I dolci del convento

ph. Sabina Martorana

Pubblicazione: 29 Aprile 2016

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Giornata Nazionale dei Dolci del Convento

Ambasciatrice Aurelia Bartoletti per il Calendario del Cibo Italiano-Italian Food Calendar

Santa Caterina da Siena, di cui oggi si ricorda la morte, Patrona d’Italia e d’Europa, fu la prima donna ad essere stata nominata Dottoressa della Chiesa Universale, insieme a Santa Teresa d’Avila. E’ stata la Santa dai tanti riconoscimenti, canonizzata nel 1461 da Papa Pio II, dichiarata compatrona di Roma nel 1866 e Patrona delle Infermiere della Croce Rossa. E’ anche la Patrona di due famose contrade senesi, città che le diede i natali nel 1347: la contrada dell’Oca dove nacque e la contrada del Drago, dove si trova il santuario di San Domenico, luogo che Santa Caterina frequentò assiduamente.

Aveva solo sei anni quando ebbe la sua prima visione: da qui decise che la sua vita sarebbe stata dedicata interamente a Dio e si offrì anima e corpo all‘assistenza dei malati e dei bisognosi.

Santa Caterina non visse mai in convento, sorte che invece subirono tantissime figlie di benestanti e nobili che, a causa del diritto di maggiorascato, ovvero il diritto per cui era il primogenito maschio ad ereditare il patrimonio familiare, si vedevano costrette a pronunciare i voti e a chiudersi nei conventi e nei monasteri anche senza avere la vocazione necessaria.

Dedicarsi all’arte dolciaria era per queste giovani monache un modo per sottrarsi alle rigide regole del monastero e rappresentava anche un modo per restare collegate con il mondo esterno, poiché i loro prodotti erano spesso usati come merce di scambio per i favori ricevuti da parte dei Vescovi, dei prelati, dei medici con cui saltuariamente entravano in contatto.

Possiamo quindi dire che le cucine dei conventi e dei monasteri furono i primi laboratori di pasticceria della storia e che qui, tra quelle mura intrise di  preghiera e silenzio, l’arte pasticcera si affinò ulteriormente grazie alla dedizione e alla cura che le monache prestavano nel decorare le loro creazioni con l’uso di glasse e canditi.

E’ soprattutto in Sicilia che si sviluppa l’arte dolciaria conventuale, grazie anche alla presenza sull’isola della maggior parte degli ingredienti necessari alla realizzazione dei dolci: mandorle, miele, ricotta, nocciole, pistacchi, ed anche lo zucchero di canna, che fece la sua comparsa nella seconda metà del 1400. Proprio mescolando lo zucchero, che era molto più semplice da lavorare del miele, con le mandorle tritate, le religiose iniziarono a produrre la pasta reale che, opportunatamente lavorata e dipinta, serviva per creare i meravigliosi frutti di Martorana.

ph. Sabina Martorana

Tuttora, i dolci che prepariamo e che compriamo in pasticceria provengono molto spesso dai ricettari dei monasteri: le ricette trapelarono nel corso degli anni, soprattutto quando il lavoro delle religiose nelle cucine del convento si fece sempre più frenetico e le madri badesse iniziarono a cercare aiuto al di fuori dei monasteri, facendo entrare le  suore laiche, addette ai lavori più duri. Maria Grammatico, la ormai celebre pasticcera di Erice, ne è l’esempio più lampante: entrata in convento all’età di 11 anni dopo essere rimasta orfana del padre, vive rinchiusa per ben 15 anni, aiutando le suore nella loro attività di pasticceria. Il suo è un lavoro duro, faticoso, ma quando all’età di 26 anni decide di abbandonare il convento, porta con sé un enorme bagaglio di conoscenze della pasticceria conventuale, che l’aiutano ad aprire il suo famoso laboratorio di pasticceria.

I cannoli, le cassatelle, i biscotti ricci, la frutta martorana, gli ericini, la testa di turco: sono alcuni dei tanti dolci della pasticceria conventuale siciliana.

