Raduno 2015: conosciamo Alessandra Guigoni e Carlo Cambi

Programma Raduno 2015

Pubblicazione: 2 Novembre 2015

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Proseguiamo con la presentazione dei relatori che saranno presenti al prossimo Raduno AIFB: dopo Sergio Rossi e Pasquale Di Lena conosciamo più da vicino l’antropologa Alessandra Guigoni ed il giornalista Carlo Cambi.

 

Guigoni

Foto tratta dal web

A L E S S A N D R A  G U I G O N I

 
Il suo curriculum in 10 righe

Sono un’antropologa culturale, ho un Ph.D. preso all’Università di Siena e attualmente sono docente presso l’Istituto Europeo di Design; lavoro come ricercatrice e formatrice, ho insegnato all’Università di Cagliari e di Sassari, mi sono laureata a Genova, più di 20 anni fa, città in cui sono nata.

Mi occupo di antropologia del cibo, sviluppo rurale, agrobiodiversità e patrimoni agroalimentari. Ho all’attivo una sessantina di pubblicazioni scientifiche tra cui il saggio Antropologia del mangiare e del bere (2009) dirigo la collana editoriale Ciborama, e da poco sono membro del Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio Internazionale sull’invecchiamento attivo e la longevità. Collaboro spesso con testate ed emittenti radiotelevisive locali e nazionali, sono anche blogger e appassionata di social, in primis twitter.

Qual è stato il momento più significativo della sua carriera?

Il momento d’oro sinceramente è ora! Con Expo il cibo, che era già un soggetto di moda, è letteralmente diventato una mania e quindi la figura di un’antropologa dell’alimentazione è abbastanza ricercata. Ma vedo anche della negatività: molti si sono improvvisati esperti di food studies senza esserlo e hanno fatto cose di cattiva qualità. La cattiva reputazione di un singolo però spesso si riverbera sulla collettività e quindi c’è il rischio che chi si occupa di food studies come me venga associato a persone che “friggono aria”. Finito Expo vedremo che cosa rimarrà, che cosa è cambiato nel panorama e cosa scomparirà (speriamo non la tendenza all’approfondimento, come invece temo). Solo tra qualche anno si potrà fare un bilancio più equilibrato.

Qual è il suo primo ricordo legato al cibo e da dove è nata la sua passione per tutto ciò che lo riguarda?

I primi ricordi sono legati a mio nonno materno, era inventore e pittore per diletto, metteva passione in tutto ciò che faceva. Ero piccolissima, mi comprava i cioccolatini “cremini” di nascosto ai miei genitori naturalmente, tipico dei nonni; a tavola mi faceva assaggiare i ravanelli, ricordo il piccante in bocca, mi ha “iniziato” ai bianchetti, novellame di pesce, fantastici sia fritti in pastella sia bolliti con olio e limone. Cibi da grandi, che mi hanno incuriosito e reso più aperta verso gusti non convenzionali.

Se dovesse scegliere un argomento per parlare di cibo ai food blogger, nel 2015, quale sceglierebbe e perché?

Partirei sicuramente dalla storia e dalla cultura del cibo, perché costituiscono due elementi fondamentali per me nel food telling.

La comunicazione del cibo fra passato e presente: che cosa si salva e che cosa si butta

Forse butterei alcune trasmissioni televisive generaliste sul cibo, non mi piacciono molto, questioni di gusto mio, salverei alcuni Food Reality e il Carosello: i primi mi divertono abbastanza, sono storie di iniziazione al Cibo, dove i sacerdoti (gli chef) aiutano gli iniziandi e al tempo stesso li mettono alla prova: un classico dello storytelling, che infatti appassiona i telespettatori. Carosello ha accompagnato la mia infanzia e ci sono icone come la Susanna tutta panna o Caballero e Carmencita che sono indimenticabili.

Cibo da guardare, cibo da mangiare, cibo da cucinare, cibo di cui parlare: di queste quattro strade, quale imboccherebbe a colpo sicuro?

Punterei sul cibo di cui parlare ma anche sul cibo da guardare attraverso video più che immagini, i video sono il futuro prossimo, o dovrei dire che sono già il presente, della comunicazione food oriented. Bisogna attrezzarsi a fare ottimi video ad alta definizione con elevati contenuti, originali e brillanti, in inglese o almeno sottotitolati in inglese, ormai la comunicazione avviene a livello planetario.

A quasi 15 anni dalla loro prima comparsa, i food blogger sono oggi una realtà riconosciuta e affermata, nel mondo della comunicazione: quali i suoi consigli, per poter andare avanti sulla strada della credibilità e della serietà professionale?

I food blogger costituiscono una categoria molto complessa, varia, perché potenzialmente il food blogger riunisce in sé diverse conoscenze e competenze professionali, come sapete meglio di me, da quella dell’esperto di comunicazione social, a quello dello scrittore e ricercatore, da quello del cuoco al food stylist, sino al fotografo e al video maker. Trovo molto corretto fare rete tra colleghi e creare associazioni come la vostra che promuovano anche incontri e corsi -come quelli che state organizzando- per mettere a punto un linguaggio comunicativo di base, comune, e visioni e missioni professionali condivise.

