Gli involtini di verza

Pubblicazione: 4 Gennaio 2016

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Giornata Nazionale degli involtini di verza

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Ambasciatrice  Ottavia Bielli per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

“…Biagio, Giovanni, Aldo ‘nì a disnè forsa!”
Immaginate una donna dai grandi occhiali squadrati e dai bianchi capelli, pettinati in ordinate onde a incorniciare un viso serenamente rugoso, affacciarsi coperta da uno scialle alla porta di una vecchia casa di campagna.
Seguite Biagio, Giovanni e Aldo, intrufolandovi di soppiatto, nella loro piccola ma accogliente cucina dove un tavolo apparecchiato con semplicità e il calore della legna che arde nella stufa li accolgono dopo una giornata di duro lavoro.
Inspirate profondamente e ascoltate con attenzione: da una padella di ferro il burro sfrigola allegro sprigionando il suo profumo pieno e corposo, l’odore di cavolo invade con irruenza tutto l’ambiante mentre rosola vivace e il sentore lontano dell’alloro a coronare il tutto.

Cavolo 01

Capunèt, Caponèt, Capunièt, Pès Coj, Pèss Coj, Quagliette.
Già solo la varietà di nomignoli e pronunce, il dialetto nel dialetto porta a innumerabili inflessioni, basta per capire quanto sia complicato sapere quale possa essere la ricetta originale degli involtini di cavolo verza, se si pensa alla cucina popolare pimontese: perché ogni donna di casa vi racconterà con orgoglio della sua che “è la migliore di tutte”, quella autentica di un tempo lontano, sempre che non si tratti di una tradizione di famiglia, di quelle segrete che si tramando di generazione in generazione e si lasciano solo assaporare.
Capunèt della Langa o Capunièt della Valsesia? Con o senza riso, meglio se coltivato e raccolto nel vercellese, a dar corpo al ripieno? Le varianti abbondano.
Ma tra pagine ingiallite di vecchi ricettari, fogli un po’ sgualciti di annotazioni, vividi ricordi o timide supposizioni quel che si può affermare con certezza è che ogni ricetta è legata all’altra da un unico e indiscutibile filo conduttore: la cucina del recupero.
Arrosti avanzati dal pranzo della domenica, fondi di bolliti e salumi, pane raffermo amalgamati a un paio di uova fresche e insaporiti da qualche prese generosa di formaggio grattugiato: perché in cucina nulla si spreca!

Cavoli in orto 02

Proprio in quelle campagne, le cui donne di casa, regine del focolare, si prodigavano ai fornelli per portare in tavola piatti di sostanza, tempo addietro ogni famiglia di contadini allevava il suo maiale che sarebbe poi stato macellato durante il periodo invernale per esorcizzare la paura di carestie ma che sarebbe soprattutto stato fondamentale sostentamento durante in mesi più difficili e ostici dell’anno.
Al termine di tutte le fasi della macellazione, le donne cucinavano e si festeggiava la “cena del maiale” con parenti e amici che sedevano insieme alla stessa tavola; e proprio con le foglie di cavolo verza raccolte nell’orto venivano preparati i capunèt.
Tutto ciò che imbandiva la tavola durante piacevoli momenti di convivialità era autoprodotto coltivando la terra e allevando il bestiame.

La ricetta.
INGREDIENTI PER 8 CAPUNET:

8 foglie di cavolo verza
120 gr. di arrosto di maiale
100 gr. di salame cotto
(oppure salame d’la duja)
50 gr. di formaggio grattugiato
1 tozzo di pane raffermo
2 uova
latte q.b.
prezzemolo q.b.
noce moscata q.b.
qualche foglia di alloro
2 spicchi di aglio
burro q.b.
sale q.b.
pepe nero q.b.
brodo caldo q.b.

