La Cucina della Penitenza

Pubblicazione: 22 Febbraio 2016

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Settimana della Cucina della Penitenza

Ambasciatrici Susanna Canetti e Alessandra Gennaro

La Quaresima è il periodo che, nel calendario liturgico romano, va dal Mercoledì delle Ceneri al mezzogiorno del Sabato Santo, per un totale di quaranta giorni (da cui il nome), a ricordo dei quarant’anni trascorsi dal popolo di Israele nel deserto, prima di approdare alla Terra Promessa. E’ un periodo di purificazione che si esprime attraverso alcuni tipici strumenti di penitenza, i più caratteristici dei quali riguardano il digiuno e l’astensione da particolari cibi, secondo un modello alimentare conosciuto nei secoli come “mangiare di magro”.

…ma nel Vangelo, non c’è.

Come spesso accade nella storia del Cristianesimo, anche queste prescrizioni risalgono ad un’epoca successiva alla predicazione di Gesù. A differenza dei testi sacri dell’Ebraismo e dell’Islam (le altre due grandi religioni monoteistiche), il Nuovo Testamento non contiene nessun divieto di carattere alimentare, anzi: le rare volte in cui il cibo è menzionato fuori dal contesto simbolico, non è mai per vietare, bensì per consentire; l’esempio più famoso è contenuto in un brano delle Lettere di San Paolo in cui l’apostolo ribadisce, senza troppi giri di parole, che al Signore non importa che cosa mangino i suoi fedeli e che lo stesso deve avvenire fra gli uomini: “colui che mangia di tutto non sprezzi chi non mangia di tutto e colui che non mangia di tutto non condanni chi mangia di tutto (…) chi mangia di tutto lo fa per il Signore poiché ringrazia Dio e chi non mangia di tutto lo fa anch’egli per il Signore e anch’egli rende grazie  a Dio.[1]

Nella sua semplicità, il messaggio è doppiamente rivoluzionario: oltre alla costante insistenza sulla universalità del Cristianesimo, per tutti e non per pochi, queste parole contengono anche una netta presa di distanza dall’Ebraismo, che non a caso viene marcata attraverso il cibo; al rigoroso modello alimentare degli Ebrei, i Cristiani rispondono con una totale libertà di scelta, affermando così il predominio del principio della soggettività su quello della oggettività: a determinare il peccato, cioè, non è quello che hai nel piatto, ma la disposizione d’animo con cui ti accingi a mangiarlo.

Libertà? No grazie!

Anche se oggi si fatica a percepirne la portata, ai tempi si trattò di una rottura sconvolgente.

Così sconvolgente che le generazioni successive non solo non furono in grado di gestirla ma finirono addirittura per percepirla con estremo disagio, perché, come dice Montanari[2] la libertà sconcerta, destabilizza, disorienta: e un messaggio del genere aveva bisogno di tempi e uomini diversi, per poter essere tramandato nella sua integrale novità.

E così, nel giro di pochi secoli, quello che appariva come una prodigiosa dichiarazione di libertà divenne una asfissiante declinazione di “si fa” e “non si fa”, in cui all’aspetto mai rinnegato della soggettività si aggiunsero anche precetti esterni spesso imposti con severità e rigore.

Sarebbe sbagliato, però, condannare senza appello gli inventori di queste norme: provate voi a trovarvi a dover difendere l’integrità di una nuova Chiesa dagli attacchi che in quei primi secoli di vita le piovevano addosso da ogni parte; a lasciarli tutti liberi di pensare, questi primi Cristiani, ci si ritrovava con un’eresia al giorno da combattere, per non parlare delle dispute dei Concili coi fratelli d’Oriente. E se litigare con gli Ebrei ormai non faceva più notizia, quello che stava accadendo nel mondo arabo attorno al profeta Maometto costituiva una minaccia sempre più grave e angosciante. Inevitabile, quindi, che la definizione di una chiara identità diventasse l’urgenza, nelle agende di tutti i Pontefici, Vescovi e Abati dell’epoca e ancor più inevitabile che si tornasse al cibo come strumento principe per far capire a sé stessi e agli altri chi si era per davvero.

Parlare di cibo, però, e parlarne a maggior ragione in società evolute e sempre più complesse che, dopo i bei tempi della globalizzazione dell’Impero romano si trovavano alle prese con profonde differenze (linguistiche, culturali, religiose, economiche, politiche e sociali), era una faccenda complicata: ad ogni alimento, ad ogni piatto, ad ogni prodotto corrispondeva infatti un significato “altro” che finiva per trascinare con sé gli argomenti più disparati, spesso anche di natura ancestrale, spostando il dibattito dal piano personale della purificazione a quello più intricato delle esigenze della collettività.

La carne è debole?

