I frutti dell’estate

Pubblicazione: 6 Giugno 2016

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Settimana Nazionale dei frutti dell’estate

Ambasciatrice Alice Del Re per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

“Le vere passioni hanno un loro istinto molto preciso. Mettete un piatto di frutta davanti a un goloso; non si sbaglierà, sceglierà, anche a occhi chiusi, il frutto migliore”.
Honoré de Balzac, La cugina Betta, 1846

C’è chi non aspetta l’estate che per godere delle meraviglie dei suoi frutti. Con il caldo, il fisico richiede cibi leggeri e freschi, capaci di reidratare la perdita di liquidi e vitamine, e una ricca macedonia estiva può essere un goloso sostituto del pranzo in spiaggia. Ma non è sempre stato così. Nell’antichità romana, i frutti non erano semplicemente una prelibatezza da gustare nella calura estiva, ma avevano il fondamentale ruolo di integrare i pasti principali.

I Romani, eccellenti agricoltori, cercarono di potenziare la produzione di frutti selezionando le varietà migliori attraverso la pratica dell’innesto. La conquista di paesi lontani, inoltre, insieme alla curiosità e all’apertura verso le novità, rese possibile l’introduzione di frutti di origine asiatica come la pesca e l’albicocca, che già Alessandro Magno aveva portato in Grecia, e la ciliegia, importata a Roma da Lucullo. Esistevano anche molte varietà di pere, oggi scomparse, con le quali il noto Apicio, autore di un famoso trattato culinario, preparava un torta di farina gialla e miele, aromatizzata con pepe e cumino (patina de piris).

Frutti estate ciliegie

Nel Medioevo, il consumo di frutta era riservato alle tavole signorili. È emblematica la novella di Giovanni Sabatino degli Arienti, scrittore bolognese della fine del Quattrocento, che ha per protagonista il contadino Zuco Padella, che di notte si introduce nel giardino di Messer Lippo per rubare le sue “bellissime persiche”. Quando viene colto con le mani nel sacco, Messer Lippo lo prende a male parole e gli dice: “Lascia stare le fructe de li miei pari e mangia de le tue”.

Gli alberi da frutto si trovavano spesso nei giardini dei nobili; i contadini erano costretti a riservare le loro terre a prodotti con un’alta resa (cereali, legumi, ortaggi), così da consegnarne parte al padrone e averne comunque ancora a sufficienza per la propria famiglia. E se nei loro terreni si trovavano alberi da frutto, i pomi erano destinati comunque ai signori.
Nei secoli in cui lo zucchero non era ancora diffuso se non tra gli speziali, infatti, il dolce era un lusso riservato a pochi e la frutta ricopriva il ruolo di dessert, una chicca da lesinare con parsimonia: la locuzione “frutto proibito” ben si addice a questo status.

Frutti estate susine

I frutti estivi, tuttavia, erano spesso sconsigliati dai medici per via della loro eccessiva freschezza e umidità, che avrebbero rischiato di sbilanciare dalla parte del freddo gli umori corporei. In base ai principi dell’allora dominante medicina galenica, si credeva, infatti, che ogni cibo avesse caratteri particolari e che la dietetica dovesse mantenere l’uomo in buona salute accostando i cibi tra loro in modo da bilanciarne le caratteristiche e mantenere l’equilibrio corporeo.
Per esempio, l’accostamento, inalterato nei secoli, di prosciutto e melone (già noto in Italia al tempo dei Romani), nasce proprio perché il calore della carne secca e salata doveva bilanciare la fredda acquosità del frutto. Lo sapeva forse bene il Pontormo, pittore fiorentino del Cinquecento, che ci ha lasciato dei “gustosissimi” diari dove annotava i suoi pasti quotidiani e nei quali il melone è frequentissimo.
Lo stesso dicasi per l’accoppiata pere e formaggio (ma si ha notizia anche di pasti trecenteschi che si concludevano con cacio e ciliegie, o cacio e pesche), o ancora il celeberrimo pesche (o pere) e vino rosso, un must che ancora oggi ci concediamo con grande piacere, ignari del nobile intento medico per cui era stata pensata.
E persino il cocomero, al quale venivano riconosciute ben poche virtù oltre a quella di estinguere la sete estiva e lenire l’infiammazione di stomaco, veniva accostato al vino. Proprio in funzione rinfrescante, il cocomero è entrato nella tradizione culinaria italiana con il gelo di melone (o mellone), dolce al cucchiaio siciliano, tipico di Ferragosto, di consistenza gelatinosa e aromatizzato con chiodi di garofano, cannella e fiori di gelsomino.

