La via del pane bolognese: storia e tradizioni

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Pubblicazione: 13/03/2017

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L’Appennino bolognese fa parte del più ampio Appennino tosco-emiliano ed è proprio qui che si estende La Via del Pane: un percorso enogastronomico e culturale all’interno della Strada dei Vini e dei Sapori, che dal confine sud delle antiche mura della città di Bologna arriva fino alla Toscana attraverso la Via della Futa.

Un viaggio che ci porta tra campi di grano, boschi di castagne e querce, e pascoli incontaminati dove ancora si respira aria leggera e pulita. La natura è inviolata e si snodano sentieri per appassionati di trekking.

Luoghi dove la vita per gli abitanti non è mai stata facile, per la posizione geografica ed il clima rigido in inverno, ma  dove si è saputo valorizzare al massimo le terre attraverso coltivazioni di cereali e marroni.

Il tutto è attorniato da borghi storici, mulini a pietra e forni a legna, dove ancora vive la tradizione del buon pane, quello “Montanaro“, prodotto in particolare nei comuni di Monzuno, Loiano e Monghidoro.

Il Pane Montanaro viene impastato con farine di farro o di grano tenero molite a pietra, si presenta con una forma leggermente allungata e con una crosta croccante. L’alveolatura è fine, non particolarmente accentuata e con mollìca di color giallo pallido. Viene prodotto da sempre con la “madre”, conservata gelosamente per essere poi rinnovata una volta alla settimana.

Tradizionalmente questo pane veniva preparato con acqua di sorgente .

Nella zona che va dalla Sorgente del fiume Savena (il maggior affluente dell’Idice), nel territorio di Fiorenzuola poco a nord del passo della Futa, in passato vi erano ben 36 mulini ad acqua che si allungavano a valle fino ad arrivare a Bologna, al famosissimo Molino Parisio. La sua ciminiera, pur se stata parzialmente abbattuta a seguito del  sisma del 2012, è ancora visibile attraversando via Toscana a Bologna.

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Tra i mulini più famosi troviamo anche il Mazzone di Piamaggio, ancora funzionante e visitabile, e i Mulini della Valle, di Mengoni, di Donino, il mulino del Pero e quello di Scascoli.

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Mulino integrale

I mulini, per sfruttare al massimo ciò che il territorio concedeva, erano spesso costruiti in valli strette e impervie, lungo i torrenti laterali del Savena e dell’Idice.

Grazie ad alcune sorgenti perenni e ad un sistema di raccolta delle acque detto “botte” potevano essere azionati anche nei periodi più aridi; vi si macinavano grano, orzo, mais, ghiande e castagne ed erano una sorta di ritrovo per gli abitanti della zona, un po’ come il moderno bar.

Quando si parla di pane in Appennino, non si può non parlare del forno Calzolari di Monghidoro.

Vado quindi ad incontrare Matteo Calzolari, figlio del fondatore “Francone”, che ha avuto molto successo anche fuori dal paese natale: è infatti presente a Bologna con due punti vendita e lo possiamo trovare anche al Mercato della Terra di Bologna, nello spiazzo davanti al Cinema Lumiere.

Per Matteo il pane si impasta di notte; il valore aggiunto nel pane che produce è legato all’uso di farine biologiche, con importanti fattori nutrizionali e all’utilizzo del suo lievito madre, “Gino”, un nome nato quasi per scherzo in laboratorio ascoltando una canzone di Zucchero.

Matteo è stato tra i primi, quindici anni fa, a credere in un progetto di filiera corta che coinvolgesse gli agricoltori della zona per rimettere in campo sementi di grani antichi da utilizzare, sotto forma di farina, nel suo laboratorio.

La sperimentazione, mi racconta Matteo, è iniziata con un miscuglio di grani antichi composto da Gentilrosso, Mentana e San Pastore, insieme ad altre piccole varietà, ma dopo sei raccolti il miscuglio iniziava ad indebolirsi ed è così ripartita la sperimentazione con particelle diverse. Per qualche tempo si è continuato a seminare Gentilrosso, fino all’incontro di Matteo con Luca Minarelli, un agricoltore della zona con il quale attualmente sta selezionando un nuovo miscuglio, composto dai grani Fiorello e Virgilio, battezzato con il nome “Autonomia”.

