Il Panino al Lampredotto

Pubblicazione: 13 Luglio 2016

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Giornata Nazionale del Panino al Lampredotto

Ambasciatrice Gaia Innocenti per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

Nella settimana dedicata al cibo da strada del Calendario del Cibo Italiano, non poteva mancare il Panino al Lampredotto, tipico panino venduto dai barroccini per le strade di Firenze e che fa parte della tradizione culinaria fiorentina.

Cos’è il lampredotto?
Il lampredotto fa parte della famiglia delle frattaglie o quinto quarto.
Per quinto quarto si intende, infatti, tutto quello che rimane dalla lavorazione dell’animale, che viene macellato in due quarti anteriori (spalle, petto, pancia davanti) e in due quarti posteriori (lombata, cosce, pancia di dietro).
Il termine quinto quarto sta quindi ad indicare, con un controsenso matematico della macellazione (quinta parte su quattro), la parte non nobile dell’animale, che, essendo oltremodo commestibile, poteva essere consumata dal popolo che non poteva permettersi tagli come bistecche e filetti.
In particolare, il lampredotto, insieme alla trippa, è parte dell’apparato digerente del bovino macellato, che inizia dall’esofago ed arriva fino allo stomaco vero e proprio, e che pesa generalmente una decina di chilogrammi.
In Italia i nomi con cui ci si riferisce alle varie parti della trippa sono molto diversi a seconda della regione e altrettanto diversi sono i suoi utilizzi.
La trippa si suddivide in quattro parti: le prime tre sono il rumine, il reticolo e l’omaso e costituiscono i pre-stomaci dei ruminanti, mentre la parte terminale dello stomaco è detta abomaso.
Proprio quest’ultima, che è la parte più vicina al budello intestinale, di colore più scuro ed è più grassa delle trippe precedenti, a Firenze si chiama lampredotto.
La si riconosce facilmente perché ha un aspetto tipico: sembra fatta da tante piccole gale e nastri ondulati che si intrecciano insieme.
In altre regioni italiane il lampredotto assume nomi diversi, come per esempio sfrangiata, gala, spannocchia, ricciolotta, frezza oppure francese, tanto per citarne alcuni.

Ma perché a Firenze il lampredotto si chiama proprio in questo modo? 
L’origine nasce dall’ironia innata dei fiorentini.
Dovete sapere che l’Arno, il fiume che bagna Firenze, fino al secolo scorso  era ricco di un pesce d’acqua dolce molto prelibato, che veniva consumato durante il Rinascimento dai fiorentini più ricchi. Si chiamava lampreda ed era una specie di anguillona.
I popolani, non avendo a disposizione le risorse per poterselo permettere e nemmeno per potersi permettere i pezzi prelibati dei bovini, si dovevano accontentare di consumare i prodotti di scarto delle carni che venivano macellate.
Molte di queste parti del quinto quarto venivano fatte bollire e vendute poi a buon mercato nelle bancarelle poste lungo le sponde dell’Arno.
Tra le varie frattaglie compariva anche il lampredotto che ricordava, per le sue crespature, la bocca del pesce lampreda.
I fiorentini, notoriamente dotati di grande ironia, iniziarono quindi a chiamare questo piatto con il nome di lampredotto, per assonanza con il raffinato pesce consumato dalla nobiltà e dal clero.

Subito dopo la seconda guerra mondiale non vi era rione fiorentino che non avesse il proprio trippaio in giro per le strade. Prima di loro, erano stati gli ambulanti con i carretti tirati a mano che si trovavano gli angoli delle vie e delle piazze a vendere trippa e lampredotto. Il carrettino era tipicamente carenato in lamiera e veniva spinto a mano. Era dotato di un pentolone per la cottura e una baciasca zincata in cui venivano rinfrescati i tagli che erano coperti da un velo di garza bianca.
Il brodo veniva tenuto in caldo con fornelli a carbone o a spirito.
Ai primi del Novecento i carretti vendevano spesso solo il prodotto che, dopo essere stato spurgato, spellato, lavato e bollito, era pronto per essere cotto a casa.
Ogni trippaio era un vero e proprio personaggio. E’ quindi sempre stato naturale dedicar loro battute e sonetti.
Miriam Serni Casalini scriveva:

A far tacere lo stomaco
bastava il caldo lampredotto nel panino,
e per finire in bello la serata,
niente di meglio che un bicchier di vino.

Mentre Federico Stabile, parla di Firenze così:

Firenze contorta, Firenze moderna,
Firenze negli odori e nei rumori di taverna,
Firenze che nasconde tutto ciò che c’è sotto…
Firenze in un panino carico di lampredotto!
Davvero popolare… pronta ad essere azzannata
salsa verde un po’ piccante, e rosetta bagnata.

