La Bruschetta o Fett’Unta

Pubblicazione: 24 Novembre 2016

Condividi l'articolo:

Associati per pubblicare

Giornata Nazionale della Bruschetta o Fett’Unta

Ambasciatrice Antonella Vergari per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

Chi, da bambino, ha avuto la fortuna di stringere tra le mani una fetta di pane e olio, ha ricevuto il dono più ricco e prezioso di tutti: quello della semplicità. L’odore dell’erba appena tagliata, i giochi inventati con le pentole, le bambole di pezza, le ginocchia sbucciate o il profumo del pane appena sfornato, sono tra i ricordi più frequenti di chi ha vissuto un’epoca sicuramente più povera, ma in cui regnava ancora il lusso del potersi fermare per un sorriso, apprezzando tutte le piccole grandi cose che oggi, troppo spesso, con la frenesia dei tempi moderni dimentichiamo di avere.

In questa Giornata Nazionale ricordiamo una tra le più modeste e nelcontempo ricche preparazioni di sempre: la magia di una semplice fetta di pane fragrante, condita con l’oro verde della terra, ovvero la Bruschetta o Fett’unta.

“Ar tempo che la gente popolana
bruscava ancora er pane sur carbone,
a Roma lo chiamaveno “Cappone”
come “Fettunta” dicheno in Toscana.

‘Na fetta de pagnotta paesana,
co’ sale ajo e ojo, a colazione
fa bene: l’ajo è contro l’infezione,
l’ojo, pe’ chi va duro, è un toccasana.

Se magni solo te la pòiaggustà
a la burina, senza che te tocca
sta’ a bocca chiusa pe’ smorzàercròcrà.

Carica d’ajo, è inutile a discute,
certo nun spunteranno fiori in bocca
ma l’alito profuma de salute”.

(Aldo Fabrizi, Roma 1º novembre 1905  – Roma 2 aprile 1990 – attore, regista, sceneggiatore, produttore e poeta italiano.)

Origini

“Il pane è il re della tavola e tutto il resto è solo la corte che lo circonda. Le nazioni sono la minestra, la carne, le verdure, l’insalata, ma è il pane che è il re”.

(Louis Bromfield, Mansfield, 27 dicembre 1896 – Columbus, 18 marzo 1956, scrittore, saggista e riformatore agrario statunitense).

Il vero sapore della tradizione va sempre ricercato nella saggezza dei cibi popolari, attraverso i quali la maggior parte delle ricette tramandate ad oggi prevedono l’utilizzo non solo di semplici ingredienti, ma anche e soprattutto del loro riciclo, come ad esempio il pane raffermo. Le origini del pane “bruscato”, infatti, sono da ricercare nelle abitazioni dei contadini che, per dare nuova vita a pagnotte stantie, le scottavano sulla legna ardente del forno o del camino. Si ritiene che questo cibo povero venisse consumato soprattutto come spuntino per i lavoratori dei campi; è così che nacque (come la chiamano a Firenze) la Fett’Unta: fetta di pane casareccio raffermo, abbrustolita e condita con una strusciata d’aglio e olio extra vergine di oliva, il cui nome sembra raccogliere tutta la storia di un qualcosa di cui l’origine si perde in ricordi di tempi lontani.

Nella storia dell’archeologia gastronomica il pane, al quale sono legate tradizioni millenarie, ha sempre occupato un posto di tutto rispetto nell’alimentazione dei popoli. Anticamente il suo semplice impasto veniva fatto con due unici ingredienti: farina e acqua a cui, con la naturale evoluzione de tempo, vennero aggiunti lievito, sale e olio. Un alimento considerato tutt’oggi basilare, che vanta già solo all’interno della nostra penisola decine e decine di preparazioni con farine diverse, legate al territorio, e a cui la fantasia dei panificatori ha dato forme e profumi diversi: pagnotta, filone, sfilatino, rosetta, frusta o ciabatta. Dal caratteristico pane nero dell’Alto Adige al sottile carasau o carta musica della Sardegna, passando per le pagnotte caserecce di tutta l’Italia centrale, arrivando al tipico pane toscano senza sale, il pane per eccellenza utilizzato per la Fett’unta.

