Giuseppe Verdi

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Pubblicazione: 9 Marzo 2016

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Giornata Nazionale di Giuseppe Verdi, prima rappresentazione del Nabucco

Ambasciatrice Antonella Marconi per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

Sicuramente qualcuno di voi si ricorderà queste due banconote: la prima, utilizzata dal 1962 fino al 1969, e la seconda, in circolazione dal 1969 al 1981. Ritraggono entrambe uno tra i compositori più famosi e importanti, insieme con gli operisti del primo Ottocento Rossini, Donizetti e Bellini: Giuseppe Fortunino Francesco Verdi, nato a Roncole di Busseto – nel Ducato di Parma – il 10 ottobre 1813.

Autore di indiscussi capolavori del Melodramma, cantati nei più grandi e famosi teatri del mondo, non ebbe una vita facile. Iniziò prestissimo i primi rudimenti di musica, a soli 15 anni compose la sua prima sinfonia e più tardi, grazie all’aiuto di Antonio Barezzi, negoziante amante della musica e direttore della filarmonica del paese, divenuto poi il suo mecenate e protettore, si stabilì a Milano in Porta Ticinese. Con lui anche Margherita, figlia del suo benefattore, che poi sposò: insieme ebbero due figli, che purtroppo morirono in tenerissima età. Mentre stava lavorando alla sua seconda opera, Un giorno di regno, anche la moglie morì. Colpito così duramente negli affetti, dovette affrontare anche l’insuccesso di quest’opera, tanto che era più che mai deciso a smettere di comporre.

Fortunatamente questo non avvenne!

Infatti, ecco che oggi celebriamo questo grande compositore nella ricorrenza del suo debutto con il Nabucco, avvenuto appunto il 9 marzo 1842. Si tratta di un’opera importante, principalmente perché è vista come la “rinascita” dell’uomo compositore. Rinascita avvenuta grazie all’insistenza dell’impresario Bartolomeo Merelli, che lo convinse a non abbandonare il suo lavoro e gli consegnò il libretto di Temistocle Solera, dal testo biblico Il Nabucco. Verdi non aveva assolutamente intenzione di leggerlo, ma si narra che, arrivato a casa e gettato il libretto sul tavolo, questo si aprì alle pagine del Va, pensiero, la cui lettura lo scosse a un punto tale da decidere di musicarlo. Ed ebbe il successo che tutti conosciamo.

Era l’autunno del 1841 quando questo nuovo capolavoro era pronto per essere rappresentato, inizialmente con il titolo Nabucodonosor, poi accorciato per praticità. Opera in quattro atti, non era la rappresentazione drammatica di personaggi, ma un messaggio corale di vita dal popolo ebraico. Tra il cast di cantanti, il ruolo di Abigaille venne interpretato da Giuseppina Strepponi, che successivamente divenne la nuova moglie di Verdi.

Nabucco_(libretto,_1842) (1)

L’opera è ambientata nel 586 a. C a Gerusalemme e in Babilonia. Si assiste al conflitto tra gli Ebrei e gli Assiri, che invadono Gerusalemme guidati dal loro re Nabucodonosor. La vittoria finale arride però agli Ebrei e al Dio d’Israele, tanto che ad esso si convertono sia la figlia di Nabucodonosor, Fenena, sia lo stesso re di Assiria.

Vi invito a leggere la trama per intero, cercandola su qualsiasi motore di ricerca, per cogliere la bellezza e lo spessore della sua rappresentazione.

Tutti però conosciamo le bellissime parole del Va, pensiero cantate dal coro nel secondo quadro del terzo atto, dove i prigionieri ebrei, costretti ai lavori forzati sulle rive dell’Eufrate, inneggiano alla loro patria. Solera scrisse questi versi ispirandosi al salmo 137, “Super flumina Babylonis”: “Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre”.

Va, pensiero, sull’ali dorate
Va, ti posa sui clivi, sui colli,
Ove olezzano tepide e molli
L’aure dolci del suolo natal!
Del Giordano le rive saluta,
Di Sïonne le torri atterrate…
Oh mia patria sì bella e perduta!
Oh membranza sì cara e fatal!
Arpa d’or dei fatidici vati,
Perché muta dal salice pendi?
Le memorie nel petto riaccendi,
Ci favella del tempo che fu!
O simile di Solima ai fati
Traggi un suono di crudo lamento,
O t’ispiri il Signore un concento
Che ne infonda al patire virtù!