Ingredienti Capunet

In una pentola capiente portare a bollore abbondante acqua salata e cuocere due foglie di cavolo verza per volta per cinque minuti circa. Scolarle delicatamente con una schiumarola e metterle a raffreddare su un panno pulito.
Ammollare il tozzo di pane con un po’ di latte tiepido strizzandolo poi per bene.
Su un grande tagliere di legno tritare con una mezzaluna (o con un coltello) l’arrosto di maiale, il salame cotto e il prezzemolo.
In una terrina raccogliere il trito di carni, aggiungere le uova, il formaggio grattugiato, il pane ammollato, mescolare con cura aggiustando di sale e insaporendo con pepe nero e noce moscata a piacere.
Procedere alla preparazione dei capunèt adagiando al centro di ciascuna foglia di cavolo verza due cucchiaiate di ripieno, ripiegando delicatamente i lati esterni di ogni foglia su di esso e arrotolando con cura fino a formare l’involtino.
Intanto in un’ampia casseruola scaldare qualche noce di burro con le foglie di alloro e gli spicchi di aglio. Aggiungere gli involtini di cavolo verza, rosolarli per qualche minuto da entrambi i lati a fiamma piuttosto vivo fino a quando saranno piacevolmente rosolati, proseguire a fuoco lento per una ventina di minuti aggiungendo di tanto in tanto qualche cucchiaio di brodo caldo e terminare la cottura con un’ulteriore spadellata vivace per far colorire leggermente i capunèt.
Servire gli involtini ben caldi brindando al “bon aptìt” con un bicchiere di vino rosso (un Pinerolese Rosso, asciutto e armonico; un Dogliani, asciutto ammandorlato e armonico; un Freisa, fresco e amabile).

Capunet 03

Il cavolo verza: il non plus ultra è quello montaltese. 

Brassica oleracea sabauda dalle foglie grinzose, increspate e dalle nervature prominenti il cavolo verza è un ortaggio povero ma conosciuto ovunque tanto che la sua coltivazione era, tra la fine dell’800 e i primi del 900, la più diffusa e costituiva una buona parte del reddito agricolo.
Gusto eccellente e qualità superiore fanno del cavolo verza invernale di Montalto Dora il non plus ultra nella preparazione dei capunèt grazie anche all’ottima consistenza e tenuta di cottura capace di avvolgere alla perfezione il ripiene nelle sue foglie gustose.
La sua coltivazione ha origini antiche e non a caso durante gli anni Venti e Trenta era conosciuto e apprezzato su larga scala: dal Piemonte alla Valle d’Aosta fino alla Lombardia.
I terreni freschi e sciolti del montaltese ne favorivano la produzione e dopo la raccolta poteva essere immediatamente commercializzato e consumato, oppure addossato in piena terra coperto da paglia in modo tale che le brinate dei mesi successivi potessero conferirgli particolare sapore e croccantezza.
Ma anche il “Paese del Cavolo Verza” conobbe il suo periodo di industrializzazione che portò la popolazione, fino ad allora prevalentemente dedita all’economia agricola, a occuparsi maggiormente a attività industriali perdendo parte di questo prezioso patrimonio rurale.
Fortunatamente nel 1996 un gruppo di associati al “Consorzio di miglioramento agrario” decise di aderire con entusiasmo al progetto dell’amministrazione comunale per il rilancio della sua coltivazione; grazie a un meticoloso lavoro di ricerca si riuscì a recuperare, nelle campagne degli ultimi orticoltori rimasti in attività, una piccola quantità del seme originale che con l’aiuto dell’Istituto di sperimentazione per l’agricoltura di Montanaso Lomabrdo (Pavia) consentì il recupero della varietà e ne definisce le linee guida per il suo mantenimento.
Nel più vicino 1998 nasce l’associazione denominata “Associazione per la valorizzazione e la promozione del Cavolo Verza di Montalto Dora” che provvede alla stesura di un vero e proprio disciplinare di produzione (“Disciplinare di corretta prassi per la produzione integrate del Cavolo Verza” http://www.cavoloverza.it/Documenti/Disciplinare%20di%20produzione%20integrata.pdf) fino a quando il sempre più crescente apprezzamento dei consumatori ha fatto sì che, nel 2009, il Cavolo Verza di Montalto fosse inserito nel “Paniere dei prodotti tipici della provincia di Torino” con la partecipazione negli anni a seguire a tutte le edizioni del Salone del gusto, rassegna a livello mondiale delle migliori eccellenze alimentari.

