I Malloreddus

Pubblicazione: 5 Settembre 2016

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Giornata Nazionale dei Malloreddus

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Furono i Romani a diffondere nei territori dell’impero affacciati sul Mediterraneo la coltivazione del grano duro, il triticum durum, dal quale si ricavava la simila. Sicuramente dall’impasto di semola e acqua, brodo o latte si ricavano impasti più o meno raffinati fin da tempi remotissimi, ma è solo nel Medioevo che si costituisce la categoria gastronomica delle paste: già nel XII secolo i formati codificati erano diversi e alcuni sono ancora attuali.

Dai fertili campi dell’isola di Sardegna si esportava grano – di varietà non definita – fin dai tempi della Grecia classica e molto probabilmente si ricavava anche un qualche tipo di pasta rudimentale. Dentro il nuraghe San Pietro di Torpè (Nuoro) sono state ritrovate delle corbulas (cesti) contenenti chicchi di grano che risalirebbero al periodo romano dell’isola, compreso tra il V e il VI secolo, durante il quale il nuraghe – di circa 1500 anni più antico – fu utilizzato come granaio. Nel XII secolo Cagliari era già un luogo di produzione ed esportazione di pasta e in particolare di “maccheroni”.

In alcuni registri doganali (Aduanas sardas) di fine ‘300 e di metà ‘400 si annovera, infatti, la pasta tra le merci esportate verso la Spagna e si citano: fideus, maccarons o macharons e un generico obra de pasta. Molto probabilmente quei macarons erano abbastanza simili agli attuali gnocchetti.
Un paio di secoli dopo (1634) Giambattista Basile, nel suo Lo cunto de li cunti, cita il poemetto La Torba a Taccone di un suo conterraneo e contemporaneo, Felippo Sgruttiendo, che, elencando una serie di leccornie, dice “… e vuie de Cagliara maccarune…” (e voglio i maccheroni di Cagliari). Da questo breve ma interessante verso si può dedurre che da Cagliari arrivasse in continente – e nientemeno che a Napoli – della pasta particolarmente rinomata.

Poco più tardi Jean Baptiste Labat, religioso e viaggiatore, loda, nel suo Vojage du Père Labat en Espagne et en Italie entre 1706, la finezza delle semole prodotte in Sardegna che danno “maccheroni ottimi e adatti alle tavole dei nobili”. Lo stesso dice, nel 1756, Giovanni Targioni Tozzetti, naturalista e medico, in un’opera molto tecnica dedicata a farine e panificazione.
Parallelamente alla produzione “industriale” si procedeva, come ancor oggi, con una produzione domestica della pasta capillare e diffusissima, ricca di varianti di un medesimo formato: quello di piccoli maccheroni cavi comunemente detti “gnocchetti”. Gnocchetti che in genere si identificano nei malloreddus, sebbene questo termine sia più diffuso “in continente” che qui sull’isola.

Malloreddus deriva quasi certamente dal latino mallolus, ovvero piccolo grumo, gnocco. Però dal Capo di Sopra al Capo di Sotto non ci sono solo duecento chilometri di terra e montagne, ma anche una galassia di lingue, varianti, abitudini e particolarità locali.

Gli gnocchetti, a seconda del paese e della zona, diventano infatti: macarones coidos, macarones cravaos, macarones tintos, macarones lados, cassulli, pizzottis, ciuccionis, chjusoni, ciggioni, cigiones, zizzones, maccarrones de xiliru, maccarrones de unza… E questo è un elenco parziale!