Siamo in piena dominazione austriaca e queste parole toccanti fanno sì che il popolo italiano si immedesimi nella figura del popolo ebraico prigioniero, diventando una sorta di doloroso canto contro l’occupante austriaco, diffondendosi rapidamente in Lombardia e nel resto d’Italia. Quando il coro “Va, pensiero” del Nabucco veniva eseguito a Milano, il pubblico rispondeva con fervore nazionalistico chiedendo il bis. Dal momento che i bis erano espressamente vietati dal governo dell’epoca, un tale gesto avrebbe “destato sospetto” così il pezzo bissato non era il “Va, pensiero” ma l’inno “Immenso Jehovah“:

Immenso Jehovah,
chi non ti sente?
chi non è polvere
innanzi a te?
Tu spandi un’iride?
Tutto è ridente.
Tu vibri il fulmine?
L’uom più non è.

Il famoso slogan “Viva Verdi“, utilizzato come acronimo per “Viva Vittorio Emanuele Re d’ Italia” (Vittorio Emanuele II re d’Italia, era allora re di Sardegna), inizialmente fu usato solo a Napoli fino al 1859 e solo successivamente si diffuse in tutta Italia, come metafora della condizione degli italiani soggetti al dominio austriaco.

Oltre ad essere un grande musicista, Verdi partecipava attivamente alla vita pubblica e dopo aver raggiunto una certa fama e prosperità economica, iniziò ad interessarsi attivamente alla politica italiana: era un patriota convinto e sostenitore dei moti risorgimentali. Nel 1848 conobbe Giuseppe Mazzini, che gli chiese di scrivere un inno patriottico; fu eletto come membro del nuovo consiglio provinciale e nominato a capo di un gruppo di cinque persone, che avrebbe incontrato il re Vittorio Emanuele II a Torino; incontrò Cavour, l’artefice politico delle fasi iniziali dell’unificazione italiana; rifiutò la carica di membro del consiglio provinciale; fu eletto al Parlamento del Regno di Sardegna e membro del Senato italiano.

Giuseppina Strepponi Giuseppe Verdi

Ma non finisce qui… Verdi, oltre che musicista e politico, era anche un raffinato buongustaio: stimato per la sua genuinità e semplicità nonostante il grande successo, amava i frutti della sua terra, il vino, la cucina semplice e genuina, e tra i suoi piatti preferiti c’erano i tortelli alle erbette (o bietole). Sapeva anche preparare un buonissimo risotto.

Nella cucina della tenuta di Sant’Agata, vicino a Busseto, faceva bella mostra un meraviglioso campionario di pentole di rame. Nella sala da pranzo erano esposte argenteria e porcellane: le oltre 100 posate dell’Orfèvrerie Christofle di Parigi, incise con la lettera V che sormontava due G intrecciate (Giuseppe e Giuseppina), e il vasellame di Sèvres bianco e turchese filettato d’oro.

Purtroppo il 14 novembre 1897 Giuseppina morì a causa di una polmonite. Verdi rimase per la seconda volta vedovo ed ancora una volta straziato dal dolore per aver perso una delle figure più importanti della sua vita.

Passò gli ultimi anni della sua vita tra Sant’Agata e Milano, in un’appartamento al Grand Hotel et De Milan dove morì, dopo sei giorni di agonia, la mattina del 27 gennaio1901 a 87 anni.

Semplice ed umile com’era sempre stato, nonostante la fama e il successo, aveva lasciato disposizioni ben precise per il suo funerale, che voleva si svolgesse all’alba o al tramonto e senza sfarzo né musica. Le sue ultime volontà vennero rispettate, ma non si poté impedire alle oltre centomila persone, che lo avevano conosciuto ed amato, di seguire in silenzio il feretro. I giorni immediatamente precedenti la morte, Via Manzoni e le vie circostanti vennero cosparse di paglia affinché lo scalpitio dei cavalli e il rumore delle carrozze non disturbassero il Maestro.

Verdi_State_Funeral_1901

Di questo grande uomo, soprannominato il Cigno di Busseto, rimango le sue immortali opere, Casa Verdi (guai chiamarla Casa di riposo per Musicisti!), unica al mondo nel suo genere, considerata l’ultimo suo grande capolavoro, a cui dedicò gli ultimi due anni della sua vita. Aveva disposto che fosse inaugurata alla sua morte, per evitare che le persone ospitate si sentissero in dovere di ringraziarlo per la sua generosità.

