Il bacalà alla vicentina

Pubblicazione: 10 Gennaio 2016

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Giornata Nazionale del bacalà alla vicentina

Ambasciatrice  Gabriella Pravato per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

Oggi si festeggia il Bacalà alla vicentina, rigorosamente con una sola c, come richiede il dialetto, anche se in realtà questa dovrebbe essere la festa dello stoccafisso. Nella tradizione veneta, infatti, è lo stoccafisso il pesce che viene utilizzato per una delle ricette simbolo della gastronomia della regione, denominato “bacalà” nella variante dialettale.
Bisticci linguistici a parte, l’ingrediente principale è il Gadus Morhua, ovvero il merluzzo dei mari del nord, che  nuota nelle acque freddissime di Norvegia, Groelandia e Islanda.
Viene pescato da dicembre ad aprile quando raggiunge le acque intorno alle isole Lofoten, dove trova la temperatura e la salinità giuste per accoppiarsi e riprodursi.
Quando viene conservato essiccato diventa stoccafisso (da cui l’origine del nome, Stock-fish, pesce bastone);  quando viene conservato sotto sale, parzialmente disidratato, diventa invece baccalà.

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Oltre che”pesce bastone”, lo stoccafisso è conosciuto anche con il nome di “pesce ragno”: la teoria più diffusa, che ne rimanda l’origine alle nervature tipiche della sua carne, che si intravvedono in trasparenza, è stata demolita da Otello Fabris1 che, a dispetto del titolo scelto per la sua fondamentale opera sull’argomento- I misteri del Ragno- fa risalire questa denominazione alla storpiatura del nome scelto da una ditta norvegese per  commercializzare lo stoccafisso che importava: Bachalau Ragnus, lo avevano chiamato e da qui “Ragno”, per tutti.

Il consumo di stoccafisso è attestato da tempi remoti, in tutta Europa: i primi documenti scritti lo collegano al cibo dei marinai, costretti a rimaner per mare per lunghi periodi e bisognosi quindi di cibo capace di mantenersi inalterato, senza altre forme di conservazione che non quelle naturali. Nel caso dello stoccafisso, il consumo di questo pesce forniva un concentrato di preziosi elementi nutritivi, quali sono tutte le proteine nobili, il ferro, il calcio le vitamine del gruppo B, fornendo un supporto importante per la dieta, non soltanto degli uomini di mare.
Al pari di tutti i prodotti che hanno lasciato un segno così importante nella tradizione gastronomica di determinati luoghi, anche la storia dello stoccafisso si mescola con la leggenda: si dice, per esempio, che Erik il Rosso, dopo essere stato cacciato dalla Norvegia all’alba del primo millennio e costretto a un lunghissimo viaggio nei Mari del Nord, abbia nutrito il suo equipaggio con merluzzo pescato al momento e messo poi ad essiccare nelle sartie. Quello che è certo è che per oltre un millennio lo stoccafisso e il baccalà furono al centro del commercio internazionale: si calcola che nel XVI secolo oltre il 60% del pesce consumato in Europa fosse merluzzo, essiccato o salato. Questo,ovviamente,  segnò la fortuna del suo centro di produzione principale, Bilbao, nei Paesi Baschi, le cui navi pescavano proprio nel Nord Atlantico e fece da sfondo anche ad importanti guerre “ come quelle fra inglesi e Lega Anseatica, quella che sarebbe stata una delle controversie all’origine della Rivoluzione americana, per il blocco inglese dei ricchi scambi di pesce con melassa fra la Nuova Inghilterra e le Indie Occidentali. Così come fra i primi segni di divisione fra il Nord e il Sud che portarono poi alla Guerra Civile, fu la insistenza di uno dei padri “fondatori” della nuova America, John Adams, di attribuire solo al Massachussets i diritti di pesca del merluzzo nei Grand Banks”.

A questo proposito, il commercio del merluzzo connotò anche gli scambi commerciali del Nuovo mondo: il New England divenne una potenza commerciale grazie a Cape Cod (“Capo Merluzzo”, non a caso), coniò monete con l’effigie di questo pesce e lo trasformò in un cibo d’elite, appannaggio delle mense dell’aristocrazia bostoniana. Come tutte le medaglie, anche questa ha un rovescio drammatico, legato al commercio degli schiavi: il merluzzo di scarto finiva infatti nel cibo per i Neri dell’Africa e dei Caraibi che ne seppero per altro elaborare ricette gustose, ancora oggi attestate nella tradizione gastronomica dell’Africa occidentale.

In Italia, lo stoccafisso era arrivato portato dal nobile mercante veneziano, messer Pietro Querini che partito da Candia, antico nome dell’isola di Creta, allora possedimento della Repubblica Veneziana, con un veliero carico di vino cretese, sacchi di pepe, spezie, profumi e broccati, a causa di “nimichevoli venti” e dopo molte peripezie, dato che “la ruota della fortuna è instabile”, nel 1431 era naufragato nell’isola di Rost in Norvegia, dove lo stoccafisso veniva pescato, privato della testa, eviscerato e appeso a seccare all’aria gelida e secca.
Nella relazione per il Senato della Serenissima, conservata oggi nella Biblioteca Apostolica Vaticana, scriveva degli Stocfisi: “… quando si vogliono mangiare li battono col roverso della mannara, che gli fa diventar sfilati come nervi, poi compongono butiro e spetie per darli sapore; et è grande et inestimabile mercanzia per quel mare d’Alemagna…