 Montalto Dora e Settimo Torinese: il Cavolo Verza in festa. 

Quando la storia e la rivalutazione di un prodotto di qualità riconosciuta diventano un vero proprio “fatto culturale” sono d’obbligo le celebrazioni con doverosi eventi enogastronomici e fieristici.
La manifestazione di Montalto Dora è nata proprio per rilanciare la coltivazione e l’utilizzo del Cavolo Verza la cui produzione annuale viene sapientemente certificata da una giuria formata da personalità di ambito gastronomico, agricolo e della ricerca nel campo della orticoltura biodinamica; e tra divertenti concorsi, tra cui quello del “Coj pi gross” per la premiazione del cavolo più pesante, che appassionano i visitatori, e cene organizzate dall’Associazione dei ristoranti della tradizione canavesana, che permettono di riscoprire i sapori di una cucina che fu ma che non smette mai di essere buona, il Cavolo Verza viene degnamente onorato.
Lo stesso vale per la “fera dij Coj” di Settimo Torinese che affonda le sue radici in un decreto regio del 1848 firmato dal re Carlo Alberto di Savoia; la fiera venne infatti istituita alla vigilia della prima guerra di Indipendenza con le patenti del 14 marzo 1948 che autorizzavano il comune a organizzare una fiera di autunno durante il mese di ottobre che una quindicina di anni più tardi venne posticipata dal re Vittorio Emanuele II a metà novembre e già allora protagonisti d’onore erano i cavoli la cui coltivazione nella zona del settimese era fatto ben noto. Un week end novembrino interamente dedicato al Cavolo Verza con mostre, rassegne ortofrutticole, concorso gastronomici, cene, degustazioni e appuntamenti culturali alla presenza di due figure tipiche: il “Re dij coj” e la “Regine dle verze”.

Collage Fiere Cavolo

Uno sguardo fuori dal Piemonte. 

Ma di involtini di Cavolo Verza non si parla solo in Piemonte perché anche nelle cucine lombarde, piacentine, liguri e friulane si è soliti arrotolare un gustoso ripieno di carne, con tutte le varianti di gusto e tradizione regionale, in una buona foglia di verza con il sempre comune intento di recuperare gli avanzi.
Dai Rambasicci, particolarmente amati nel Friuli Venezia Giulia, caratterizzati dalla nota speziata della paprika ai Verzolini del piacentino, si narra molto apprezzati da Elisabetta Farnese ultima erede dei Duchi di Parma e Piacenza, da gustare con la salsa di pomodoro fino alle Polpette di Verza delle campagne lombarde, il cui nome non deve trarre in inganno perché nella tradizione milanese il termine “polpetta” sta a significare una fettina di fesa farcita e arrotolata su se stessa di cui la foglia di cavolo è rappresenta la più economica alternativa, per finire con i Previ Ripieni della cucina ligure dal nome misteriosamente dissacrante e dal ripieno arricchito con patate lesse.

In viaggio oltre i confini italiani. 

Se si prova infine a volgere lo sguardo oltre i confini dell’Italia e della sua tradizione culinaria ci si stupirà nel poter constatare quanto il cavolo rappresenti uno degli ingredienti principali della cucina dell’Est (dalla Serbia, alla Turchia fino alla lontana e fredda Russia), soprattutto nella stagione invernale, e di quanto diffusa sia l’abitudine di servire a tavola involtini di cavolo verza ripieni di carne.
Basti pensare alle Sarme, regine della cucina serba, preparate con le foglie di cavolo acido, immancabili protagoniste invernali di feste o ricorrenze con il loro sapore affumicato e speziato; o ai lontani Golubcy bielorussi e ucraini, che i bambini cresciuti nell’Unione Sovietica ricordano come piatto confortante assaporato nel calore del focolare domestico, cotti in una corposa salsa a base di passata di pomodoro e panna acida, si suppone fratelli diretti dei Dolma tipici del Caucaso e della Grecia preparati con foglie di vite ripiene di carne; per terminare con i simbolici Yabrak della tradizione ebraica che evocano il rotoli della Torah e l’inizio del ciclo annuale della sua lettura dopo la festa di Sukkòt in ricordo della vita del popolo di Israele nel deserto durante il suo viaggio verso la terra promessa.

