Anice e Finocchietto

ph. Paola Sartori e web

Pubblicazione: 31 Agosto 2016

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Giornata Nazionale dell’Anice e Finocchietto

Ambasciatrice Valentina De Felice per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

ER FINOCCHIO SERVATICO

(Poesia di Leonardo Spicaglia)
Si a lujo bazzicate la campagna
cercate ‘n po’ de favve cascà l’occhio
su ‘na pianta fiorita che se magna,
che sarebbe la pianta der finocchio.
Tra le prode e le fratte ppe’ cercallo
basta guardà le macchie de colore
perché er finocchio fa ‘n’ombrello giallo.
Voi dovete da coje proprio er fiore.
Fatelo seccà a l’ombra bbene bbene
che, ‘na vorta levati li zeppetti,
in un barattoletto se mantiene.
Poi connitece carne de maiale,
pollo, funghi e patate a tocchetti,
così ve scorderete de sta’ male.

Il finocchio selvatico (nome scientifico Foeniculum vulgare), comunemente chiamato finocchietto, è una pianta aromatica, officinale coltivata nell’orto a scopo alimentare per aromatizzare insaccati e pietanze, ma di fatto è una pianta spontanea, perenne, dal fusto ramificato, alta fino a 2 m. Possiede foglie che ricordano il fieno (da cui il nome foeniculum), di colore verde intenso e produce in estate ombrelli di piccoli fiori gialli, cui seguono i frutti prima verdi e poi grigiastri.

Del finocchio selvatico si utilizzano i germogli, le foglie, i fiori e i frutti (impropriamente chiamati “semi”).

La raccolta del fiore del finocchio selvatico avviene in Italia appena il fiore è “aperto”, normalmente a partire dalla seconda metà d’agosto fino a settembre inoltrato. Il fiore si può usare fresco o si può essiccare, all’aperto ma lontano dai raggi diretti del sole, che farebbero evaporare gli olii essenziali in essi contenuti.

Le “barbe” o foglie e i teneri germogli si possono cogliere invece dalla primavera all’autunno inoltrato, e possono essere consumate fresche o congelate previa una leggera scottatura in acqua bollente.  E’ preferibile raccoglierlo in campagna lontano dalle strade trafficate e l’ideale sarebbe coglierlo asciutto dopo una bella pioggia estiva.

I piccoli semi hanno una forma schiacciata e allungata, con colori che variano dal verde chiaro al marrone. I semi essiccati si possono acquistare interi oppure macinati e devono essere conservati lontano dalla luce, in vasi con chiusura ermetica.

Il finocchietto selvatico predilige i climi mediterranei caldi e asciutti, ama le esposizioni molto soleggiate dove cresce forte e rigoglioso ed è una pianta che generalmente si accontenta delle acque piovane ma nei periodi di prolungata siccità vandrebbe irrigata almeno ogni 15 giorni. Proprio per questo è facile trovarlo in campagna o in terreni incolti dove crea meravigliose macchie di colore giallo all’apertura degli ombrelli dei fiori.

Il finocchietto selvatico ha un profumo misto tra miele, liquirizia e carrubo ed è un prodotto unico nel variegato e profumato mondo delle erbe aromatiche. Non è troppo tardi per andare a raccogliere del finocchietto perché ci saranno ancora dei meravigliosi fiori da prendere almeno per un altro paio di settimane. Vi consiglio di farlo perché il finocchietto selvatico è un’ottima pianta da usare in cucina sia per le proprietà benefiche sia per l’aroma che conferisce alle pietanze.

Le foglie del finocchietto selvatico sono molto fresche e dall’aroma meno deciso dei semi. In Sicilia si usano per profumare ottimi piatti di pasta, come la famosissima Pasta con le Sarde, o le carni bianche, come il pollo al forno. Mescolate ad altre erbe aromatiche primaverili aromatizzano delicatamente i piatti a base di uova.

I semi essiccati, invece, sono ottimi da usare per le preparazioni al forno, alla brace o alla griglia come le patate o la carne di maiale, di agnello, di anatra (ottima è la “Nana” in porchetta, l’anatra così come si chiama in Toscana) e hanno la proprietà di renderle più digeribili. Si usano inoltre per aromatizzare l’acqua in cui si lessano le castagne, per profumare le olive nere o i fichi secchi messi a conservare.

