La cucina delle feste: introduzione

Pubblicazione: 04/03/2014

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LA FESTA NELLA STORIA D’ITALIA
In Italia, troppe feste, troppe teste, troppe tempeste”, recita un antico blasone popolare rinascimentale che ha ormai assunto il valore di un proverbio: l’Anonimo, d’altro canto, non aveva tutti i torti se si considera che all’epoca in cui venne coniato questo adagio, nel nostro Bel Paese (è proprio il caso di dirlo) un giorno su tre era festivo.
 
Tutta colpa degli antichi Romani, sia chiaro, e del loro amore sfrenato per le festività: ne avevano coniate tre diverse tipologie, ciascuna con un nome proprio, per suddividere le festività civili (dies festae) da quelle religiose e, fra queste, per differenziare le solennità degli dèi (le feriae) e le consacrazioni di un tempio (le dedicationes).

Il risultato era un calendario con oltre la metà dei giorni festivi, un territorio disseminato di sacella (piccoli tempi) e un pantheon tanto affollato quanto variegato, visto che non solo si accoglievano le divinità di tutti i popoli assoggettati, ma spesso si invocavano anche quelle dei popoli da assoggettare, tentando di ingraziarseli e portarli dalla loro parte: e se mai la strategia fosse andata a buon fine, si poteva star certi che nessuno avrebbe rimproverato a quegli dèi la pratica del voltagabbana e tutti, semmai, si sarebbero affrettati ad organizzare riti, sacrifici e giochi in onore di questi nuovi “amici”, tutti rigorosamente in giorni di festa.

Fu per questo motivo che quando la Chiesa cristiana dovette inserire le proprie festività in un calendario così fitto, preferì adottare una politica soft, preferendo non sovvertire nulla e piuttosto adattare contenuti nuovi a feste antiche, laddove non ci fosse un insanabile contrasto: la più famosa di queste sovrapposizioni riguarda il Natale, che venne collocato in prossimità del Solstizio d’Inverno e con le feste pagane del Sol Invictus e dei Saturnalia.
Va da sé che un conto fosse scendere a patti con un calendario, un altro permettere che si facesse confusione sui significati delle nuove feste: è anche per questo che la predicazione e gli insegnamenti degli uomini della Chiesa dei primi secoli furono sempre contraddistinti da una netta contrapposizione fra “gli dèi falsi e bugiardi” e il messaggio della nuova religione, la sola che avrebbe assicurato la salvezza eterna. L’aspetto più evidente – oltre all’inserimento di festività peculiari, che seguivano altri calendari, come per esempio la Pasqua e di conseguenza la Quaresima – riguarda il culto dei Santi: è vero che ogni giorno aveva il suo santo, così come nel calendario romano ogni giorno aveva la sua divinità, ma i Santi erano sempre intermediari, intercessori, strumenti dell’unico Dio e non potevano agire in modo autonomo, come invece facevano le divinità delle religioni politeiste: se anche compivano miracoli, era sempre in nome di Dio, e mai nel loro.
Nonostante l’enorme influenza della Chiesa in tutti i settori della vita terrena dell’Alto Medioevo, anche le festività laiche, in origine abolite ed osteggiate, rivendicarono un loro diritto di cittadinanza nel calendario: il Paese della Cuccagna, il Paese del Bengodi e soprattutto il Carnevale sono tutte manifestazioni di quelle forze popolari, forse anche potenzialmente eversive, che ricercavano nella evocazione dell’abbondanza o nel sovvertimento dei ruoli una sana valvola di sfogo dalla durezza a cui li condannava la vita di tutti gli altri giorni.
Totalmente laiche furono invece le feste del Rinascimento che, per la prima volta nella storia, definirono in modo ufficiale i livelli dei partecipanti: da una parte, gli organizzatori (di solito, i signori delle corti e l’élite degli invitati); dall’altra, la massa anonima dei partecipanti. Laiche e, per molti aspetti, “politiche”, considerato che attorno ad esse gravitava una miriade di significati tutti terreni: anzitutto, erano segno di potere: più sfarzosa era la festa, più potente era chi la organizzava. Dall’altro, servivano a rabbonire il popolo, recuperando la vecchia strategia romana del “panem et circenses”: di Lorenzo il Magnifico, il più grande “party planner” dell’epoca, Machiavelli ebbe a dire che in questo modo si manteneva “la citta abbondante, unito il popolo e onorata la nobiltà”, mentre allo stesso Medici è attribuita un’espressione più efficace, subito tramandata oralmente, per cui “pane e feste tengon il popol quieto”.
 
Negotium diabolii” (faccende del diavolo) fu invece il giudizio lapidario con cui la Roma controriformista condannò le feste, senza appello: il riscatto non solo era dietro l’angolo, ma avvenne anche per iniziativa di quella stessa Chiesa che, pochi decenni prima, aveva emesso questo implacabile verdetto. La “festa barocca”, infatti, che esplode in tutta la sua sontuosità negli scenari opulenti della Roma secentesca, è la confluenza di tre anime diverse: la festa religiosa, che viene ripresa con la restaurazione di rituali all’insegna dello sfarzo e della grandiosità; la festa antica, che riesuma gli antichi trionfi imperiali; e infine la festa popolare. A conferma della stretta unione di queste tre componenti, troviamo le corride e i cortei festosi del volgo nientemeno che in Piazza San Pietro, con tanto di autorizzazioni papali.
Molto più raffinata e rarefatta è l’atmosfera delle feste del Settecento, contraddistinte in modo distintivo dai balli e dalla musica (le famose “feste galanti” di Watteau); in Italia, lo scenario privilegiato è Venezia che, a dispetto di una grave perdita del potere politico, diventa il centro del fervore culturale del XVIII secolo: il Carnevale si struttura sempre di più nelle forme eccitanti e trasgressive in cui ci è stato consegnato dalla storia del costume e le feste si trasferiscono in luoghi chiusi, aperti a tutti, come i teatri. Dalla “festa cantata” del Metastasio, appannaggio esclusivo delle Corti di Vienna, si passa a poco a poco alla concezione di un teatro popolare, prima con la Commedia dell’Arte e poi con le Commedie di Goldoni: ed è festa grande anche qui.
Ben più drammatiche saranno invece le feste a cui, nel giro di pochi anni, darà vita il popolo francese, di fronte agli spettacoli pubblici della ghigliottina, nel periodo compreso fra la Rivoluzione francese (1989) e il Terrore.
E sarà forse per reazione a tutto questo scorrimento di sangue che l’Ottocento riscoprirà una vena devozionale, tornando alla festa liturgica, concepita sia nei termini ufficiali delle Messe Solenni, sia nel fiorire di una miriade di culti devozionali, molti dei quali si innestarono su tradizioni dimenticate e arrivarono fino ai nostri giorni.

(seguirà: il significato del cibo nella festa)
Bibliografia
Cattabiani, A., Calendario, 2003
Di Stefano, F., L’Effimero e l’Illusorio in Età Barocca– Ebook per l’Arte
Machiavelli, N., Storie
di Alessandra Gennaro

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