Partecipano alla Giornata Nazionale:

Filomena Patitucci – Involtini di verze in tre versioni
Anna Laura Mattesini – Eat Parade Blog
Alice Del re – Involtini di verze ripieni di carne
Francesca Lucisano – Involtini di verza
Daniela Boscariolo – Involtini di verza
Candida De Amicis: Involtini di cavolo verza
Gabrielle Pravato: Involtini di cavolo verza ripieni di mortadella
Tiziana Bontempi: Involtini di prosciutto arrosto e verze
Patrizia Malomo: Involtini di Nonna Gina
Chiara Messena: Saccottini di verze
Maria Di Palma: Involtini di cavolo viola
Annarita Rossi: Involtini di verza
Alessandra Piazza: Gotabki

20 commenti

  1. Ho fatto un viaggio bellissimo nella tua terra ma anche nei tuoi ricordi perché decisamente questo è un piatto della memoria. Sono certa che in tutti i contributi troverò pezzetti di storia familiare, com’è meraviglioso che sia quando si parla di cibo buono, confortante e parco.
    Grazie per questo splendido articolo. Un abbraccio. Pat

  2. Ogni giorno un articolo sempre più bello.
    L’ho letto con grande piacere, ma soprattutto con tanta emozione.
    Quanto c’è da imparare!
    Condivido subito sul mio blog e sui miei canali, come per tutti gli altri articoli. E’ un immenso piacere.
    Complimenti ad Ottavia e ovviamente a tutta AIFB.
    Buona giornata di verza amici
    Tiziana

  3. Ogni giorno ci regala un meraviglioso articolo su un piatto del nostro meraviglioso Paese, e ogni giorno mi dico che non ho mai letto un post così bello e ben scritto. Il tuo è semplicemente straordinario, prende per mano il lettore e lo porta in viaggio in tempi e Paesi lontani, ma al contempo vicini; tutto merito di quel sottile fil rouge, la Tradizione, che ci accompagna in modo discreto, facendoci gustare sapori lontani, eppure vicini.
    Grazie per questa meraviglia!!!

  4. Grazie Aurelia, articolo magistrale. Da godere e da tenere a mente per la stesura di quelli futuri. Certo che… Settimo è dietro casa, ma io alla fera dij coj non ci sono mai stata!

    1. Ottavia scusami… è da stamattina che confondo i nomi. Ho appena chiamato il mio fidanzato Carlo, che poi sarebbe il gatto (Carletto), e lì ho realizzato che avevo confuso anche il tuo 🙁

  5. Un post bellissimo ed una ricetta super! Complimenti Ottavia! Adesso posso preparare la quarta versione degli involtini di verza e so già che la adorerò 🙂

  6. Ottavia mi sono sentita chiamare anch’io dalla signora dai candidi capelli bianchi, mi sono sentita parte di un ricordo che in realtà non mi appartiene, questo accade quando il racconto ha un che di magico e profuma di famiglia.

  7. te lo scrivo anche di qui, Ottavia: grazie per aver condiviso con noi questo post, per averci regalato il tuo sapere e per avercelo trasmesso attraverso le emozioni. Questo era il vero obiettivo del calendario, superare le etichette, gli stereotipi e le mode e andare al cuore della vita vera -e tu lo hai centrato, al primo colpo. Grazie davvero!

  8. Già seduta alla tavola con Biagio, Giovanni & Aldo, con la forchetta alzata, ma quando arrivno questi involtini? :-)))
    Cavoli (anche) a merenda, ça va sans dire! :-)))

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