Il Peposo dell’Impruneta

Pubblicazione: 28 Ottobre 2016

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Giornata Nazionale del Peposo dell’Impruneta

Ambasciatrice Sara Sguerri per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

Piatto tradizionale della cultura gastronomica fiorentina, il Peposo dell’Impruneta è uno stufato di carne di manzo (o vitellone) cotta nel vino Chianti ed arricchito da grani di pepe. Questa pietanza affonda le sue radici nel Rinascimento fiorentino e pare che le sue origini si intreccino con quelle della Cupola del Duomo di Firenze.

Nei primi decenni del ‘400, più precisamente dal 1420 al 1434, Ser Filippo Brunelleschi era impegnato nella costruzione della Cupola del Duomo di Firenze ed insieme a lui centinaia di operai che dovevano essere quotidianamente sfamati, senza che si perdesse troppo tempo. Alla ricerca dei materiali perfetti, il Brunelleschi si recò all’Impruneta, paese sulle colline fiorentine rinomato per la “terra di Impruneta” (un’argilla contenente sabbia, carbonato di calcio e ossido di ferro, che conferisce alla terracotta il suo caratteristico colore rossiccio), da cui si ottengono terrecotte, mattoni, tegole ed altri materiali in cotto.
E proprio qui, nella patria del favoloso cotto fiorentino, l’architetto scoprì che i “fornacini” ogni giorno cuocevano a fuoco lento non soltanto l’argilla, ma anche dei grossi orci con dei bei pezzi di carne che venivano posti all’imboccatura dei forni. La carne veniva stufata lentamente, per tutta la mattina, nel vino dei colli limitrofi: così nasceva un piatto dalla cottura lentissima, saporito e sostanzioso.

Brunelleschi rimase così colpito dalla bontà di questo stufato che decise di farlo diventare il pasto ufficiale dei suoi operai alle prese con la costruzione della cupola. Inutile dire che la notizia fu accolta con grande entusiasmo: solo un piatto come questo poteva alleviare la fatica e riscaldare i corpi infreddoliti di chi lavorava giorno e notte a quell’imponente costruzione.
Brunelleschi, dal canto suo, fu felice di aver trovato una soluzione efficace al suo problema: facendo portare ogni giorno questo stufato dentro gli orci fin sulle impalcature utilizzando gli argani del cantiere, i ritmi lavorativi migliorarono e la perdita di tempo della pausa pranzo degli operai – che fino ad allora scendevano in città per pranzare nelle osterie tornando a lavoro piuttosto brilli – fu ridotta al minimo. Il risultato di questa dieta si rivelò quindi straordinario, soprattutto per l’architetto fiorentino.

Sembra che anche l’aggiunta del pepe sia stata opera sua: come tutte le spezie pregiate, il suo costo era molto elevato ed i “fornacini” non potevano certo permettersi di acquistarlo. Ma grazie alla sua generosità, si accollò, infatti, i costi  per l’acquisto di questa spezia, il piatto migliorò il suo sapore – l’abbondanza di pepe riusciva a coprire il gusto della carne non proprio freschissima – ed acquisì il nome di “Peposo de’ fornacini”, nei secoli divenuto noto poi come “Peposo dell’Impruneta”, ancora oggi fiore all’occhiello di questa città, che celebra ogni anno il “Peposo Day” a settembre, nell’ambito della festa dell’Uva.

Non è dato sapere se il Peposo, nel suo piccolo, abbia realmente contribuito alla costruzione della splendida Cattedrale di Santa Maria in Fiore. Ciò che è certo, tuttavia, è che si tratti davvero un piatto di umili origini: le parti muscolose del bovino, dure e callose – i tagli meno nobili delle sue carni, cosiddetti “di terza categoria” – venivano fatte a pezzi e cotte lentamente nel vino rosso che abbondava nella zona, fino a diventare saporite e morbidissime. Io ho utilizzato il campanello, adatto appunto per stufati, stracotti e bolliti: si tratta del polpaccio del bovino, ossia dei muscoli che si trovano dietro alla tibia.

