizione di sapienza popolare e lavoro duro.
Ospiti del Consorzio Pecorino Toscano DOP, abbiamo avuto il privilegio di conoscere e toccare con mano quanta fatica, dedizione e passione siano alla base della pastorizia. Sì perché prima del casaro abbiamo conosciuto i pastori: la signora Vannini alleva qualche centinaio di pecore, al pascolo, e ogni giorno rifornisce di latte il caseificio che visiteremo dopo. Suo nonno faceva lo stesso perciò il rapporto tra le due famiglie è consolidato: amicizia, stima e collaborazione sono qualità preziose per un lavoro come questo.
La tecnologia nel frattempo è progredita, così come le norme igieniche: oggi non si munge quasi più a mano (una nostra socia ci prova lo stesso), per evitare ogni contatto fra latte e agenti esterni. Apposite macchine vengono attaccate delicatamente alle mammelle delle pecore che, distratte dal cibo nella mangiatoia, si lasciano mungere pacificamente per circa un minuto a testa. La razza prevalente è quella sarda, più forte e idonea alla produzione di latte.
Roccalbegna è un piccolo centro incastrato fra le rupi a sud-ovest del Monte Amiata, alle porte della maremma grossetana: la sua storia è legata al susseguirsi di varie dominazioni, da quella degli Aldobrandeschi nel Medioevo, alla Repubblica di Siena nel seicento fino al Granducato di Toscana. Le fortificazioni ancora presenti ne raccontano le vicissitudini e ne caratterizzano le architetture.
In questo contesto incontriamo la famiglia Fiorini, che da due generazioni è coinvolta interamente nel lavoro al caseificio “il Fiorino”. Angela Fiorini e il marito Simone Sargentoni ci accolgono con l’ospitalità e la gentilezza di chi ha a cuore i visitatori tanto quanto i propri familiari: la produzione, con nostra grande sorpresa e gratitudine, viene avviata di sabato appositamente per noi. Il latte arriva ogni giorno dai pascoli locali, ed ogni giorno è un latte diverso: lo si seleziona in base alle caratteristiche organolettiche riscontrate e lo si lavora per ottenere il prodotto più idoneo alle sue potenzialità. Caglio certificato e sale minerale di Volterra sono gli unici ingredienti aggiunti al latte nei pecorini classici; la tecnologia e l’esperienza umana si affiancano e si alternano in un tandem che rende il prodotto finito da un lato sicuro e controllato, dall’altro frutto delle capacità e della professionalità degli operatori. La salatura, ad esempio, si fa “a occhio“: è frutto della sensibilità e manualità del casaro.
L’emozione più intensa è però quella che si vive visitando le grotte di affinamento del pluripremiato pecorino “Riserva del Fondatore“, situate nella vecchia sede nel centro storico di Roccalbegna. La temperatura costante della roccia che sovrasta il retro dell’edificio fanno sì che il formaggio si mantenga, correttamente e a lungo, in un microclima stabile e ideale affinché l’affinamento faccia il suo corso e non sopraggiungano muffe sgradite. La grana di questo pecorino ricorda quella del Parmigiano: il gusto è pungente, avvolgente, ricco di sfumature, che si intensificano -insieme alla cristallizzazione- man mano che ci si avvicina ai due anni di affinamento.
Il responsabile del Consorzio che con grande professionalità ci ha accompagnati nel tour, ha illustrato un progetto di grande interesse per l’innalzamento della qualità media del prodotto. Coinvolgendo alcuni pastori che hanno fatto da apripista, si è attuata la riconversione di allevamenti in stalla ad allevamenti al pascolo: eliminando i mangimi, seminando colture stagionali e nutrendo le pecore con gli erbaggi così prodotti si è riscontrato un innalzamento sia della resa quantitativa sia della qualità del latte. I vantaggi sono molteplici: ne guadagnano gli allevatori dal punto di vista economico, gli animali in salute e benessere, ed i consumatori in possibilità d’accesso a prodotti qualitativamente eccellenti. Ora si lavora con la Regione per ampliare il progetto da 5 a 500 allevamenti: ci auguriamo che l’obiettivo sia raggiunto al più presto, e che le istituzioni siano sensibili ad un tema sempre più caro sia agli utenti che agli operatori del settore.
Articolo di Sara Bardelli
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AIFB ringrazia sentitamente il Consorzio Pecorino Toscano DOP per l’opportunità e la collaborazione.
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