Il pane “sciocco”e l’olio extra vergine di oliva toscano igp

Memorabili erano i tempi in cui il pane veniva cotto nei forni di campagna o nei grandi forni di paese, dove attorno alla raccolta e alla spremitura delle olive girava un vero e proprio mondo, in trepidante attesa di assaggiare finalmente il prodotto finito che colava da sotto il frantoio di pietra, dopo un intero anno di fatiche! E così, dopo aver immerso il dito nell’orcio dell’olio per gustarne il delizioso oro verde, arrivava il turno di una fragrante fetta di pane; unta per bene, era, ed è ancora, un vero pasto da Re… e questo, la madre patria della Fett’unta lo sa bene.

Nel territorio toscano, infatti, in un perfetto equilibrio tra natura, clima, arte e bellezza, nasce un eccellente olio extra vergine di oliva igp, frutto di una tradizione secolare. La varietà degli olivi, le varie tecniche di coltivazione e il giusto grado di maturazione per la raccolta, permettono di creare ed ottenere un prodotto di qualità incomparabile, che porta con sè tutte le sfumature di questa terra. Un olio di tale pregio non può che incontrare, in un perfetto connubio di fragranza e sapore, il tipico pane senza sale toscano (caratteristico anche dell’Umbria), meglio conosciuto come “pane sciocco”. La scelta di creare un pane completamente privo di sale è da cercare in primis all’interno della cucina toscana, robusta, ricca di salumi e sapori forti; per questo motivo il pane non salato costituisce l’ingrediente ideale per accompagnare e realizzare la maggior parte dei piatti tipici, come ad esempio la Ribollita o la Pappa al pomodoro, senza dimenticarci dei Crostini con fegatini di pollo o del panino con prosciutto toscano e, naturalmente, la classica Fett’unta.

Narra, invece, un’antica leggenda, che intorno al 1100 (periodo di forti contrasti tra Pisa e Firenze) i Pisani, durante l’ennesimo scontro, decisero di bloccare il commercio del sale con Firenze, costringendola così alla resa. Ma i Fiorentini non scelsero di deporre le armi, bensì decisero semplicemente di cucinare senza sale, pane incluso. Secondo un’altra versione, invece, questa tradizione nacque dalla necessità di risparmiare, in quanto la tassa sul sale era alle stelle rendendo questo ingrediente molto costoso, costringendo così le famiglie a cucinare senza.

La  “madia”

Nelle case contadine di una volta era di uso comune la “madia”, ovvero una cassapanca di legno, chiamata anche “cassa del pane” da Leon Battista Alberti (architetto, scrittore, matematico, umanista, crittografo, linguista, filosofo, musicista e archeologo italiano – una delle figure artistiche più poliedriche del Rinascimento, 14 febbraio 1404, Genova – 25 aprile 1472, Roma), che ne parla nel suo trattato “De re ædificatoria”.  Solitamente questa cassapanca veniva collocata in cucina ed utilizzata per la preparazione e conservazione del pane. Sopra il coperchio chiuso, infatti, veniva lavorato l’impasto che, successivamente, andava riposto all’interno della cassa per affrontare la lunga lievitazione in religiosa tranquillità. Il pane toscano, oltre che per la lunga lievitazione e l’assenza di sale, è caratterizzato anche dalla lunga conservazione, che può arrivare fino ad un’intera settimana; proprio da questo nasce l’abitudine contadina di conservarlo avvolto in un panno, all’interno della madia.

Ricordi e tradizioni

Se da un lato notiamo l’usanza rurale contadina del riciclo del pane raffermo, dall’altro risalta l’oculatezza a la semplicità delle tipiche merende degli anni ’50 e ’60,  periodo in cui, per fortuna, ancora non vi era l’invasione di merendine industriali che tanto piacciono ai bambini oggi. Ma i ricordi e i valori della tradizione non sempre finiscono soppiantati dalla modernità;  grazie ai tanti genitori che non si sono limitati a raccontare solo le fiabe tratte dai libri ai propri pargoli, ma anche a far rivivere, attraverso la memoria del proprio cuore, i cibi di “una volta”, come la fetta di pane e olio strusciato di pomodoro, o pane e burro, o ancora la classica fetta  bagnata con acqua e cosparsa di zucchero, che ad oggi, madre di famiglia pure io, resta tra i ricordi più cari della mia infanzia. Tempi in cui mia mamma raccontava di come erano i loro giochi e di come urlava a mia nonna da sotto il cortile di calargli dalla finestra il cestino con la merenda, in cui al suo interno spesso, tra le fette di pane avvolte, mancava la marmellata o il lussuoso affettato, lasciando al loro posto tutta la semplicità della povertà, dove sicuramente si aveva poco, ma quel poco rappresentava tutta la ricchezza e la gioia di chi conosceva il significato della parola “accontentarsi”. E così la tradizione non rappresenta solo una leggenda popolare, ma un racconto vero, una fiaba da narrare ai propri figli e nipoti, in cui non vi sono principi e draghi, castelli e orchi, ma il semplice profumo della vita.