A Venezia, però, lo stoccafisso non incontrò il favore sperato: l’abbondanza di pesce fresco aveva reso i palati e i nasi dei Veneziani ricchi troppo raffinati per quei sapori in apparenza così rudi e rustici che, per questo motivo, vennero destinati alle classi meno abbienti: ci pensò la Chiesa, a ribaltarne le sorti, con l’obbligo dei digiuni e delle astinenze, fissato dal Concilio di Trento nella seconda metà del ‘500: la versatilità di questo pesce lo rese nuovamente appetibile e quindi automaticamente più caro, specialmente di venerdì e nella Quaresima. Negli altri giorni, il prezzo scendeva, rendendolo disponibile per tutti, comunità ebraica compresa.
Anche se le tracce della diffusione dello stoccafisso nella gastronomia italiana sono piuttosto confuse è probabile che i principali responsabili della sua fortuna siano state proprio le comunità religiose, conventuali per parte cristiana e dai ghetti (specialmente quello di Roma) per parte ebraica. L’incontro fra la necessità di un’alimentazione parca- per scelta o per forza- e la straordinaria versatilità di un pesce di cui non si butta via niente fece del merluzzo salato o essiccato uno dei protagonisti della nostra tradizione culinaria che trova nel Veneto e in particolare nella città di Vicenza una delle sue declinazioni più alte, con il celeberrimo Bacalà alla Vicentina.

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La ricetta, un’unione felice tra lo stoccafisso e prodotti poveri come la cipolla, le acciughe e il latte, non è stata creata da un grande cuoco ma da una ragazza, che nel 1600, aveva ricevuto in dono uno stoccafisso dal suo fidanzato, un vichingo biondo dagli occhi azzurri, che navigava il Bacchiglione  sul suo burcio trasportando merci.

Cosa bere con il Bacalà alla vicentina?

Un vino che non lo sovrasti, la FISAR consiglia il Collio Tocai Friulano DOC, una delle punte di diamante dell’enologia friulana. Vino dal colore giallo paglierino tendente al verdognolo, asciutto, fresco, morbido, molto rotondo, dal profumo intenso che ricorda i fiori di campo.
Se invece vogliamo un vino dei Colli Vicentini, allora, senza ombra di dubbio, il Vespaiolo di Breganze DOC, che per la sua naturale acidità accompagna al meglio questo piatto dal sapore così deciso. E’ un vino dal colore paglierino con tenui riflessi verdi e un intenso profumo di frutta matura e mandorla.
Quindi, in conclusione, si può dire che un naufragio, una piccola isola di soli 11 kmq, un incontro di uomini, ma soprattutto un regalo d’amore hanno dato al mondo un piatto saporito e cremoso, un’esperienza gustativa unica.

Ingredienti: dose per 12 persone

Tempo occorrente per la preparazione: circa un’ora
Tempo di ammollo:  3 giorni
Tempo di cottura: 4 ore e mezza circa

Stoccafisso secco  1 kg
Cipolle bianche 250/300 g
Olio extravergine di oliva  ml 500
Latte fresco intero ml 500
Formaggio grana grattugiato  g 50
Sarde sotto sale  3
Prezzemolo tritato un ciuffo
Farina 00  qualche cucchiaio
Sale e pepe

Battere lo stoccafisso con il mazzuolo. Metterlo a bagno in acqua fredda, per eliminare il sale, per 2-3 giorni cambiando l’acqua ogni 4 ore. Togliere la lisca e le spine e tagliarlo a tranci regolari.
Mondare e affettare  finemente le cipolle. Tagliare a pezzettini le sarde sotto sale. Mondare e tritare il prezzemolo.
In un tegame con un bicchiere di olio extravergine d’oliva far appassire le cipolle, aggiungere le sarde e far rosolare. Spegnere il fuoco e aggiungere il prezzemolo.
Asciugare i tranci di stoccafisso e infarinarli con la farina setacciata.
In una teglia, possibilmente di coccio, mettere una parte del composto di cipolle, sarde e prezzemolo.
Disporre i tranci di stoccafisso uno accanto all’altro, ricoprire con il resto del composto.
Bagnare con il latte.
Spolverare  con il grana grattugiato.
Irrorare con l’olio, cuocere la preparazione in forno alla temperatura di 160 °C, per circa 4 ore e mezza, senza mai mandarla in ebollizione, senza mai mescolarla, ruotando solo la teglia.
A cottura ultimata, assaggiare e, al caso, aggiustare di sale.
Servire lo stoccafisso nel recipiente di cottura, completando con una macinata di pepe fresco.
Il Bacalà alla vicentina è ottimo anche dopo un riposo di 12/24 ore.

Partecipano come contributors:

Solema Cereser: Baccalà mantecato
Susanna Canetti: Baccalà alla vicentina rivisitato con chips di polenta
Alessandra Petteni: Polenta croccante con baccalà mantecato

11 commenti

  1. Quanta storia dietro questo fantastico prodotto! La ricetta è assolutamente da provare e grazie anche agli altri contributi! Avete arricchito la mia lista dei “piatti da provare” 🙂

  2. è interessantissimo vedere come la fortuna/sfortuna di alcuni piatti è legata ai diktat della Chiesa, è un elemento che già ricorre in questi primi post e penso lo ritroveremo spesso nel corso dell’anno. grazie per il bellissimo post di approfondimento!! 🙂

  3. Erik il rosso, il biondo vichingo della ragazza che fece la ricetta…insomma io già adoravo il baccalà cos’ gli ho trovato pure la vena poetica! A parte questo cara Gabriella è un post molto interessante e tante nozioni erano a me sconosciute. Siete una forza1

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