Attualmente, 10 degli ettari seminati con grani antichi che rientrano nel progetto di Matteo, sono al secondo anno di conversione e, dal prossimo, avranno la Certificazione Biologica.

Nella nostra passeggiata tra i campi di grano ancora verdi, Matteo mi racconta che per la semina dei grani antichi in campo, è necessaria una preparazione diversa del terreno; il nutrimento deve essere fatto quando  la spigatura è nella fase di ‘botticella’.

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Attraversando le strade  in mezzo a  campi coltivati ci fermiamo  di fronte al cartello che indica che siamo nella Valle di Lognola, una delle tappe del Mangirò, passeggiata culinaria organizzata la prima domenica di luglio nel territorio che circonda Monghidoro, con appuntamenti gastronomici tenuti da  diversi chef che propongono ricette preparate con il pane.
Matteo è molto attivo e coinvolto in iniziative legate al territorio ed è stato per alcuni anni Presidente della Associazione Montagna Amica, oltre ad essere tra i soci fondatori.
Montagna Amica attualmente è il gestore della Strada dei Vini e dei Sapori insieme alla Regione Emilia Romagna; ha come scopo di favorire lo sviluppo economico del territorio dell’Appennino con riferimento al turismo, in particolare quello enogastronomico e agroalimentare.
Tra i prodotti del forno, peraltro tutti eccellenti e preparati per la maggior parte con grani antichi, mi soffermo ad esaminare la lista dei 12 pani che il Forno Calzolari sforna unicamente nel mese di riferimento.
L’idea a mio parere davvero intrigante alla base di questa sua filosofia, è che il pane non venga considerato solo un insieme di farine mescolate, ma possa essere il racconto del mese. Il mio preferito è quello di novembre, dove si respira il bosco nella farina di castagne e nelle nocciole, unito alla segale e al rosmarino.
Ma ve ne sono tanti altri… come “Rubando ciliegie”, il pane del mese di giugno dove insieme alle ciliegie troviamo le ortiche, quelle che ci graffiavano le gambe in mezzo ai campi.
A marzo abbiamo “il Disgelo“ e vi troviamo i germogli della primavera imminente e il grano antico.
Oggi è mercoledì e sono fortunata, è il giorno dei dolci. Entro un attimo in laboratorio, dove i ragazzi stanno preparando zuccherini, pinze con la mostarda Bolognese, crostate, biscotti di grano antico e noci, come da tradizione per l’imminente festa del Papà, le raviole di San Giuseppe.
La mia visita termina qui, ringrazio Matteo Calzolari per la gentilezza con cui mi ha accolto. Sono state due ore intense, di totale immersione in storie di grano e di vita, che danno ancora più sapore e valore al pane che mi è stato regalato e che ora sto assaggiando.
Per poter raccontare meglio questa le tradizioni di questi luoghi come anche di  tutte le tradizioni della zona, visitiamo il Museo della Civiltà contadina dell’Appennino Bolognese e il piccolo, interessantissimo Museo dell’Emigrante a Piamaggio (Monghidoro) che questa storia la racchiudono sapientemente.

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Museo dell’emigrante

Ci accolgono Silvana, Pina e Vittoria, volontarie Auser che si occupano della gestione del museo.
Il museo esiste dal 1996 ed è stato voluto dai coniugi Mirella Martelli e Roberto Bevilacqua, insieme ad altri volontari, tra i quali il sig. Carlo Mezzini, che hanno realizzato le opere strutturali e le ambientazioni ed hanno raccolto gli oggetti esposti, risalenti più o meno agli anni 50.
Nel museo sono stati ricostruiti vari ambienti della casa, inclusa anche la stalla con tutti gli attrezzi utilizzati dai contadini per il lavoro nei campi; un banco di scuola e una lavagna, gli strumenti del ciabattino (mestiere abbastanza diffuso tra i Monghidoresi) che mostrano la semplicità e l’essenzialità della vita di quei tempi.
Nella sezione arti e mestieri troviamo alcuni manufatti di paglia come cappelli, borse e strisce di varie misure, chiamate in dialetto “la Trèzza” o il Trezin, che venivano realizzate con la paglia del  grano coltivato nella zona,  in particolare della varietà del Gentilrosso. La Trèzza veniva realizzata con 13 paglie, nella versione più piccola con 7. Donne e bambini erano coloro che perlopiù si dedicavano in vari momenti della giornata ad intrecciare le paglie, che poi venivano raccolte e portate a Monghidoro per essere sottoposte ad alcuni trattamenti  e successivamente spedite a Firenze per la realizzazione di cappelli e borse.