Da ricetta di riciclo ad antipasto raffinato

Bruschette e Crostoni oggi arricchiscono le tavole di tutti i ristoranti e trattorie del bel paese, serviti come variopinti antipasti dai molteplici ingredienti: salumi, verdure, carni e formaggi ricoprono la maestosità di una fetta di pane sapientemente abbrustolita, condimenti e nomi cambiano a seconda del territorio di appartenenza. Ad esempio, la bruschetta tipica napoletana è quella con la “pummarola”, cioè con il pomodoro, mentre in Calabria è chiamata “feddaruscia” (fetta abbrustolita), e in Piemonte “soma d’aj” (carica d’aglio). Ma la regina di tutte le preparazioni resta lei, la sola e unica Fett’Unta, madre di tutte le bruschette, ricca dei sapori genuini della terra: olio extra vergine di oliva che tutto il mondo ci invidia e una sana strusciata di aglio fresco. Con il condimento dell’olio poi, non bisogna essere avari: intingere la Fett’unta nell’olio colato sul piatto, ungendosi le dita, è patrimonio nazionale!

Ricetta

In Toscana la Fett’unta è un rito che non conosce stagione. Lasciate pure che altrove la chiamino bruschetta.

Ingredienti per un filone di pane sciapo da 750 g
La biga è un preimpasto che, utilizzato come agente lievitante, aumenta la morbidezza e la digeribilità del prodotto ottenuto, ne acuisce sapore e profumo e ne allunga i tempi di conservazione.

Per la biga con lievito madre:
20 g di pasta madre
30 g di acqua
50 g di farina 0

Per la biga con il lievito di birra (per chi non avesse il lievito madre):
2 g di lievito di birra fresco
100 g di farina 0
50 g di acqua

Per l’impasto:
500 g di farina 0 W220
100 g di biga
320 g di acqua

Per il condimento della fett’unta:
Olio extra vergine di oliva toscano igp, q. b.
Aglio fresco
Sale fino, q. b.