E addirittura, vi è un modo di dire fiorentino per cui far colazione con un panino al lampredotto, seguito da un bicchiere di vino bianco, è ritenuto migliore che farla con una semplice brioche:

Lampredotto e un bianco poscia
meglio è assai d’una brioscia

La tradizione dei trippai fiorentini, lunga secoli, si mantiene viva ancora oggi; addirittura, negli ultimi tempi sono molti anche i ristoranti che offrono il panino al lampredotto tra le portare servite ai tavoli.
Un esempio è il rinomato Magazzino di Luca Cai, in piazza della Passera.
Il lampredotto viene ancora oggi venduto per strada, cotto in grossi pentoloni e preparato espresso dai trippai fiorentini che lo presentano nel famoso panino di cui oggi si festeggia la tradizione.

Lampredottari storici per Firenze sono Nerbone (all’interno del Mercato Centrale) e Orazio (alla Loggia del Porcellino).
In periferia, i trippai sono ancora molto diffusi e offrono, oltre al panino al lampredotto, anche vaschette da asporto, trippa alla fiorentina e frattaglie varie.
Si può provare il Lampredottore (di fronte all’ingresso del Policlinico di Careggi), il trippaio di Piazza Puccini (presso cui è stato fatto il reportage fotografico), il trippaio di piazza Leopoldo (in zona Statuto), quello di via Benedetto Dei, quello in Piazza Artom (all’ingresso del Mercato Ortofrutticolo), il Chiosco di Gavinana, il baracchino in Piazza delle Cure e quello di Viale Guidoni, per citarne solo alcuni.

Il lampredotto, se gustato nel panino, non può prescindere dal tipo di pagnotta che si usa.
La tradizione vuole che sia il semelle, un panino rotondeggiante e lucido, con un tipico taglio longitudinale e la crosta croccante.
Il nome è la deformazione dialettale di sèmel e deriva dal tedesco semmel, parola con cui si indica un panino leggero e soffice.  La mollica infatti è morbida e viene in parte svuotata per poter accogliere il ripieno.
Oggigiorno non è facile trovare il semel, che è stato sostituito dalla più comune rosetta.
Il lampredottaio, al momento di preparare il panino, scola il lampredotto dal brodo di cottura in cui è conservato al caldo e lo taglia a listarelle. All’occorrenza, fa spazio nel panino togliendo un po’ di mollica e adagia il lampredotto tagliuzzato.

A questo punto, c’è la domanda di rito, che viene posta all’avventore: ‘Come glielo fo? Lo vole piccante o verde?’
Per il condimento, si va infatti dal semplice sale, pepe e un filo d’olio bono, alla salsa piccante (olio e peperoncino, sia in polvere che frantumato), alla salsa verde (olio, prezzemolo, poco aglio, capperi e uovo sodo). Si conclude l’opera inzuppando leggermente la metà superiore del panino nel brodo di cottura del lampredotto, per coprire e insaporire ulteriormente questa bontà.

Veniamo quindi alla ricetta dettagliata di come Paolo Petroni nel suo Libro della vera cucina Fiorentina prepara il Panino al Lampredotto.

panino al lampredotto

una cipolla
una carota
una costa di sedano
qualche pomodorino
un mazzetto di  prezzemolo
un mazzetto di basilico (se in stagione)
600 g di lampredotto, già pulito e prebollito
sale

In una pentola capiente mettere circa 3 litri d’acqua, aggiungere la cipolla tagliata a metà, la carota e il sedano a pezzetti, i pomodorini, prezzemolo e basilico.
Salare e portare ad ebollizione, poi unire il pezzo di lampredotto intero.
Abbassare il fuoco, coprire e cuocere piano per circa un’ora.
Scolare il lampredotto dal brodo, tagliarlo al listarelle e condirlo con sale, pepe e un filo d’olio bono (quello extravergine di oliva).
Il lampredotto si può condire anche con un una salsa piccante fatta con olio e peperoncino, sia in polvere che in frantumi, oppure con una salsa verde (realizzata con olio, prezzemolo, poco aglio, capperi, pangrattato e uovo sodo tritato).
Come suggerisce un trippaio interrogato, quando la stagione è calda e le cipolle sono nel loro splendore, una dadolata di cipolla di Tropea fresca aggiunge una nota in più.
Bibliografia:
Per la ricetta: Petroni, il libro della vera cucina fiorentina, ed. Il Centauro.
Roberto Baldini, Alfredo Scanzani: la Bibbia della trippa. Storie, letteratura, curiosità, ricette toscane, ed. Sarnus
www.accademiadellatrippa.com
www.toscanaoggi.it
www.lampredotto.net
lorenzovinci.ilgiornale.it
Partecipano come contributors:
Sara Sguerri, Il Panino col Lampredotto (e Salsa Verde), vanto di Firenze

3 commenti

  1. Ho potuto godere di un panino con il lampredotto qualche anno fa, come sempre di corsa, durante un viaggio di lavoro, ma non sono mai riuscita ad approfondire la storia e la tecnica e ti ringrazio di cuore Gaia di averlo fatto per per la settimana del cibo di strada. Ora l’unico problema sarà quello di non cadere in tentazione e mordere lo schermo del mac, tanto il panino è goloso!

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