Ovunque l’impasto si fa con semola di grano duro, acqua e sale. A volte si aggiunge zafferano; oggi per il sapore particolare, un tempo per rendere la pasta più preziosa e di un bel colore dorato, in particolare quando era destinata a qualche festa.
Si impasta sopra sa mesa (tavola di legno) oppure dentro sa tianedda (ciotola di terracotta ampia e profonda); poi la massa viene lavorata in lunghe stringhe che si tagliano in piccoli pezzi. Infine ogni pezzetto viene trattato in modo da essere sia più adatto a trattenere il condimento, sia più bello.
A questo scopo si usa il fondo di un cesto di asfodelo o di paglia marina, un setaccio, uno stampo di legno, un vetro ruvido, il retro di una grattugia per il formaggio; insomma qualsiasi cosa possa imprimere sulla pasta dei solchi tanto utili quanto decorativi.

La differenza da paese in paese è – oltre il nome – la dimensione: nel Campidano e in genere nel sud dell’isola i maccheroncini sono lunghi un paio di centimetri e sono molto concavi; in alcuni paesi del Sassarese, come Codrongianos e Bessude, sono minuscoli e quasi arrotolati su se stessi.
Se ieri fare la pasta presto, bene e con grazia era una qualità che pesava nella scelta delle ragazze da marito, oggi, in un’epoca in cui la pasta in casa la si fa per scelta, l’abilità e la sveltezza sono ancora motivo d’orgoglio. E lo si legge chiaramente negli occhi delle signore di ogni età, che spesso offrono dimostrazioni dell’arte pastaria durante le feste di paese e le manifestazioni per la valorizzazione dei prodotti sardi.

Fino a metà del secolo scorso le donne portavano in dote sa scraria, ovvero una batteria di setacci e cesti che serviva per tutto il processo della pasta: dalla pulizia delle spighe alla setacciatura della semola, dalla rigatura degli gnocchetti alla loro essicazione. Oggi questi strumenti si usano ancora nelle case moderne: a volte sono oggetti ereditati dalle nonne, a volte sono nuovissimi, perché fortunatamente esistono ancora artigiane e artigiani attivi in questo settore.

Un altro capitolo piuttosto ampio è quello dei condimenti. Ogni visitatore della Sardegna avrà assaggiato almeno una volta i “malloreddus alla campidanese”, ovvero con un sugo rosso arricchito con la salsiccia sarda, consistente e saporita, e zafferano. I condimenti però sono moltissimi: particolare è il ghisau di caboniscu, un sugo con carne di galletto; ma sono molto comuni anche quelli con agnello, pecora o maiale. Un tempo i sughi con la carne erano riservati alle occasioni davvero speciali; ecco quindi molte altre varianti tradizionali che prevedono l’utilizzo di erbe selvatiche, funghi o formaggio pecorino.

I cassulli, che sono gli gnocchetti isolani tipici dell’isola di Carloforte, si condiscono con uova, basilico, prezzemolo, aglio e pinoli. In Gallura i chjusoni si condiscono arricchendo il sugo di semplice pomodoro con prezzemolo e menta. A Sassari i ciggioni si servono conditi in vario modo: con salsiccia, funghi o ghisadu, ma sono sempre piccanti.
Terminiamo il viaggio alla scoperta dei malloreddus con una citazione da Fuga in Egitto di Grazia Deledda, del 1925:
“… Allora egli riprese il coltello piccolo e raschiò l’asse dalla patina che vi era rimasta; tagliò una fetta della pasta e arrotolandola e tirandola la ridusse a una lunga biscia bianca che il coltello si affrettò a tagliare in piccoli pezzi come si trattasse davvero di una bestia pericolosa. Poi i piccoli pezzi scavati con l’indice come lunghe conchiglie formarono gli gnocchi: e il loro esercito ben schierato sull’asse e ricoperto, dalla tenda di una salvietta aspettò che la pentola bollisse…”
Questa è la mia ricetta per un piatto di gnocchetti “classico”, ma va ricordato che le varianti sono numerose quante sono le famiglie sarde.

