I pizzoccheri

ph. Daniela Boscariolo

Pubblicazione: 15 Febbraio 2016

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Giornata Nazionale dei pizzoccheri

Ambasciatrice Alessandra Petteni per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

Scrivi Pizzoccheri e leggi Valtellina. Il 15 febbraio è la giornata nel Calendario dei Cibo Italiano dedicata a questo gioiello della montagna, un piatto meraviglioso che ha radici umili e trascorsi piuttosto misteriosi.

Il percorso a ritroso nel tempo colloca la culla di questo prodotto nel paese di Teglio in provincia di Sondrio, dove tutt’oggi ha sede l’Accademia del Pizzocchero che ha codificato il disciplinare di produzione della pietanza. Sul dove, Teglio in Valtellina, tutte le fonti concordano; sul quando e sul come invece, la storia si mescola alla leggenda.

Ortensio Lando, nel 1500, in occasione di un suo viaggio a Teglio presso la famiglia Besta, potrebbe aver assaggiato degli antenati dei pizzoccheri che ha poi così descritto nel suo Catalo dell’inventario delle cose che si mangiano, et delle bevande c’heggedì s’usano stampato a Venezia nel 1548:
“Meluzza comasca: fu l’inventrice di mangiar lasagne, maccheroni con l’aglio, spetie, et cacio, di costei fu anche l’inventione di mangiar formentini, lasagnuole, pinzocheri, vivarmolo: morì di penta et honorevolmente sepolta”

Il Lando era uomo di narrazione e d’inventiva, ma i dubbi in merito a quale pasta lui abbia assaggiato potrebbero essere due; il primo riguarda l’effettiva esistenza di una Meluzza a Como di cui non esistono prove certe, la seconda riguarda l’esistenza in quegli anni di colture di grano saraceno – ingrediente fondamentale per la realizzazione dei pizzoccheri – nel nord Italia, in anticipo di circa un secolo rispetto alle altre notizie (1).

Giuseppe Baretta ricercatore della Biblioteca Nazionale Braidense accredita comunque la tesi di Orlando Lando scrivendo:
“PINZOCHERI, oggi chiamati pizzoccheri fatti con il grano saraceno già si gustavano ai tempi della Meluzza, che fu l’inventrice, una donna che di cucina la sapeva lunga (…)
La Meluzza diede a questo cereale più gusto aggiungendovi cacio, burro, verdure. Oltre ai pizzoccheri ecco la polenta taragna fatta anch’essa con il grano saraceno, senz’altro ancor prima dei pizzoccheri. Patria dei pizzoccheri l’alta Valtellina, con capitale Teglio.”

Per avere una traccia inequivocabile della presenza dei pizzoccheri bisogna attendere quasi la metà dell’800, questo non significa che non esistessero in precedenza, significa solo che non rechiamo traccia scritta.
Era il 1834 quando Giuseppe Filippo Massara – medico chirurgo – nel suo Prodomo della flora Valtellinese scrisse:
«È buona, e sana, specialmente se condita con butirro e con fette di formaggio fresco, come s’usa nel primo distretto [corrispondente al territorio di Sondrio] nel qual caso dicesi taragna, e poco rileva se non appaga tanto la vista, e se non è confacente agli stomachi soverchiamente dilicati». Il medico precisa anche: «Colla stessa farina si fanno più altre ragioni di vivande, siccome gnocchi o tagliatelli, chiamati sì gli uni che gli altri pizzoccheri»

Qualunque sia il percorso che li ha portati a noi, oggi conosciamo quali sono gli ingredienti per prepararli e sono tutti legati a doppio nodo con il luogo di origine di questo piatto e ci aiutano a comprenderlo meglio di qualunque altra ricerca.

Pochi ingredienti, quelli reperibili nell’asprezza della montagna alpina.