L’esempio più classico è costituito dall’astensione dalla carne, che è il frutto di una operazione culturale delicata e complessa, vista la convergenza di valenze di varia natura, spesso in conflitto fra loro. L’origine di questo divieto va ricercata nell’associazione immediata che, allora come ora, si stabilisce fra questo prodotto e l’uccisione cruenta dell’animale: si tratta di un argomento carissimo agli Antropologi, che coinvolge il tabu del sangue, argomento centrale nello studio dei comportamenti umani. Non è un caso che attraverso di esso passino anche i concetti di Halal e di Kasherut, che costituiscono i pilastri della dieta dell’Islam e dell’Ebraismo. Tuttavia, nel mondo occidentale, definire la carne come impura era un’operazione tutt’altro che semplice, considerati gli imponenti risvolti sociali che questo divieto avrebbe comportato. La carne -e nello specifico, la carne arrosto, meglio ancora se di volatili- era da sempre il piatto dei potenti, che ne facevano un largo consumo in pubblico, a sottolineare la loro forza e il loro potere. Aver poco appetito, nel Medioevo, era segno di debolezza politica e non è una leggenda -ma storia vera- che Carlo Magno non volle seguire i consigli del suo medico, che lo supplicava, se non proprio di evitare la carne, almeno di mangiarla lessata, per contenere i dolori della gotta che lo afflisse sul finire della sua vita. Il potere e la gloria, a quei tempi, passavano per un piatto abbondante di carne arrostita, e guai a non spolpare fino all’ultimo ossicino. La rinuncia alla carne, quindi, diventava rinuncia non solo all’impuro, ma anche al “buono”, diventando e misura del merito dell’astinenza (se mi astengo dal mangiare cose buone, la mia astinenza vale di più) e anche monito ad una vita parca, lontana dalle lusinghe del potere e dei piaceri terreni.

Di magro è bello!

Una volta superato questo empasse, decretare divieti alimentari divenne lo sport preferito dell’epoca, al punto da trasformare l’eccezione del “mangiare di magro” in una vera e propria regola. I giorni del calendario liturgico che vietavano la carne ammontavano a quasi un terzo del totale, con l’inevitabile sdoganamento dei cibi alternativi: pesce (prevalentemente di acqua dolce oppure essiccato e variamente conservato), legumi, formaggi non stagionati, uova e, su tutti, la pasta che impose una tale impronta nel modello alimentare cristiano da essere citata persino dall’Artusi, a distanza di secoli, in un piatto che condensa nel proprio nome tutto il fascino della sua storia.

Spaghetti da Quaresima

da La Scienza in Cucina e l’arte di Mangiar bene di Pellegrino Artusi (ricetta n. 103)

Ingredienti:
400 g di spaghetti
60 g di gherigli di noci
60 g di pangrattato
30 g di zucchero a velo
1 cucchiaino di spezie fini (*)
pepe nero da macinare
olio extra vergine di oliva
*Spezie fini (ricetta n. 79)
2 noci moscate
50 g di cannella
30 g di pepe garofanato (pimento)
20 g di chiodi di garofano
20 g di mandorle dolci

Tritate finemente le spezie in un mixer o pestatele in un mortaio. Setacciatele attraverso un colino a maglie fitte e conservatele in un barattolo di vetro pulito ed ermeticamente chiuso. Se preferite, potete ridurre le dosi dei chiodi di garofano.

Così l’Artusi

Molti leggendo questa ricetta esclameranno:- Oh che minestra ridicola! – eppure a me non dispiace, si usa in Romagna e, se la servirete a dei giovanotti, sarete quasi certi del loro aggradimento. Pestate delle noci framezzo a pangrattato, uniteci dello zucchero a velo e l’odore delle spezie e, levati asciutti gli spaghetti dall’acqua, conditeli prima con olio e pepe, poi con questo pesto a buona misura.

Così invece le mie modifiche

Tritate grossolanamente i gherigli di noci, versateli in una terrina insieme al pangrattato, allo zucchero a velo e alle spezie fini e mescolate bene. Lessate gli spaghetti in abbondante acqua salata.

Nel frattempo, scaldate in padella una generosa dose di olio extra vergine di oliva, aggiungete il mix di pangrattato speziato e fatelo tostare a fiamma vivace, per pochi minuti. Prelevate dalla padella cinque cucchiai abbondanti di composto e teneteli da parte.

Scolate gli spaghetti un minuto prima rispetto a quanto indicato sulla confezione e saltateli in padella, aggiungendo un paio di mestoli di acqua di cottura, in modo che si formi una salsa cremosa, che avvolga completamente la pasta.

Aggiungete a freddo pepe nero macinato al momento e un filo di olio extra vergine di oliva. Spolverate con il pangrattato tenuto da parte e servite.

[1]     Lettera ai Romani 14, 3-6
[1]          MONTANARI, M., Mangiare da Cristiani, 2015
Bibliografia
Montanari, M., La Fame e l’Abbondanza. Storia dell’Alimentazione in Europa (1993)
Montanari, M., Mangiare da Cristiani, 2015

Autori
Per la parte storica: Alessandra Gennaro
Per la ricetta: Susanna Canetti
[1]     Lettera ai Romani 14, 3-6
[2]     MONTANARI, M., Mangiare da Cristiani, 2015

Partecipano come contributors:
Sara Sguerri, Pan di Ramerino
Fausta Lavagna, Minestra di riso e castagne secche
Erica Repaci, La cucina della Quaresima
Bonello Marianna, Prepariamoci alla quaresima
Anna Calabrese, Stoccafisso e patate
Daniela Boscariolo, Castagne e legumi zuppa di quaresima
Susanna Canetti, La Cucina della Penitenza

16 commenti

  1. Bravissime Alessandra e Susanna, mi aveva incuriosito tanto un documentario di John Dickie proprio sull’argomento e mi ha affascinato tantissimo così come avete fatto voi, spero entro la settimana di potervi portare il mio contributo

    1. Hai ragione Tamara, Alessandra ha scritto un articolo splendido, che non ha deluso le nostre aspettative. La ricetta l’abbiamo cercata, trovata e provata: subito può lasciare perplessi, ma ti assicuro che è da provare!

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