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Breveglieri, maggio 1951 Castel dell’Alpi (BO)

Il grano in questo territorio era quindi una grande risorsa, sapientemente utilizzata, ma non solo per produrre pane!
I cibi tipici che all’epoca non mancavano mai sulla tavola erano essenziali, come le polente di mais e di castagne, e le patate, ancora oggi coltivate e di ottima qualità erano un’importante fonte di sostentamento.
Altri cibi che si trovavano frequentemente sulle tavole contadine erano:

  • l’aieda, una poltiglia di aglio e patate con cui venivano conditi gli stianconi, una pasta preparata con acqua farina e uovo tirata al mattarello e poi stracciata;
  • il cotto, una sorta di vellutata di castagne condite con una foglia di alloro;
  • le miazole, delle crepes nostrane preparate con acqua e farina;
  • la crescenta in tla preda preparata con l’impasto del pane e condita con pezzi di lardo cotta sulla pietra o tra due coperchi ricoperti di cenere calda;
  • l’arenga, ossia l’aringa che spesso era una sola e doveva bastare per tutta la famiglia.

Per  ultimo visitiamo il sottoscala di un mulino ad acqua, ricostruito in scala 1:3 e perfettamente funzionante, dove sono  visibili i meccanismi che mettono in azione la macina. Vi è alla parete un quadro che spiega nel dettaglio il suo funzionamento. Consigliata è la visita del vicino Molino Mazzone ancora funzionante e munito della “botte” per la raccolta dell’acqua.

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Mulino Mazzone

Il Piccolo Museo dell’Emigrante, voluto da Vittoria Comellini che ha raccolto ed allestito quasi tutto il materiale, racconta una storia fatta di vita contadina e di emigrazione. La zona di Monghidoro e dintorni infatti, ha risentito della crisi economica ed è diventata zona di emigranti, passando dai 6000 abitanti del 1911 ai 2500 del 1981. Nei tempi passati vi erano fenomeni di immigrazione stagionale sia nella vicina Toscana che nella bassa Bolognese, ma anche all’estero verso la Germania, la Francia e il Belgio.
Proprio in Belgio, grazie ad un gruppo di ben 33 monghidoresi stabilitisi in seguito al protocollo italo-belga, si sono intrecciate  storie di amicizie ed affetti tra i due paesi tanto che nel 2015 si è sentita la necessità di  creare il piccolo Museo dell’Emigrante,  gemellando così Monghidoro e Rebecq (Belgio)
In questo piccolissimo museo, al piano superiore sono state sapientemente preparate delle interessanti  schede di approfondimento sulle origini dell’emigrazione italiana e sulle vicende storiche nelle diverse epoche. La visita è accompagnata anche dalla narrazione di aneddoti e racconti che hanno saputo portare una profonda riflessione sulla circolarità ripetitiva delle tematiche legate all’integrazione, che ancora ai giorni nostri si rivivono.
Un’altra particolarità della zona è da sempre la presenza di  Cori musicali, musicisti  e cantanti. Vittoria a questo proposito scherza dicendo  che forse ciò è dovuto  alla rigidità del clima, in particolare del vento e della nebbia, che fanno parlare un po’ più forte, quasi a cantare….
Non è mancata una pausa dolce, al termine della visita, dove abbiamo assaggiato uno squisito un panone con frutta secca e pane raffermo.
Voglio concludere con una poesia di Gaetano Arcangeli tratta dal libro di Vittoria Comellini, che descrive lo stato d’animo di coloro che devono lasciare la loro terra. Che possa fare riflettere tutti noi.
Appennino, ogni cuore qui è emigrante,
cerca altrove gli orgogli del progresso.
Ne parlano imperterriti ed accesi,
fra gli sballottamenti delle svolte,
in discorsi accaniti e senza termine;
puntigliosi a non volgersi più indietro
a salutare nulla, non lo meritano
le tue groppe umiliate, i tuoi borghi
già rassegnati a non aver domani   ]
Bibliografia:
Pane Montanaro
Forno Calzolari

di Barbara Rangoni del blog Pane & Rose

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