Quello che si definisce un piatto povero, non riferendosi certamente al sapore o all’apporto nutrizionale. Il clima è rigido, gli spostamenti faticosi e il lavoro duro. Ci si doveva nutrire adeguatamente e lo si doveva fare con i prodotti a disposizione: ortaggi, formaggio e grano. Una ricetta vegetariana “ricca” come tante della nostra tradizione regionale.

La base da cui si deve partire è il Grano Saraceno.
Prodotto tipico della Valtellina e Presidio Slow Food è fondamentale per la realizzazione dei pizzoccheri. Furmentun (o formentone in una sorta di italianizzazione), era il nome originale, che compare per la prima volta negli scritti della seconda metà del XVI secolo, ed è lo stesso tuttora in uso in loco.
Il nome botanico è Polygonum Fagopyrum Sagittatum e pare ormai certo che quest’arbusto provenga dalle regioni siberiane meridionali e che abbia raggiunto nel tardo Medioevo l’Europa. Una pasta, quella dei pizzoccheri,fatta di sola farina (di grano saraceno e bianca in piccola parte) e di acqua. Niente uova perché la pasta “ricca”, quella con le uova, era anticamente legata solo all’Italia centrale. Il nord e il sud avevano il grano ma non avevano gli animali da cortile o comunque non potevano “sprecare” nella realizzazione di una pasta un cibo salva vita come l’uovo.

Le patate di montagna. Il nostro lungo paese ne raccoglie diverse qualità di ottimo pregio a tutte le latitudini. Il perché di questa diffusione è dato da condizioni di partenza comuni: difficoltà di coltivazione su suoli montuosi – meno grassi e meno accessibili dei terreni pianeggianti – che devono produrre al massimo delle loro possibilità. L’alto potere nutritivo è stato sicuramente un altro dei motivi chiave dell’intensa coltivazione di questo prodotto in molte aree. L’eccessivo consumo, unito alla scarsa presenza di iodio nell’ambiente e nel cibo, hanno causato anche malattie come la gotta e il gozzo in molte province – tra cui quella bergamasca da cui provengo – ma questo sentiero rischia di portarci lontani dalla storia che stiamo ricostruendo oggi. Continuiamo sulla via deiPizzoccheri con un detto storico
“Quandu al finis i tartùfuli de Bórm, al furmentón de Tej e al vin de Pónt, l’éscè la fin del mónd”»
che si può tradurre con “Quando finiranno i tuberi (nel senso delle patate) di Bormio, il grano saraceno di Teglio e il vino di Ponte arriverà la fine del mondo”. (2)

La verza. Altro ortaggio che non può fare a meno dei luoghi freddi e di cui i luoghi freddi non possono fare a meno. Resiste ai climi rigidi, anzi ne trae giovamento in termini di gusto. E’ la chiave di altri piatti lombardi, oltre che dei pizzoccheri, come della celebre cassoela. Può essere sostituita – la ricetta tradizionale contempla la possibilità – con coste o fagiolini in virtù della stagionalità.

Il burro e il formaggio. Qui entriamo nel campo delle eccellenze della valle. In una terra che vive di allevamento, di quel tipo di allevamento che costa fatica e rispetta gli animali profondamente. Quello fatto di alpeggi, di transumanze, quello che restituisce al casaro come premio di un lavoro estenuante formaggi che sono il nostro fiore all’occhiello pregni del profumo che il latte ha raccolto dalle erbe e dai fiori brucati da mucche al pascolo. Un burro ricco quello che in Italia si chiama di malga e un formaggio, il Casera Dop, delizioso e a pasta molle prodotto in loco come il Bitto Dop ma non intercambiabile con quest’ultimo secondo la ricetta storica. I Pizzoccheri si fanno con il Casera.

Dopo aver esplorato gli ingredienti principali vediamo insieme La ricetta. La sola ufficiale, quella dell’Accademia del Pizzocchero di Teglio (3).

