La cucina delle feste: la Pasca ‘e aprile

Pubblicazione: 17/04/2014

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Tra non molto sarà Pasca ‘e aprile, che, in Sardegna, è il modo per indicare la Pasqua – anche se cade in marzo – così come Pasca ‘e Nadale indica la grande festa cristiana del 25 dicembre. Lasciando da parte i profondi significati religiosi del momento – che sfociano in manifestazioni molto caratteristiche – gastronomicamente parlando la Pasqua è il momento ideale per gustare alcuni dolci tipici davvero ottimi.
 

Come tutti i dolci antichi, le cui ricette si tramandano di generazione in generazione, anche questi hanno numerose varianti e, a seconda delle zone, molti nomi diversi. Nella Sardegna centrale si chiamano casadinas o casatinas, o, ancora, gasadinas. In Gallura (zona nord orientale) si chiamano in genere casgiatini, italianizzato in formaggelle. Nella parte sud dell’isola il nome è pardulas (italianizzato, a volte, in pardule). 
La grande differenza nel nome tra nord e sud sta nel fatto che a nord si indica prevalentemente la sostanza del contenuto (formaggio – su casu -) e nel sud la forma del contenitore (il cestino, o guscio).
Vale la pena quindi parlare di entrambi, partendo dal contenitore. Comune a tutte le varianti, il guscio di questi dolci è fatto di finissima pasta violata. Si tratta di un impasto a base di semola di grano duro, acqua e strutto che deve essere lungamente lavorato, affinché sia liscio ed elastico, e poi lasciato riposare. La pasta ottenuta va poi stesa con il matterello (ma oggi si usa spesso la macchinetta tirasfoglia) e ritagliata in forma tonda con una rotella dentata oppure usando un bicchiere o una tazza. In genere la misura massima è di dieci centimetri di diametro e la minima circa cinque.
A questo punto della preparazione entrano in gioco i ripieni, sulle cui varianti c’è decisamente più da dire. Per cominciare possiamo dividerli in due grandi famiglie: i ripieni con ricotta e quelli con formaggio fresco.
Evidentemente per entrambi la primavera è il momento migliore: le pecore brucano erba nuova e la produzione di latte fresco e saporito aumenta. Non solo; un tempo la spirale virtuosa degli scambi e dei regali della terra e della pastorizia era innescata proprio da questa abbondanza. Chi aveva bestiame, quindi latte in più, ne faceva formaggio o ricotta e lo regalava al vicino, il quale aveva verdure fresche dal suo orto per ricambiare. In questo modo il senso di comunità si rafforzava e gli eventuali attriti si dissolvevano.
Ma torniamo ai ripieni: si va da quelli fatti con formaggio fresco o ricotta di pecora, uova, zucchero e zafferano; a quelli salati (tipici della Barbagia) cui si aggiungeva prezzemolo o menta. A Orosei (Nuoro) il ripieno è dolce, ma contiene ugualmente la menta.
In Gallura sia la versione con il formaggio, sia quella con la ricotta, prevedono l’aggiunta di uva passa e scorza grattugiata di arancia o limone; certe volte anche qui si aggiunge prezzemolo. A Quartu Sant’Elena (Cagliari) l’aggiunta di zafferano alla ricotta è obbligatoria. Non va sottovalutato il fatto che in tutte le varianti è sempre presente l’uovo, un simbolo costantemente ricorrente in tutte le preparazioni legate alla Pasqua.
Una volta deposto il ripieno – quale che sia – sui dischi di pasta, questi ultimi vanno lavorati (rigorosamente a mano) pizzicandoli (plissettandoli, direi…) per formare una sorta di cestino. Il ripieno, cioè, dev’essere racchiuso nella pasta, ma non coperto. Il passaggio successivo è la cottura in forno, a temperatura moderata, così che il ripieno diventi dorato e si solidifichi, ma la pasta del guscio rimanga “bianca”.
E qui si ritorna alle differenze: la maggior parte delle formaggelle (o ricottelle) rimane così com’è; le pardulas, invece vengono decorate con zucchero a velo, oppure spennellate con rosso d’uovo e tempestate di confettini colorati, o ancora glassate con miele, o persino inumidite di uno sciroppo fatto con acqua e zucchero e poi intinte nello zucchero semolato.
Ciò che è davvero comune a tutte le varianti di questi dolcetti primaverili è il fatto che si possono fare solo ed esclusivamente a mano, che ci vuole tempo per farli e che ci vuole dedizione. Dedizione alla famiglia e agli amici cui vengono offerti e, naturalmente, anche dedizione in senso religioso, essendo legati alla Pasca ‘e aprile. Un tempo (ma ancor oggi accade, e meno raramente di quanto si pensi) infatti venivano portati in chiesa e fatti benedire dal sacerdote, al quale, ovviamente, se ne regalava sempre un vassoio.
PASTA VIOLATA
100 grammi di semola
20 di strutto
40 di acqua
(aumentare le dosi in proporzione)
Disporre la semola a fontana sul piano di lavoro, quindi aggiungere, nel centro, lo strutto in piccoli pezzi, un pizzico di sale e l’acqua leggermente tiepida.
Iniziare la lavorazione con una forchetta, mescolando lo strutto con l’acqua e con poca semola in modo da ottenere una sorta di pastella molto morbida.
A quel punto iniziare ad aggiungere la farina dall’esterno verso l’interno e lavorare con le mani. Dapprima con le punte delle dita, poi con i palmi.
La pasta va schiacciata, tirata, riavvolta fino a che non sia elastica e liscissima.
Quando è pronta va fatta riposare almeno mezz’ora prima di stenderla in sfoglie.

Articolo di Cristiana “Orata Spensierata”

4 commenti

  1. Da sarda dico che avete fatto una bella presentazione! E da “quartese” ( sono di Quartu Sant’Elena) aggiungo che da noi la decorazione è solo ed esclusivamente di zucchero a velo spolverato prima di servire.

  2. Bellissimo articolo!! Da sardo residente all’estero (Lipsia) mi tengo sempre informato e aggiornato sulle tradizioni della mia terra. Queste righe mi fanno tornare indietro di trent’anni, quando nel mio paese (Torralba) mamma, nonna, zie e cugine si chiudevano in cucina per intere giornate, lasciando noi maschi a sbavare fuori dalla porta, inebriati dal meraviglioso profumo dei dolci pasquali. Complimenti a Cristiana, anche per la bella e appetitosa fotografia.

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