Si trovano i semi di finocchietto nella composizione delle salsicce in Campania e in alcuni salumi (la Finocchiona toscana, ad esempio). Sono perfetti per aromatizzare i tarallini in Puglia, pane, ciambelle o altri dolci casalinghi e per speziare vino caldo o tisane. Parecchi liquori sono aromatizzati con il finocchio, tra questi il gin, l’assenzio e alcune acquaviti.

Ottimo per profumare il pesce arrosto è l’ olio al finocchio, ottenuto lasciando macerare in esso alcuni gambi essiccati.

Altro preziosissimo ricavato del finocchietto selvatico sono i fiori, che compaiono a fine estate raggruppati in simpatici ombrelli gialli.

In Maremma e in Tuscia i fiori di finocchio essiccati trovano larghissimo impiego in cucina, nei piatti a base di carne di maiale (fegatelli, braciole, costarelle alla brace, salsicce in padella con olive o con patate) come pure in alcuni insaccati tipici casalinghi come il sanguinaccio, la susianella o le salsicce nere essiccate con finocchio e uvetta. Oltre al maiale, questi fiori vengono utilizzati anche con le patate e nei piatti a base di coniglio come il coniglio in porchetta o il coniglio in umido alla viterbese, ma non manca neanche nel pollo arrosto o in quello in padella con le olive o nei piatti a base di pesce di lago come la tinca imporchettata.

Si usano per profumare le lumache al tegame, il baccalà arrostito alla griglia e perfino in un sugo tradizionale al finocchio in uso a Vitorchiano (VT)  per condire i lombrichelli, antica pasta casalinga a forma di spaghettoni, fatta con semplice acqua e farina.

La raccolta dei fiori di finocchio è abbastanza facile. In estate, quando il finocchio è in piena fioritura, si raccolgono gli ombrelli ancora in fiore, che vanno messe a seccare, quindi stropicciandole fra le mani o passandole al setaccio si ottiene una sostanza fine, dal profumo intenso e caratteristico, che contiene sia i fiori sia i piccoli frutti non ancora maturi, e che gran parte delle famiglie del viterbese conserva in barattoli di vetro come scorta per essere utilizzata in cucina durante tutto l’anno. Bisogna munirsi di forbici e recidere l’ombrello per poi riporlo delicatamente in un cesto o una busta facendo attenzione a non far cadere i semi.

Questi “fiori di finocchio”, che non si trovano in vendita come prodotto industriale, si possono reperire nei tradizionali negozi di frutta e verdura di quelle zone dove fiorisce questa pianta o si deve sperare che qualcuno ne regali un vasetto.

Cenni Storici

La storia del finocchio è molto antica.

Era conosciuto dai Greci e Demostene, nel III secolo a.C, racconta che per il rito a Dionisio occorrevano corone intrecciate di finocchio.

Plinio il Vecchio (I secolo d.C) racconta che i serpenti si sfregavano contro la pianta di finocchio, dopo aver cambiato la pelle, per riacquistare la vista, e in relazione a questa storia afferma che il finocchio è ottimo nella cura degli occhi.

Secondo le credenze popolari antiche, il finocchio aveva la virtù di essere un forte antidoto contro la morsicatura dei rettili velenosi e dei cani.

Nel Medioevo, si pensava che il finocchio tenesse lontano gli spiriti dalle case e se ne appendevano dei mazzi sopra le porte d’ingresso. Per lo stesso motivo si mettevano dei semi nei buchi per le chiavi soprattutto la notte della festa di Mezza Estate.

Re Edoardo I d’Inghilterra aveva una vera fissazione per i semi di finocchio e alla corte se ne consumavano circa 2 kg al mese, probabilmente oltre che come condimento anche come soppressore della fame.

Una tradizione portata in Europa dai Puritani è quella di andare in chiesa con dei fazzoletti nei quali sono avvolti alcuni semi di finocchietto da masticare per allontanare la fame, durante le lunghe cerimonie religiose.

Curiosità

L’espressione “lasciarsi infinocchiare” deriva dall’abitudine dei cantinieri di offrire spicchi di finocchio a chi si presentava per acquistare il vino custodito nelle botti. Esso infatti contiene sostanze aromatiche che rendono gustoso anche un vino di qualità scadente o prossimo all’acetificazione.