 

Carlo Cambi

Foto tratta dal web


 

C A R L O  C A M B I

 
Il suo curriculum in dieci righe

Sono toscano di nascita, cultura, formazione e appartenenza. Vivo a Macerata con una moglie stupenda e una figlia meravigliosa. Ho cominciato a scrivere sui giornali che avevo 14 anni. La Nazione, poi il Tirreno, poi Panorama, poi Repubblica. Ho studiato giurisprudenza a Pisa ed economia. Sono nato da una famiglia agraria e il primo profumo che mi ricordo è quello della vinaccia in distilleria. Da giornalista ho fatto di tutto: inviato del Tirreno, poi di Repubblica di cui sono diventato caporedattore delle pagine economiche. Poi nel 97 ho fondato i Viaggi di Repubblica primo e unico settimanale di turismo in Italia. Ho scritto per Epoca, Panorama, Espresso. Nel 2005 l’ho lasciato e mi sono messo a fare un po’ il docente nelle università, a scrivere libri. Il Mangiarozzo è la mia non guida alle tratorie e osterie d’Italia e pare piaccia tanto visto che è arrivata all’undicesimo anno di pubblicazione, e poi televisione e giornali; più assiduamente QN e Libero. Ed eccomi qua. Lemie passioni? La ruralità, le barche a vela, i cavalli e la Fiorentina (nel doppio senso di squadra e di bistecca). Mi piacciono la musica di Mozart e di Puccini, tutta la letteratura sudamericana in particolare Jorge Amado e quella francese, in pittura mi fermo al Rinascimento. Il resto è noia, Carvaggio a parte Le mie fissazioni? Antropologia rurale e del cibo ed economia reale, quella agraria in particolare. Ho avuto molti maestri. Nel giornalismo Mauro Mancini e Franco Magagnini, nell’enologia Giacomo Tachis, nella gastronomia la mia bisnonna Ermelinda Lancelotti vedova Forghieri e mio nonno Luciano Paltrinieri che mi portava a fare il tour degli stellati a 5 anni. Nella vita i tanti che ho incontrato perché da ogni incontro s’impara qualcosa.

Qual è stato il momento più significativo della sua carriera?

Difficile dirlo. Forse l’uscita del primo numero di Viaggi di Repubblica e, otto anni dopo, la mia uscita da Repubblica che mi ha fatto acquisire una dimensione diversa dello scrivere. Il Mangiarozzo, la televisione, l’università e dunque la ricerca e lo studio sono venuti da quando ho lasciato il giornale che è stato la mia vita per oltre venti anni e che continuo a ritenere la massima scuola di giornalismo in Italia.

Qual è il suo primo ricordo legato al cibo e da dove è nata la sua passione per tutto ciò che lo riguarda?

Il primo ricordo vero sono i tortellini di Nonna Linda. Me li faceva chiudere perché avevo le dita piccole, mettendoli in fila mi ha insegnato le tabelline. La mia passione per il cibo e l’enogastronomia deriva dalla mia infanzia. La mia famiglia aveva grandi aziende agricole e io andavo da piccolissimo con Domenico Angiolini, il fattore, in campagna. Per me tutto quello che è agricoltura e poi diventa enogastronomia è ricordo ancestrale, identità culturale, radice e curiosità quotidiana.

Se dovesse scegliere un argomento per parlare di cibo ai food blogger, nel 2015, quale sceglierebbe e perché?

Due ne sceglierei. Il primo i pericoli derivanti dall’economia globale e dall’omologazione del gusto che i padroni del mondo vogliono produrre per avere un mercato senza barriere identitarie. Molte mode gastronomiche sono indotte per tentare di abbattere le diversità. Insomma parlerei loro di economia e di antropologia rurale. Il secondo argomento è, diciamo, più tecnico: li inviterei a pensare alla cucina delle stagioni e delle regioni.

La comunicazione del cibo fra passato e presente: che cosa si salva e che cosa si butta

Del presente si salva la diffusione e si butta l’approssimazione e anche il marchettismo continuato e aggravato dall’autoreferenzialità. Del passato si salva sicuramento lo spessore culturale che avevano i comunicatori rispetto alla cialtroneria dilagante di oggi che è diretta conseguenza all’inesistenza di barriere di accesso ai mezzi di comunicazione. Si salva anche il rispetto della lingua e la buona scrittura rara avis ai giorni nostri. Del passato si butta sostanzialmente la lentezza dei messaggi e la loro scarsissima capacità d’incidenza se non in ristrette cerche.

Cibo da guardare, cibo da mangiare, cibo da cucinare, cibo di cui parlare: di queste quattro strade, quale imboccherebbe a colpo sicuro?
Cibo da cucinare, perché devi fare per poter raccontare. Anche se io vivo di parole.
A quasi 15 anni dalla loro prima comparsa, i food blogger sono oggi una realtà riconosciuta e affermata, nel mondo della comunicazione: quali i suoi consigli, per poter andare avanti sulla strada della credibilità e della serietà professionale?

Niente marchette o se si fa un favore a qualcuno dichiararlo: la trasparenza inanzi tutto. Cura della lingua e tanto studio. Non perché si ha a che fare con un mezzo agile, straordinariamente potente e anche democratico se è ben usato come la rete si può scrivere, fotografare, ragionare un tanto al chilo. Anzi più la diffusione è ampia più bisognerebbe che lo spessore del messaggio fosse profondo. In ultima cosa raccomanderei di non vivere né complessi di inferiorità rispetto al sistema dei grandi media né complessi di superiorità rispetto a chi magari non sta nel giro. Bisogna essere inclusivi non esclusivi. Come nei piatti nella comunicazione servono quattro ingredienti fondamentali: trasparenza, equilibrio, rispetto e studio.

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