A causa della limitata disponibilità di questi frutti, reperibili solo in un breve periodo dell’anno, l’ingegno dell’uomo ha ben presto inventato maniere per poterli conservare e prolungarne il consumo anche nella stagione invernale. La pratica più antica e immediata era l’essiccazione: prugne, albicocche e fichi secchi erano comuni nell’antica Roma, ma probabilmente anche la produzione di confetture con il miele era nota già a quei tempi.
Di epoca medievale sembra invece la tecnica della canditura, che consiste nel ricoprire la frutta di zucchero e ottenere dei veri e propri dolcetti a lunga conservazione, ovviamente ad uso e consumo dei signori. Con il tempo, poi, sono diventate comuni pesche sciroppate (per le quali si usa la varietà Percoca) e le amarene, le ciliegie e le prugne sotto spirito.

Frutti estate pesche

L’impianto su larga scala di alberi da frutto è innovazione relativamente recente nell’economia italiana. Per secoli, peschi, susini e albicocchi (ma anche meli e peri, con varietà estive come le Coscia, le Conference e le Williams) hanno costituito elementi accessori del podere, ornamenti-guardiani da tenere vicino alle case o da disporre in brevi filari per separare campi e colture.
Oggi, invece, esistono ampie zone destinate alla produzione: l’Emilia Romagna è sicuramente la terra più generosa da questo punto di vista, con le sue estensioni di alberi da frutto, e non è solo un primato quantitativo: le Ciliegie di Vignola, le Amarene Brusche di Modena, la Pera dell’Emilia Romagna e le Pesche e Nettarine di Romagna hanno ricevuto il marchio IGP in tempi recenti.
Negli ultimi anni, tuttavia, la produzione va concentrandosi nelle regioni meridionali, da sempre grandi produttrici di frutta: spiccano Campania (albicocche), Puglia, Basilicata e Sicilia, in particolare per le pesche e i fichi, accanto ai quali non vanno dimenticati i fichi d’India: importati dal Messico nel XVI secolo e diffusi soprattutto in Sicilia e in Calabria, sono usati non solo per succhi, confetture, liquori e gelatine, ma, soprattutto, per lo sciroppo che se ne ricava, simile a quello d’acero, utilissimo come dolcificante naturale in dolci rustici.
Nonostante una contrazione rilevata negli ultimi anni, la produzione italiana rimane comunque molto rilevante, se si considera che l’Italia è al secondo posto sul piano mondiale (dopo la Cina) per la quantità di pesche e tra i primi cinque Paesi europei per susine, ciliegie ed albicocche. Il consumo, inoltre, risulta essere essenzialmente stagionale, fattore non di poco conto in un’epoca come la nostra, in cui si tende ad azzerare le differenze stagionali e a forzare i tempi della natura.

Frutti estate pesche 2

PESCHE NEL VINO (pesche n’i’vvino)

In Toscana è uso comune (o almeno, lo era) mangiarle a fine pasto, preparandole direttamente nel proprio bicchiere.
Le ricette che si trovano in giro sono più fighette: si dice di bollire il vino rosso con lo zucchero e qualche spezia – generalmente chiodi di garofano, cannella, noce moscata, o anche scorze di agrumi – per poi filtrarlo e irrorarne le pesche.
In realtà, i vecchi fiorentini di cui ho sentito parlare, tagliavano semplicemente le pesche a fine pasto, le mettevano in un bicchiere, aggiungevano poco zucchero o anche nulla e le consumavano così. Un dessert semplicissimo, fatto con il vino di casa, chiaro e non troppo corposo, ma non per questo con poca gradazione alcoolica.
Le pesche più indicate sono le cotogne o percoche, perché devono essere a pasta compatta e soda: il loro compito è quello di rilasciare profumo e aroma al vino e di ammorbidirsi appena, non di esserne imbevute fino a diventare poltiglia. In alternativa, si possono usare delle pesche a pasta bianca come, per esempio, quelle di Rosano, poco fuori Firenze, famose per la loro bontà.