“Foeniculum pellit spiracula culi”, il finocchio espelle l’aria dal ventre, si legge in un trattato medioevale della Scuola Medica Salernitana (XI secolo). Infatti il finocchio ha la proprietà di ridurre la flatulenza e il meteorismo ed è usato come digestivo. Se masticati, i semi di finocchio combattono l’alito pesante e impacchi fatti con cotone imbevuto nell’acqua del loro decotto calma gli occhi arrossati.

ANICE

L’anice, o Pimpinella anisum, appartiene, come il finocchietto selvatico, alla grande famiglia delle Umbelliferae. Questa ombrellifera è talmente diffusa in Italia da essere considerata oramai una pianta spontanea. Raccolta in agosto-settembre, nelle prime ore del mattino quando la rugiada impedisce ai frutti di cadere, viene fatta essiccare per ottenere dei piccoli acheni molto profumati, comunemente detti semi, che contengono una sostanza oleosa, l’anetolo, che conferisce loro il caratteristico aroma.

L’anice proviene dal Medio Oriente, tuttavia attraverso i Greci e i Romani si è diffusa e cresce in tutti i Paesi che hanno un clima temperato e caldo, come quelli mediterranei.

I frutti si raccolgono quando cambiano colore, dopo di che si fanno essiccare in sacchetti di carta posti in luoghi molto asciutti.

L’anice si trova in commercio sotto forma di semi, da preferirsi a quello già macinato, che perde velocemente l’aroma. Bisogna tenerlo ben chiuso in un recipiente, posto lontano dalla luce diretta.

L’anice viene usato soprattutto in pasticceria, nell’industria dei liquori e per aromatizzare piatti salati. Viene aggiunto infatti al pesce, al posto dei semi di finocchio, oppure a minestre, pollo, maiale, verdure e serve a profumare alcune salse. In pasticceria aromatizza torte, come il famoso Buccellato Lucchese, biscotti o creme o i deliziosi biscottini liguri, gli Anicini o Anéxin, biscotti semplici e dal profumo molto delicato tipici della zona di Genova e che, da una tradizione risalente al 400, si consumano a Natale inzuppati nel vino. L’anicino si ambientava perfettamente nella tranquilla atmosfera borghese dei salotti genovesi, tra tovagliolini ricamati a mano e bicchierini di aleatico e rosolio, ma oggi sono stati quasi surclassati dai biscotti di produzione industriale.

L’anice serve anche per profumare frutta cotta (come mele, pere e prugne), le castagne bollite e i fichi secchi, e per dare carattere ad alcune minestre a base di latte e pane ammollato.

In liquoreria, invece, fin dall’antichità, è l’ingrediente principale per realizzare moltissimi liquori, tra cui l’Ouzo greco, il Pastis francese e tutta una serie di liquori italiani, tra i quali la Sambuca. Oggi è la sambuca il re tra tutti i liquori aromatizzati all’anice che si producono in Italia. Deve il suo nome dall’arabo “mammut” che deriva da un prodotto sbarcato a Civitavecchia su navi provenienti dall’Oriente. Col nome italianizzato veniva battezzato un liquore a base di anice, il Vermouth, che da oltre 130 anni viene prodotto in questa città portuale in provincia di Roma e che nonostante l’assonanza, non ha nulla a che vedere col sambuco.

In Italia, l’anice verde cresce spontaneamente in Sicilia mentre lo si coltiva maggiormente in Emilia Romagna (tra Cesena e Forlì) e in Toscana.

Nelle Marche, e in particolare nel territorio Piceno, c’è una coltivazione diffusa, ma non intensiva in quanto la produzione era finalizzata ai consumi familiari, di anice verde, in special modo nei comuni di Castignano e di Offida, e il seme prodotto e raccolto a mano nelle colline di Castignano è il più ricco di profumi e sapori. Ciò è dovuto all’esposizione soleggiata dei terreni, al clima leggermente ventilato seppure riparato dal vento e alla particolare conformazione dei terreni, fertili, ben lavorati e soprattutto ben drenati. Per questa ragione l’anice verde di Castignano contiene una percentuale di anetolo notevolmente superiore a quella dell’anice coltivato in altri luoghi.