Nessuna perdita di tempo, nessun soffritto, niente grassi, niente pomodoro, visto che all’epoca la scoperta dell’America doveva ancora avvenire: il Peposo è da considerarsi a tutti gli effetti un piatto leggero, “per stomaci delicati”, come direbbe l’Artusi, se si esclude la quantità di pane che esso richiede come accompagnamento.

La ricetta che riporto io rispetta la tradizione e non prevede né olio né pomodoro, anche se molte delle versioni attuali partono da un soffritto di base e “colorano” lo stufato con del concentrato o della conserva.  Le sole aggiunte che non snaturano la ricetta originale sono le erbe aromatiche e qualche spicchio d’aglio.

Prima della ricetta, una piccola curiosità: sapete che proprio nel periodo della costruzione del Duomo di Firenze è nato il detto “a ufo” per indicare qualcosa che si può ottenere senza pagare? I materiali che giungevano nella città e che erano destinati alla costruzione dell’imponente opera, infatti, erano esenti da tasse e recavano la scritta “Ad Usum Florentinae Operae”, che veniva abbreviata con la sigla “A U.F.O.”; da qui nacque il famoso detto.

ph. Serena Bringheli

Ingredienti per 4 persone:
750 g di muscolo di vitellone
6 spicchi d’aglio sbucciati
50 grani di pepe nero
1 rametto di rosmarino
4 foglie di salvia
4 foglie di alloro
750 ml di vino Chianti (giovane, 1-2 anni)
sale
pepe nero macinato
qualche fetta di pane toscano, non salato

Preparazione:
Tagliate la carne in pezzi delle dimensioni poco più grandi di una noce, senza scartare le parti grasse o callose; ponetela in una pentola dal fondo spesso e unite gli spicchi d’aglio ed i grani di pepe schiacciati (non macinati). Formate un mazzetto con rosmarino, salvia e alloro, legandolo con dello spago da cucina e mettetelo nella pentola; versate il vino e cuocete a fuoco basso, coperto, per un paio d’ore, controllando di tanto in tanto che il vino non sia mai del tutto ritirato.
A questo punto assaggiate la carne e regolate di sale; poi versate 300 ml di acqua calda e continuate la cottura, sempre col coperchio e con il fuoco al minimo, per un’altra ora scarsa. A fine cottura il sugo dovrà essere denso e la carne molto tenera: solo allora il peposo sarà pronto.
Servitelo subito, macinando nuovamente un pizzico di pepe ed accompagnandolo con qualche fetta di pane toscano abbrustolita.

Bibliografia:
Scarpaleggia, G. Cucina da chef con ingredienti low cost, Bur, 2014.
Petroni, P. Il grande libro della vera cucina toscana, Giunti Editore, 2008.
http://www.peposo.it/
http://www.teladoiofirenze.it/cibo/la-storia-del-peposo-e-il-suo-legame-col-duomo-di-firenze/
http://www.ilgiornaledelcibo.it/ricetta/peposo-alla-fornacina-ante-1492/
http://www.ilforchettiere.it/brunelleschi-e-lorigine-del-peposo-dellimpruneta/
Partecipano come contributors:
Serena Bringheli, Peposo dell’Impruneta
Valentina De Felice, Peposo
Lucia Melchiorre, Il Peposo…quello dell’Impruneta
Anna Calabrese, Peposo è peposo, il peposo dell’Impruneta per il Calendario del Cibo Italiano
Francesca Lanuova, Peposo per Uomini Duri

5 commenti

  1. Il pepe in grani è più “delicato”, se si può dire e sarebbe da preferirsi nella preparazione. Storicamente si usava in grani anche e forse soprattutto perché riutilizzabile per la preparazione del giorno seguente

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