La cucina delle feste: San Giuseppe e gli sfinci

Pubblicazione: 19/03/2014

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In Sicilia cucina, folklore e religione vanno a braccetto e non c’è festa religiosa comandata che non abbia i suoi cibi dedicati, così da conciliare la felicità terrena con quella mistica. San Giuseppe, lu Patri arcanu, il patriarca, è sicuramente uno dei santi più amati di tutta l’isola: è il patrono di numerosi paesi e innumerevoli sono le chiese che i devoti hanno voluto dedicargli. Nella tradizione popolare è il protettore: degli orfani, delle ragazze nubili, dei poveri. E’ il santo degli umili, come umile, in origine, è il dolce a lui dedicato. Simili dolci votivi si ritrovano addirittura nella festa in onore di Demetra (divinità greca delle messi), di Cerere (la corrispondente divinità romana) e di Liber Pater, dio romano della famiglia e della fecondità dell’uomo e della terra. In ciascuna occasione venivano offerti alla comunità pani e dolci fritti, parenti non tanto alla lontana dei nostri sfinci. Col Cristianesimo, la figura del Padre Libero venne sostituita da un altro padre simbolo, San Giuseppe, il quale erediterà anche gli stessi riti beneaugurali del suo antenato pagano.
Le sfinci (o sfingi, dette anche spinci o spingi) sono delle frittelle siciliane di pasta lievitata di forma asimmetrica, simili a piccole spugne.
Le origini sono incerte: vengono menzionate con questo nome nel 1330, dove per la prima volta in un testo scritto troviamo gli sfingiari a Palermo, ovvero i venditori di sfingi. Secondo Pino Correnti, illustre gastronomo siciliano, potrebbero addirittura risalire all’era pagana, consumati dagli abitanti autoctoni dell’isola durante il solstizio d’inverno come dolci benaugurali. Il loro nome deriverebbe così dal latino spongia e dal greco sponghìa, spugna.

Foto di Stefania Mulè

Michele Amari, politico e orientalista italiano del Novecento, nella sua Storia dei Musulmani in Sicilia riporta una ricetta trovata nella biblioteca di S. Martino delle Scale (Monreale): “sono rimasti arabi di nome e di fatto in Sicilia i camangiari. De’ Camangiari vanno notate le paste fermentate e fritte che in Sicilia, al par che in Barberia (Magreb), si chiamano sfinci, dal latino “spongia”. I sfingi avrebbero così origini arabe e sono stati introdotti in Sicilia nel decimo secolo dopo Cristo: in questo caso il nome potrebbe derivare dall’arabo “isfang” o “sfang”, frittella di pasta dolce addolcita con il miele.
DIFFUSIONE E VARIANTI
Queste spugnose sfere irregolari sono diffuse in tutta la Sicilia ma cambiano nome di città in città: nella Sicilia Orientale vengono chiamate crispedde, crespelle e possono anche essere salate, impastate con le acciughe. Nel resto della Sicilia sono conosciute come sfinci e sono preparate con gli ingredienti più disparati: il loro impasto può contenere riso, uova, patate o ricotta. Riguardo alla farcitura, le “sfinci dei poveri” (generalmente quelle di patate o semplicemente impastate con uova, latte e farina) sono solitamente ripassate nello zucchero o nel miele.
Le sfinci di S. Giuseppe, consumate soprattutto il 19 marzo: caratteristiche della città di Palermo (ma ormai diffuse in tutta la Sicilia), sono soffici frittelle vuote all’interno, farcite di crema di ricotta e decorate con frutta candita. Queste gustose frittelle erano preparate dalle suore del monastero delle Stimmate che si trovava in via Maqueda, dove ora sorge il teatro Massimo: le suore producevano le sfinci ammilate, ripassate nel miele, e le sfinci fradici, con uova e panna. I maestri pasticcieri palermitani hanno fatto una versione prelibata di queste frittelle dedicate al santo degli umili, farcendole di ricotta e guarnendole con granella di pistacchi o scorza d’arancia candita.
Nella preparazione degli sfingi sono inoltre utilizzati vari aromi quali zeste di limone o arancio, mentre nel trapanese le sfinci sono aromatizzate con l’anice.
CURIOSITA’
La tradizione vuole che le sfinci venissero preparate dalla suocera per la nuora probabilmente per addolcire i difficili rapporti tra le due donne.
Dosi per 20-25 sfinci:
250 g acqua
5 uova
250 g farina 00
70 g burro
un pizzico di sale
un cucchiaino di bicarbonato
per la crema di ricotta:
800 g di ricotta sgocciolata
300 g di zucchero semolato
50 g di gocce di cioccolata
100 g di zuccata
per decorare:
arancia candita
granella di pistacchio
ciliegie candite
inoltre:
olio per friggere
In una casseruola facciamo bollire l’acqua con il burro e il sale. Togliamo dal fuoco e versiamo tutta la farina.
Mescoliamo energicamente fino a che il composto non si stacchi dalle pareti e formi una palla omogenea e compatta.
Lasciamo raffreddare.
Mettiamo il nostro composto nella planetaria, aggiungiamo un uovo per volta e lasciamo che questo venga ben assorbito prima di aggiungerne un altro. Con l’ultimo uovo aggiungiamo il bicarbonato. Dobbiamo ottenere un composto morbido.
Scaldiamo l’olio in una padella capiente.
Aiutandoci con due cucchiai, lasciamo cadere un po’ di impasto nell’olio caldo. Le palline dovranno avere la grandezza di una noce.
Riempita la padella, battiamo i nostri sfingi con la punta del cucchiaio: questa operazione, detta mazzuliata, farà sì che i nostri sfingi si gonfieranno ulteriormente, così da ottenere delle palline croccanti e vuote all’interno.
Scoliamo quando sono ben dorate.
Prepariamo la crema di ricotta mescolando lo zucchero con la ricotta. Aggiungiamo la zuccata a cubetti e le gocce di cioccolato.
Prendiamo i nostri sfingi e li incidiamo con un coltello. Farciamo con la crema: disporremo un po’ di impasto al suo interno e sulla superficie. Infine, decoriamo a piacere.
Articolo di Stefania Mulè

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