La coltivazione dell’anice a Castignano iniziò nella seconda metà dell’800, ad opera di Silvio Meletti, che pensò bene di sfruttare a scopo industriale l’estratto dei frutti per la produzione di liquore. Fino al 1948 l’anice raccolto a Castignano veniva venduto totalmente alla Ditta Meletti di Ascoli per la famosa Anisetta, la cui produzione a livello industriale ha avuto inizio nel 1870.

Le Marche vantano anche la presenza della Distilleria Varnelli, fiore all’occhiello della produzione liquoristica Italiana. Fin dal 1868 la famiglia Varnelli, attraverso quattro generazioni di liquoristi, ha migliorato la qualità dei propri prodotti, grazie proprio alla conservazione e all’autenticità artigianale del processo di produzione, per mantenere integri i componenti naturali dell’anice all’interno del loro prodotto di punta, il Varnelli.
Si tratta di un liquore di Anice con un gusto secco e deciso che lo rende assai gradevole in molteplici usi, un “gusto speciale” che non si descrive a parole. Proprio per questo la sua etichetta riporta da sempre una frase coniata da Antonio Varnelli: “A farmi preferir basta un assaggio”.

Il modo più diffuso e tradizionale di godersi il Varnelli è con il caffè: questa “correzione” non ne altera il gusto, ma lo esalta. Aggiunto all’acqua con ghiaccio, a cui conferisce una gradevole e caratteristica opalescenza, è uno squisito ed efficace dissetante. Il Varnelli è ottimo da servire sul gelato, sulla macedonia di frutta, per preparare freschi e profumati sorbetti.

Oltre alla tipologia verde, considerata la più comune, esistono altri due tipi di piante di anice: stellato e pepato, entrambe originarie della Cina dove trovano un largo utilizzo nelle preparazioni alimentari tipiche.

L’anice stellato, Illicium verum, appartiene alla famiglia delle magnolie e la caratteristica forma a stella lo rende adatto alle decorazioni dei piatti.
L’anice pepato, Xanthoxylum piperitium, è ricononosciuto per la forte aromaticità ed è molto utilizzato per la preparazione dei dolci e in molti alcolici soprattutto nei paesi dell’Europa balcanica.

Cenni Storici

I Romani usavano l’anice per insaporire piatti a base di pollo, maiale e verdure, e lo inserivano fra gli ingredienti di un dolce rituale fortemente speziato, probabile antenato della torta nuziale, per le proprietà digestive attribuite a questa spezia. Questo dolce veniva cotto in foglie di alloro e veniva servito a fine pasto. Le proprietà digestive sono ricordate da Teofrasto, Dioscoride e Plinio il Vecchio che suggeriva di dormire su cuscini poggiati su qualche seme di anice per scongiurare gli immancabili incubi dovuti alla cattiva digestione.

L’anice insieme al giusquiamo, la belladonna, la liquirizia, la menta e il ginepro sono ricordati come medicamenti per lo stomaco nella famosa tavola del re assiro Assurbanipal ed erano già usati a Creta dodici secoli prima di Cristo.

Discoride (I sec. d.C.) ricorda anche che i Latini attribuivano all’anice anche qualità medicinali, tra le quali quella di combattere l’impotenza, “risvegliando” Venere. Il termine “anisum” viene per altro fatto risalire a termini greci che significano “eccitare” o “avvampare”.

Nel 1543, Fuchs scriveva nel suo Novo Erbario: “Il seme di anice rende l’alito lieve e profumato. Utile come dissetante, impedisce il gonfiore di stomaco. Fa produrre più latte alle donne, e stimola il desiderio concupiscente. Questo seme fa del cibo un piacere”.

Una credenza popolare diceva che se si voleva regalare a una donna un momento amoroso inebriante, si doveva ridurre l’anice in polvere, emulsionarlo nel miele, per poi applicarne l’unguento sulla pelle dei due amanti. Con i semi di questa pianta e quelli di giaggiolo venivano addirittura preparati sacchetti odorosi destinati a profumare le persone e le camere da letto.

Dal Medioevo le proprietà toniche della pianta trovarono largo impiego presso coloro che volevano favorire la digestione dopo sontuosi banchetti. Durante l’Ottocento l’anice si affermò come ingrediente principale sia di una bevanda popolare fatta con acqua ghiacciata, sia dell’assenzio, liquore tanto caro agli artisti e agli intellettuali dell’epoca. Nell’Inghilterra Elisabettiana l’anice era l’ingrediente principe di torte e dolci, ma si deve la sua popolarità soprattutto al pan di zenzero, di cui era ed è ingrediente fondamentale.