Risalendo lungo la penisola incontriamo la pastiera napoletana, che deve i suoi natali ad un ignoto convento campano, mentre la sfogliatella napoletana nacque nel ‘700 nel convento della Croce di Lucca a Napoli; non era una vera e propria sfogliatella come la conosciamo oggi, era una sorta di nastro di pasta sfoglia avvolto su se stesso e al cui interno si trovava un ripieno di ricotta, zucchero e cedro. Per la versione più moderna dobbiamo aspettare quella riprodotta dalle monache del convento di Santa Rosa che, nell’interno della sfogliatella, inserirono crema pasticcera e confettura di amarene. Anche le zeppole di San Giuseppe ebbero i natali in un convento campano, ma ad oggi non se ne conosce l’esatta provenienza.

Sfogliatelle di Santa Rosa, ricetta del ‘700

«Prendi il fiore e mettilo sopra il tagliero nella quantità di rotolo mezzo. Mettici un pocorillo d’insogna e faticalo come un facchino. Doppo stendi la tela che n’è riuscita e fanne come se fosse una bella pettola. In mezzo alla pettola mettici un quarto d’insogna ancora, e spiega a scialle, 4 volte d’estate, 6 volte d’inverno. Tagliane tanti pezzi, passaci il laganaturo e dentro mettici crema e cioccolata o se più ti piace ricotta di Castellammare. Se ci metti un odore di vaniglia oppure acqua di fiori e qualche pocorillo di cedro, fa cosa santa. Fatta la sfogliata, lasciala mezza aperta e mezza ‘nchiusa da una parte e dove là scorre la crema facci sette occhi piangenti con sette amarene o pezzulli di percocata. Manda tutto al forno, fa cuocere lento, mangia caldo e alléccate le dita».

E’ dunque impresa non da poco percorrere il nostro stivale, regione per regione, alla ricerca di quei dolci la cui genesi è avvenuta nei silenzi delle cucine dei conventi: ma se esiste un monastero di antica data, è facile che questo abbia influenzato la vita del territorio circostante, addolcendola anche con i suoi prodotti. In Toscana, dove sono nata ed abito, i dolci conventuali più conosciuti sono gli Amaretti di santa Croce sull’Arno, che ebbero origine nel convento della città, grazie alle grandi quantità di mandorle che venivano regalate ad un gruppo di novizie siciliane  di nobile origine: non c’era festa comandata in cui non arrivassero dalla loro terra natia sacchi di questi prodotti e fu dalla rielaborazione di un’altra ricetta siciliana – quella del marzapane – che nacquero, appunto ,gli amaretti.

Anche i Brigidini di Lamporecchio hanno origini conventuali: sembra che siano stati prodotti per la prima volta nel convento di Santa Brigida quando un gruppo di suore, addette alla preparazione delle ostie per l’Eucarestia, si divertirono ad aggiungere all’impasto uova, zucchero e anice. L’impasto veniva lavorato e cotto nelle schiacce, che erano state messe a scaldare vicino alla brace.

A conferma della loro capillare diffusione nel nostro territorio, i dolci conventuali appartengono anche ai nostri ricordi personali: io rammento quando, da bambina, insieme a mia madre, la domenica pomeriggio andavamo a trovare un’amica di famiglia che era suora di clausura nel convento di San Vincenzo De Paoli, a Prato. Ricordo il silenzio ovattato, e la grata di ferro dove infilavo la mano, per accarezzare quella di Suor Maria Pia. Parlavamo di tutti i parenti e conoscenti e la sorella era sempre ansiosa di sapere cosa succedeva fuori da quelle mura; quando arrivava il momento dei saluti, si alzava e dentro alla ruota di legno metteva sempre un piccolo pacchetto di carta con al suo interno delle piccole meringhe preparate da lei, nella cucina del convento. Quando le chiedevo la ricetta, lei mi rispondeva divertita: “ Aurelia, è semplice… albumi e zucchero, sbattuti bene, finché la forchetta che hai usato non riuscirà a rimanere dritta da sola, dentro alla ciotola…”.

Nella stessa strada del convento di San Vincenzo si trova anche il convento delle suore di San Clemente, dove le suore producevano degli straordinari biscotti, in occasione delle feste religiose. Mi ricordo che per il mio matrimonio, mia madre ed io andammo ad acquistare i famosi mandorlati di San Clemente, chiamati anche Brutti Boni, per offrirli ai parenti ed amici che sarebbero venuti a trovarci.

La ricetta è abbastanza simile agli amaretti di Santa Croce e da un po’ di tempo è comparsa tra le pagine del libro di Paolo Petroni “La Cucina di Casa Nostra”.