Preparazione
Preparate la biga la sera prima perché dovrà lievitare a lungo.
Sciogliete nell’acqua il lievito madre o il lievito di birra, unite la farina ed impastate fino ad ottenere un panetto sodo; adagiatelo in una ciotola di vetro capiente, copritelo con della pellicola trasparente e lasciatelo maturare per 12 / 14 ore.
Se usate la planetaria, montate per la prima fase di impasto la frusta a foglia (k). Fate a pezzettini la biga e trasferitela nella ciotola della planetaria, scioglietela con l’acqua e in seguito aggiungete gradualmente la farina. Appena l’impasto inizia a farsi leggermente consistente, sostituite la frusta a foglia inserendo il gancio. Impastate per 10 minuti a velocità media, quindi rovesciate il composto ottenuto su un piano da lavoro e terminate di lavorarlo a mano, formando la classica palla. L’impasto deve essere morbido ma non appiccicoso.  Lasciate la palla di impasto sul tavolo da lavoro ben infarinato e copritelo a “campana”, ovvero con una ciotola grande messa sopra a cappello. Fatelo riposare per almeno un’ora.
Fate poi le classiche pieghe a tre (come quelle per la pasta sfoglia), essenziali per una buona riuscita del pane: migliorano, infatti, la struttura della maglia glutinica, favorendo la lievitazione e rinforzando l’impasto, consentendogli di svilupparsi in altezza, con un’ottima alveolatura finale.
Procedete nel seguente modo: appiattite delicatamente l’impasto con la punta delle dita, NON usate MAI il matterello, per non far disperdere i gas di lievitazione. Formate una sorta di rettangolo, quindi prendete un lembo dal lato lungo e portatelo al centro, prendete il lembo opposto e sovrapponetelo al precedente, ottenendo un rettangolo stretto e lungo; giratelo di 90 gradi, appiattitelo di nuovo delicatamente con le dita e ripetete l’operazione di prima. Girate l’impasto stratificato in modo che la chiusura delle pieghe si trovi sotto e procedete alla pirlatura, ovvero arrotondatelo con i palmi delle mani, rincalzando bene i lembi verso il basso, formando la classica palla.
A questo punto copritelo di nuovo con la ciotola messa a campana e lasciatelo riposare fino al suo raddoppio per un tempo variabile che va dalle 3 alle 5 ore, ad una temperatura di circa 20° (non esposto in punti freddi della casa o soggetti a correnti d’aria).
Spolverate poi il piano da lavoro, appiattite sempre delicatamente con le dita il vostro impasto fino a dare una forma tonda, prendete i due lati superiori e accostateli verso l’interno, formando come il tetto spiovente di una casa. Iniziate ad arrotolare: più stringerete nell’arrotolare e più gli alveoli della mollica saranno piccoli, perciò non stringete moltissimo.
Foderate una teglia con un foglio di carta forno, adagiatevi il filone spolverato con un pochino di farina e fatelo lievitare per circa due ore, sempre ad una temperatura di 20° e coperto a campana.
Per verificare se il pane è raddoppiato, effettuate la “prova del dito”: si tratta di premere dolcemente con il dito la superficie del pane, se il segno del dito scompare dopo qualche secondo, allora è il momento di infornare, se non si forma vuol dire che deve terminare di lievitare.
Nel frattempo preriscaldate il forno a 220° e inserite al suo interno anche un pentolino d’acqua; fate cuocere per 15 minuti, dopodiché togliete il pentolino, abbassate la temperatura a 200° e lasciate cuocere per altri 20 minuti. Poi abbassate ancora il forno a 180° e terminate la cottura per altri 10/15 minuti (molto dipende dal forno, ognuno è diverso, regolatevi quindi anche dal colore del pane che deve essere di un bel dorato, nocciola chiaro).
Fate raffreddare il pane su una gratella e tagliatelo solo quando è ben freddo per non rovinare la mollica al suo interno.
Ora preparate la vostra Fett’unta: tagliate il pane a fette alte, abbrustolitele da ambo i lati, cercando di lasciarle morbide al centro, quindi sistematele su un grande piatto e insaporitele sfregando in superficie uno spicchio di aglio fresco, che poi potrete infilare in qualche buco della fetta, o tenere da parte in un piattino. Bagnatele con un filo generoso di olio extra vergine e spolveratele con dei pizzicotti di sale fino. Badate bene: non siate avari con l’olio, abbondate piuttosto: se il condimento finirà nel piatto, sarà un vero piacere intingervi il pane!

Foto credits  Antonella Vergari

Fonti:
https://it.wikipedia.org/wiki/Bruschetta
http://www.taccuinistorici.it/ita/news/contemporanea/gastrosofia/Olio-e-fettunta.html
http://www.lacooltura.com/2015/08/bruschetta-antipasto-povero-ma-raffinato/
http://www.teladoiofirenze.it/cibo/3-cose-che-forse-non-sapete-sul-pane-toscano/
Il Grande Libro delle Bruschette, di Marta Fischer, Demetra S.r.l

Partecipano come contributors:

Stefania Pigoni , Bruschetta al Lardo di Colonnata, Noci e Miele
Francesca Lucisano, Bruschetta piccante alla calabrese
Thaise Bacelar, Bruschetta con gorgonzola, pere grigliate e miele di castagno  ‎
Daniela Ceravolo, Bruschetta con spuma di baccalà
Antonella Vergari, Fettunta con fagioli

Un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito è protetto da reCAPTCHA, ed è soggetto alla Privacy Policy e ai Termini di utilizzo di Google.

Associazione Italiana Food Blogger

Studiare, degustare, cucinare, scrivere, fotografare, condividere idee e conoscenze per raccontare ciò che altri non raccontano!

Associati