Focaccine alle Patate, Salsiccia e Fiori di Finocchietto Essiccati

Ingredienti

300 grammi di impasto di focaccia (secondo la vostra ricetta preferita)
4 patate a pasta bianca
1 salsiccia privata della pelle esterna
Olio extra vergine di Oliva di ottima qualità
Sale Fino
1 mazzetto di foglie di finocchietto selvatico
1 cucchiaino di semi di finocchietto
1 cucchiaio da tè di Fiori di Finocchietto essiccati

Procedimento

Stendere l’impasto per focaccia, che avrete realizzato con la ricetta a voi più congeniale, allo spessore di 1 cm, e ritagliare con un coppapasta del diametro di 10 cm 5/6 focaccine più piccole.

Nel frattempo lessare le patate con la buccia, raffreddarle sotto acqua corrente, sbucciarle e schiacciarle con i rebbi di una forchetta grossolanamente in un piatto, condendole con sale e un filo di olio extra vergine di oliva di ottima qualità.

Togliere la pelle alla salsiccia e, schiacciandola con i rebbi di una forchetta, unire alla carne i semi di finocchetto.

Disporre un cucchiaio colmo di patate su ogni focaccina, cospargere di fiori di finocchietto essiccati, porre al centro di ogni focaccina una polpettina di ripieno di salsiccia e cuocere in forno preriscaldato a 220°C in modalità statica per 20 minuti.

Servire le focaccine calde con un ciuffetto di barba di finocchietto fresca per decorazione.

FONTI

●     Leonhart FUCHS: Il Nuovo Erbario, 1543
●     Tore FIORI, IL Finocchietto e La Pescatrice, La Cucina Siciliana di San Vito Lo Capo, Feltrinelli
●     Wikipedia
●     Silvia STROZZI, Le Erbe in Tavola, Macro Edizioni
●     Erbe Aromatiche, l’Arte di Esaltare i Sapori, Ed. Mondadori
●     Erbe Aromatiche Protagoniste in cucina, Ed. Gribaudo
●     Guida ai Rimedi naturali, Ed. Gribaudo – Parragon
●   www.varnelli.it
●     D’ANGELI L.,(1981) : L’anice tra Castignano e Ascoli Piceno. Proposte e ricerche, Univers. Studi Urbino: 172-73
●     BELLOMARIA B., (1982): La coltivazione dell’anice verde a Castignano (Ascoli Piceno)
●    www.ligucibario 

Partecipano come contributors:

Sara Sguerri, “Pasta chi Saddi” Palermitana: Bucatini con Sarde Fresche e Finocchietto Selvatico

Erica Zampieri, Nuotando con il finocchietto

Alessia Massari, Schiacciata al finocchietto con crudo, pesche grigliate e caffè

Lucia Melchiorre, Tarallini scaldati al finocchietto

Giuliana Fabris – Alici marinate al finocchietto selvatico e agrumi

Tamara Giorgetti, Buccellato di Lucca

Manuela Valentini. Pasta fresca al finocchietto profumatissima

Enrica Gouthier, Biscotti all’anice e birra di Fiemme

Cristiana Grassi , Polpettine in brodo: rivisitare la tradizione con il finocchietto

Alessandra Gabrielli, Ciambelline ciociare al vino 
Paola Sartori, Liquore al Finocchietto selvatico
Anna Calabrese, Salsicciotte al vino e finocchietto 
Tamara Cinciripini, Biscotti all’anice 
Maria Grazia Ferrarazzo Maineri, Gli Anicini Liguri
Resy, Ciambelline al Vino e Semi di Anice

14 commenti

    1. Tamara Grazie di cuore, ci tenevo moltissimo ad ambasciare io questa giornata, per questa particolare produzione delle “nostre” zone, i fiori essiccati. E grazie per il bellissimo contributo.

  1. Un articolo favoloso, scritto con il cuore e corredato, oltre che da foto bellissime, da voglia e passione. Un’ambasciatrice con i fiocchi, come sempre Vale… E’ un piacere esserci! Baci

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