Mandorlati di San Clemente

Ricetta tratta dal libro La Cucina di Casa Nostra di Paolo Petroni

400 g di mandorle dolci spellate

10 g di mandorle amare

300 g di zucchero semolato

4 albumi d’uovo

scorza di limone biologico grattugiata

ostia per dolci

zucchero a velo per decorare

Tostate leggermente le mandorle in forno, fatele raffreddare, poi tritatele sottili con il mixer.

Mettete la farina di mandorle in una ciotola, unite lo zucchero semolato, mescolate il tutto ed aggiungete gli albumi, che avrete precedentemente montato a neve, e un cucchiaino di scorza di limone grattugiata. Mescolate delicatamente e con l’aiuto di due cucchiai formate delle quenelle che andrete ad appoggiare su dei piccoli pezzetti di ostia. Fate riposare per circa un’ora, poi infornate nel forno caldo a 170° per 15 minuti circa.

Sfornate, fate raffreddare e serviteli cosparsi di zucchero a velo.

Fonti

http://www.siena-agriturismo.it/santa_caterina_da_siena.htm

http://www.duciezio.it/articoli/storia-della-pasticceria/29-i-dolci-dei-monasteri-femminili

i dolci delle monache Palermo web
http://mariagrammatico.it/index.php/it/la-storia
Sfogliatelle Santa Rosa. Scatti di Gusto

http://www.emmeti.it/Cucina/Campania/Prodotti/Campania.PRO.79.it.html

http://www.foodinitaly.com/prodotti/AMARETTO_SANTACROCENESE-50842.html

http://www.turismo.intoscana.it/allthingstuscany/diari-di-viaggio/2015/07/07/brigidini-di-lamporecchio/

Partecipano come contributors:

Sonia Nieri, biscotti ricci siciliani 
Flavia Galasso, Nzuddi
Anna Calabrese, Le monachine 
Sara Sguerri, i Cuddureddi con “lu Ficu” di Alcamo 
Sara Bardelli, Torta Bastarda

18 commenti

    1. Io ringrazio il Calendario e Aifb, per la spinta che mi da nel crescere e scoprire nuove storie legate al cibo, di cui ignoravo l’esistenza e questa giornata ne è la prova. Avete scritto dei post splendidi, che mi hanno aperto un mondo e quindi sono io che vi ringrazio.

  1. Un post splendido Aurelia, scorrevole e pieno di informazioni… Bellissimi i tuoi ricordi personali! Onorata di aver contribuito, seppur con una ricetta di cui non avevo nessuna conoscenza personale… Una scoperta in più circa le nostre tradizioni. Grazie!

    1. Come sostengo sempre, con questo Calendario è una crescita personale che non finisce mai! Si scoprono talmente tante cose, che ci arricchiscono ogni giorno e i vostri contributi, sono preziosissimi! Grazie mille

  2. Aurelia complimenti per questo bellissimo articolo!!! Ho scoperto grazie al tuo splendido articolo qualcosa in puiù su questi dolci a me noti di cui non conoscevo l’origine!!! Come sempre sei stata un’ambasciatrice superlativa!!!! 🙂

    1. Mentre lo scrivevo, ho avuto la stessa sensazione, quello di scoprire che molti dolci conosciuti, provengono da cucine, in cui la preghiera e il silenzio, facevano da padroni.
      Grazie mille per i complimenti

  3. Una Giornata Nazionale bellissima con un’ambasciatrice fantastica. Il Calendario non finisce di riservare sorprese!

  4. Un tema stupendo che tu hai trattato con grandissima competenza e mettendoci quel tocco personale che rende la narrazione più vicina e sentita. Veramente bello cara Aurelia, e ti dico che vorrei saperne ancora sull’argomento.
    Un forte abbraccio, Pat

    1. Grazie mille Patrizia, avrei voluto fare una visita nel convento, ma era in programma per il 25 Aprile e non avrei fatto in temo per l’articolo…però chissà per l’anno prossimo 🙂
      Grazie mille e un abbraccio anche a te

  5. Grazie per questo articolo Aurelia , davvero molto illuminante . Sono cresciuta nella pasticceria di famiglia ed amavo fin da piccolissima ,
    passare il tempo ad osservare i maestri pasticceri. Passione !!!
    Grazie per le informazioni che molti sconoscono sulle origine di questa straordinaria ARTE BIANCA !

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