Per 4 persone:
4 grandi pesche cotogne
1 litro di vino rosso del contadino (ma buono)
2 cucchiai abbondanti di zucchero
Sbucciate le pesche, tagliatele a fettine e mettetele in una zuppiera capiente. Aggiungete lo zucchero, mescolate delicatamente e copritele di vino rosso. Tenete in frigo almeno un’ora e servite.
Bibliografia:
A. Capatti, M. Montanari, La cucina italiana. Storia di una cultura, Laterza 2006.
M. Montanari, Il riposo della polpetta e altre storie intorno al cibo, Laterza 2009.
G. Silvestrini, Dal campo al campiello: mito, storia e quotidianità di frutta e verdura, CID 2009.
http://www.romanoimpero.com/2015/04/la-frutta-dei-romani.html

Patrecipano come contributors:
Tiziana Bontempi, Crostata con Melone
Alessia Massari, Piccola conserva di albicocche in vasocottura
Sara Sguerri, Insalata di Rucola con Pesche Nettarine, Mazzancolle e Semi di Girasole
Giuliana Fabris, Ciliegie sotto aceto
Fausta Lavagna, pesche ripiene al forno alla piemontese
Laura Bertolini , Galletta rustica con ciliegie al pepe di Timut
Tina Tarabelli, Panna Cotta al Cioccolato Bianco e Pesche con Crumble ai Semi di Papavero
Marina Bogdanovic, Marmellata di Melone e Mele
Alice Del Re, Cocktail Bellini e Arachidi Speziate
Milena, Torta Bavarese Fantasia alla Fragola

14 commenti

  1. Mitica Alice, le pesche n’i’vvino!! 😀 😀 Davvero un bell’articolo che rende merito alle favolose primizie che la natura ci offre in questa stagione 🙂 Bravissima!

  2. Alice, ora ti racconto un aneddoto. Mia nonna aveva 6 tra fratelli e sorelle; i bisnonni non erano ricchi, e per di più la bisnonna Rosa aveva l’abitudine di mettere intrno al tavolo non solo i famigliari (a cui si aggiungevano i nonni), ma anche qualsiasi poveraccio o donna abbandonata o “matto del paese” bussasse alla porta (e siccome si risapeva, ogni giorno se ne presentavano almeno due o tre).
    Allora, la nonna e le se sorelle, per compenare le cene fatte di gran minestoni e polente, scappavano in soffitta, dove il bisnonno ststemava amorevolmente la frutta nella paglia, per le stagioni fredde. Inutile dire che ben poca roba arrivava all’inverno…. 🙂
    Grazie per l’articolo e le bellissime foto!
    Alessia

    1. Alessia! 😀 Che belli questi ricordi di famiglia, mi affascinano sempre, soprattutto quando sono lontani nel tempo. Una volta la frutta era davvero una prelibatezza, pensare quanta ne abbiamo a disposizione oggi. Anche se purtroppo è sempre più difficile vivere la magia della frutta colta e mangiata, quando è ancora calda dal sole.
      Grazie per averlo condiviso con noi e per aver partecipato a questa Settimana! 🙂

  3. Cara Alice le cose semplici sono le più buone! A casa dei miei genitori era una consuetudine terminare il pasto con le pesche al vino rosso, senza aggiunta di zucchero. Ora lo facciamo più raramente, ma è sempre un piacevole dessert.
    Grazie per il tuo bellissimo articolo.
    Un caro saluto, buona domenica! :*
    Maria Teresa

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