Per quattro persone:

per gli gnocchetti:

300 g di semola rimacinata di grano duro
un pizzico di stimmi di zafferano sardo
un pizzico di sale marino
acqua pura q.b.

per il condimento:

500 g di pomodori molto maturi o, fuori stagione, passata di pomodoro casalinga
salsiccia sarda *
½ cipolla bionda
2 spicchio d’aglio
6 cucchiai d’olio extravergine di oliva
1 pizzico di stimmi di zafferano
pecorino da grattugiare

* la “salsiccia sarda” è un salume di carne di solo maiale tagliata a pezzi di almeno un centimetro, aromatizzata in vario modo a seconda delle zone e insaccata in budello naturale, quindi stagionata per almeno 15 giorni, ma conservabilissima anche per mesi.

Ponete in infusione un generoso pizzico di stimmi di zafferano in mezzo bicchiere di acqua tiepida. Coprite e lasciate riposare fino a che l’acqua non sarà completamente fredda.
Setacciate la semola direttamente sulla spianatoia di legno, formate un incavo e versate l’acqua con lo zafferano passandola attraverso un setaccio fine. Aggiungete una presa di sale fino e cominciate a impastare.
Lavorate la massa fino a che non sia liscia e compatta, quindi lasciatela riposare per un paio d’ore sulla spianatoia stessa, coperta con una ciotola rovesciata. Se facesse molto caldo meglio avvolgere l’impasto ben stretto in un telo e conservarlo in frigorifero.
Nel frattempo preparate il sugo: riducete i pomodori in dadolata e tagliate in piccoli pezzi la salsiccia.
Mettete in infusione un pizzico di stimmi di zafferano in mezzo bicchiere d’acqua tiepida.
In una casseruola dal fondo spesso – meglio se di terracotta – scaldate l’olio, aggiungete l’aglio e la cipolla tritati a coltello. Fate appassire.
Aggiungere i pomodori (o la passata) e avviate una cottura lenta a fuoco molto dolce.
Dopo una ventina di minuti unite la salsiccia e l’acqua con lo zafferano (senza bisogno di filtrarla) e proseguite la cottura fino a che il sugo non sia ben ristretto e saporito. Non occorre aggiungere sale.
Mentre cuoce il sugo riprendete la pasta, suddividetela in almeno 12 parti e lavoratene una per volta. Formate un lungo spaghetto sulla spianatoia, suddividetelo in pezzetti grandi mezza unghia e poi passate ogni pezzetto su uno strumento qualsiasi in grado di lasciare dei solchi regolari e decorativi. Sforzatevi di ottenere una forma concava e regolare.
Lessate gli gnocchetti in abbondante acqua salata, toglieteli al dente, versateli nella pentola del sugo, mescolate bene. Fate le porzioni nei piatti e completate con pecorino grattugiato al momento.

Bibliografia:

• Felippo Sgruttendio, La Tiorba a Taccone, Napoli MDCCLXXXIII (1783)
• Giambattista Basile, Lo cunto de li cunti. Il Pentamerone, Napoli MDCCCXCI (1841) con introduzione e note di Benedetto Croce
• Jean Baptiste Labat, Vojage du Père Labat en Espagne et en Italie entre 1706,
• Serventi S. Sabban F., La pasta. Storia e cultura di un cibo universale, Roma-Bari 2000
• Capatti A. Montanari M., La cucina italiana. Storia di una cultura, Laterza, Roma-Bari 1999
• Grazia Deledda, Fuga in Egitto, Milano 1925
• Oretta Zanini De Vita, La pasta, Roma 2004
Regione Autonoma della Sardegna:
www.sardegnaagricoltura.it/documenti
• www.sardegnaagricoltura.it/documenti

Ambasciatrice Cristiana Grassi per il Calendario del Cibo Italiano- Italian Food Calendar

Partecipano come contributors:

Valentina De Felice, Malloreddus alla Carlofortina (con tonno fresco e pomodorini) 
Irene Prandi, Malloreddus inaspettati
Tamara Giorgetti, Malloreddus con vongole veraci e bottarga
Cristina Tiddia, Malloreddus allo zafferano

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