Le salme di Giuseppe Verdi e della moglie, inizialmente sepolte nel Cimitero Monumentale, vennero trasportate in corteo solenne nella Cripta di Casa Verdi, accompagnate dalle note del Va, pensiero, cantato da un coro di 900 persone dirette dal Maestro Arturo Toscanini.

Fonti:

https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Verdi

Enciclopedia Garzanti della musica.

Appunti personali di Storia della Musica

In omaggio a questo grande personaggio ed in ricordo del suo piatto preferito, ecco la mia ricetta dei

Tortelli alle erbette

Ingredienti
Per il ripieno:
500 g di bietole (erbette)
250 g di ricotta
Parmigiano Reggiano q.b.
sale
pepe nero
Per la pasta (circa 25 tortelli):
200 g di farina 0
2 uova
burro e salvia q.b.

Tortelli Giuseppe Verdi
Esecuzione

Pulite e lavate le erbette e, senza scolarle troppo, mettetele a cuocere in una pentola senza aggiungere ulteriore acqua, per non disperderne i valori nutritivi. In questo modo non servirà scolarle o strizzarle, una volta cotte.

Preparate la pasta versando la farina sul tavolo, fate una fontana al centro, sgusciate le uova (se avete la planetaria usate l’apposito contenitore) e iniziate a lavorare l’impasto, integrando pian piano le uova alla farina con una forchetta e successivamente lavorando l’impasto con le mani.

Si deve ottenere un impasto liscio e ben amalgamato, da lasciar  riposare per qualche minuto coperto con un telo. Nel frattempo preparate il ripieno.

Tagliate finemente le erbette cotte con il coltello e quando sono fredde aggiungete la ricotta, il Parmigiano, sale e pepe.

Ora tirate la pasta: staccate piccoli pezzetti dall’impasto e iniziate a passarli al tira pasta, o a mano come fanno le sfogline emiliane, ad uno spessore molto sottile, ricavandone lunghe strisce.

Tagliatele con la rondella in quadrati della dimensione che desiderate, 6/7 cm. o più in base alla grandezza dei tortelli che volete ottenere.

Distribuite il ripieno in base alla grandezza dei vostri quadrati e realizzate i tortelli, che cuocerete in abbondante acqua bollente salata.

Scolateli e conditeli con burro fuso con la salvia, ed abbondante Parmigiano Reggiano grattugiato.

Partecipano come contributors:
Micaela Ferri, Anolini in brodo
Elena Broglia, Cacio bavarese

11 commenti

  1. Incantata da quest’articolo che delinea l’uomo nella sua interezza e non soltanto il grande artista che fù, soprattutto non l’avrei mai collegato ai tortelli alle erbette! Complimenti per l’articolo Antonella

    1. Grazie!! Hai visto quante cose si scoprono!? E purtroppo ho dovuto tagliare un sacco per mancanza di spazio! Pazienza. Il messaggio è comunque passato!

  2. Ciao Antonella, la musica scorre nelle tue vene e si legge nei tuoi articoli. Ogni volta li leggo tutto d’un fiato e imparo qualcosa di nuovo, grazie! Vedendo la ricetta dei tortelli mi è tornato in mente il nostro lavoro di matterello insieme alla bravissima sfoglina durante il blog tour a Castelvetro… Un bellissimo ricordo, a presto dani

  3. Va, pensiero è l’inno che mi piace talemente che quando lo senntomi vengon i brividi. Grazie di tutto queste info qualcune le ho perse ma ora ritrovate. Buoni i tortelli. Sono stata a Busseto e si mangia anche molto bene. Grazie di tutto e buona serata.

  4. Leggo adesso in ritardo ma con rinnovato piacere ed emozione che sempre provo quando si parla di Beppino, della sua meravigliosa arte, della sua vita intensa e profondamente segnata da un’umanità tutta speciale. Ti ringrazio perché dai tuoi post sulla musica emerge un amore appassionato e sincero, tale e quale al mio.
    Un grande abbraccio, Pat

    1. Grazie Patty! Non potrebbe essere altrimenti, l’amore per questo grande musicista! Erano sue le prime opere che ascoltavo da ragazzina, (oltre a Puccini), la Traviata é stata “silenziosa” galeotta in buca, dove ho conosciuto colui che é diventato mio marito, nell'”eterna” lotta “fiati-archi”….come non amare Verdi??!! Un abbraccione

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