I pizzoccheri*

Ingredienti (dosi per 4 persone)

400 g di farina di grano saraceno
100 g di farina bianca
200 g di burro
250 g di formaggio Valtellina Casera dop(den.ne di origine protetta)
150 g di formaggio in grana da grattugia
200 g di verze
250 g di patate
uno spicchio di aglio, pepe

Preparazione:

Mescolare le due farine, impastarle con acqua e lavorare per circa 5 minuti.
Con il mattarello tirare la sfoglia fino ad uno spessore di 2-3 millimetri dalla quale si ricavano delle fasce di 7-8 centimetri. Sovrapporre le fasce e tagliarle nel senso della larghezza, ottenendo delle tagliatelle larghe circa 5 millimetri.

Cuocere le verdure in acqua salata, le verze a piccoli pezzi e le patate a tocchetti, unire i pizzoccheri dopo 5 minuti (le patate sono sempre presenti, mentre le verze possono essere sostituite, a secondo delle stagioni, con coste o fagiolini).

Dopo una decina di minuti raccogliere i pizzoccheri con la schiumarola e versarne una parte in una teglia ben calda, cospargere con formaggio di grana grattugiato e Valtellina Casera dop a scaglie, proseguire alternando pizzoccheri e formaggio.
Friggere il burro con l’aglio lasciandolo colorire per bene, prima di versarlo sui pizzoccheri.
Senza mescolare servire i pizzoccheri bollenti con una spruzzata di pepe.

*la ricetta è come riportata da disciplinare, i quantitativi sono forse eccessivi per 4 porzioni come le intendiamo noi oggi che non scaliamo a piedi le montagne.

Fonti:
(1) Di grano antico. Elogio dei pizzoccheri di Teglio, NodoLibri, Como 2005
(2)Gabriele Antonioli, Parla ‘me tamànget, 2002
(3) Accademia del Pizzocchero di Teglio

Partecipano come contributors:

Elisa Di Rienzo, Pizzoccheri valtellinesi delicato alla Sadler
Enrica Gouthier, Pizzoccheri alla valtellinese
Sara Sguerri, Pizzoccheri alla Valtellinese
Aurelia Bartoletti, I Pizzocheri Valtellinesi
Tamara Giorgetti, Pizzoccheri di Teglio
Daniela Boscariolo, Pizzocheri alle cime di rapa
Daniela Stratta, Pizzoccheri alla mia maniera
Erica Repaci, Bitto, verza e grano saraceno: i pizzoccheri valtellinesi
Antonella Marconi, Pizzoccheri di Teglio
Anna Maria Bustelli, Pizzoccheri Handmade

11 commenti

  1. Il tuo piatto è molto bello, e l’articolo interessante io ho scritto poche cose perché sapevo che tu avresti parlato della storia dei pizzoccheri e ho preferito leggere tutto nel tuo articolo, non si può spaziare molto i pizzoccheri hanno solo una storia, è una pasta e una preparazione che amo molto e che faccio da tanti anni e metto molte più verdure del necessario ma sono così buone, grazie di tutto Alessandra, buona giornata

  2. Grazie a tutte per i commenti e i contributi. Su un piatto che ha origini un po’ difficili da tracciare e un esecuzione semplice che non consente moltissime variazioni sul tema abbiamo proposti un bel lavoro! Mi sto godendo ogni vostro post e non posso che complimentarmi. Questo calendario è grande fonte di soddisfazione 🙂
    Oggi sembra anche meno lunedì: potere taumaturgico del pizzocchero o della condivisione? Propendo – solo in questo caso – per la seconda opzione che il pizzocchero é straordinario ma questo gruppo di più

  3. Un post che rende onore a questo piatto favoloso che ho avuto modo di mangiare spesso e proprio nella sua terra di origine. La tua ricostruzione storica è appassionante, così come i riferimenti agli ingredienti cardine di questa ricetta, tutti meravigliosamente buoni, che messi insieme regalano un primo nutriente e di grande gusto.
    Non ho partecipato con il mio contributo pur avendoli sul blog da pochissimo, ma visito con piacere i contributors. Bravissima, Pat

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