Cacio e Pepe

Ph. Tamara Cinciripini

Pubblicazione: 02/09/2016

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Giornata Nazionale del Cacio e Pepe

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Ambasciatrice Giulietta Bodrito per il Calendario del Cibo Italiano- Italian Food Calendar

Pensate alle prime giornate di primavera, quando il sole illumina le colline ed il verde smeraldo avanza timido sulla terra umida, dopo un inverno di freddo e di gelo…
Pensate ai terreni sulla costa sui quali, presto, arriverà il caldo e, a causa dell’arsura, greggi ed armenti non troveranno più il foraggio necessario…
Questo era il tempo della transumanza, fenomeno tipico dell’Italia centrale, dovuto alla particolare conformazione geografica del nostro Paese: lunghe coste pianeggianti separate da una catena montuosa, gli Appennini. Bisognava salire in alto, in cerca di pascoli, per permettere la sopravvivenza delle bestie.
Il passaggio dall’inverno alla stagione estiva era caratterizzato da questo lento migrare di uomini, buoi e pecore, rallegrato dal suono delle campane poste al collo degli animali e dall’affannoso abbaiare dei cani che correvano per radunare le mandrie.
Il trasferimento durava una decina di giorni circa ed i percorsi erano ben disciplinati, dal momento che nel passaggio da una territorio all’altro vi erano dei confini doganali soggetti a pagamento di dazi.
Durante il lungo tragitto anche gli uomini avevano bisogno di mangiare: carne di agnello, formaggio e… pasta.
Sì, anche la pasta, perché della sua esistenza si hanno notizie antichissime e ben anteriori a Marco Polo.
Bastò, infatti, giungere all’epoca del Neolitico perché l’uomo capisse che era possibile macinare i cereali, ricavarne farina ed impastarla con acqua.
In una tomba etrusca sono state rinvenute rappresentazioni pittoriche di strumenti utilizzati per la realizzazione delle “lagane” (lasagne): ai riferiamo al X – IX secolo a.C.
Nell’Italia del sud si parlava anche di “makària” (maccheroni).
Il tutto era realizzato con farina ed acqua.
Bisogna, infatti, giungere al Medioevo per rintracciare impasti di farina e uova in Lombardia, Veneto ed Emilia.
Se inizialmente questi impasti erano cotti nel forno, durante il Medioevo venne introdotta la pratica di cuocerli seguendo il medesimo procedimento utilizzato per la polenta, ovvero nell’acqua bollente.

Anche il formaggio ha origini antichissime poiché, nel tentativo di conservare il latte, l’uomo con stupore si avvide che il caldo lo aveva reso acido, lo aveva “cagliato”: fu la “scoperta” del formaggio, primo ed originario condimento per la pasta.
Nel tempo della transumanza, gli animali più adatti ad affrontare i sentieri appenninici erano le pecore: per questo motivo il latte quotidianamente munto lungo i crinali di colline e montagne era quello ovino dal quale, a seguito di debita lavorazione, si ricavava il Pecorino.

Pecorino romano e pecorino toscano: quale la differenza?
La modalità di lavorazione e la provenienza del latte.
Mentre per realizzare il Pecorino toscano il disciplinare prevede esclusivamente latte prodotto da pecore allevate nel territorio toscano, la zona di provenienza del latte destinato alla trasformazione in “Pecorino Romano”, è costituita dall’intero territorio della Sardegna, dal Lazio e dalla provincia di Grosseto.
Il Pecorino Romano DOP e` il più antico e conosciuto tra i formaggi pecorini italiani. La sua storia risale all’epoca dell’Impero Romano. A partire dal 227 a.C. questo formaggio si diffuse anche in Sardegna, dove sussistevano identiche condizioni ambientali e di allevamento.
Per la sua produzione il disciplinare prevede il caglio di agnello in pasta, proveniente esclusivamente da animali allevati nella medesima zona di produzione.
Diversa è la lavorazione del pecorino Toscano, per il quale è possibile l’utilizzazione sia di caglio di agnello che vegetale.
Entrambi questi formaggi, una volta salati, devono essere posti a stagionare.
Il Pecorino Romano stagiona cinque mesi, se da tavola, e minimo otto mesi se lo si vuole utilizzare grattugiato quale condimento della pasta.
Senz’altro minore è la stagionatura del Pecorino Toscano che può essere utilizzato “fresco” dopo soli venti giorni, oppure “stagionato” se raggiunge i quattro mesi di maturazione.

La pasta Cacio e Pepe, dunque, ha una lunga tradizione, ma il problema che pone un bel piatto di spaghetti o tonnarelli conditi con il Pecorino Romano e un abbondante spolverata di pepe è la realizzazione di quella saporita “cremina” di formaggio che li deve avvolgere senza, tuttavia, fare uso di olio o, meno che mai, di panna.
Ogni ristoratore ha il proprio metodo e molte sono le soluzioni ed i procedimenti proposti per ottenere un piatto di pasta Cacio e Pepe secondo regola.
Io ho fatto diversi tentativi e ho trovato aiuto in un articolo che Dario Bressanini ha dedicato al tema.
Cercando di indagare quali siano gli elementi che determinano la cremosità del condimento, ovvero il perfetto liquefarsi del pecorino, Bressanini ha ritenuto di poterlo individuare nella concentrazione di amido rilasciato dalla pasta nella sua acqua di cottura, successivamente utilizzata proprio per preparare un condimento privo di grumi.
Per rendere l’acqua più ricca di amido, l’autore propone o di utilizzare un minore quantitativo di acqua per cuocerla, oppure di preparare questo piatto utilizzando la pasta fresca: i tonnarelli, appunto.

Io dopo diversi tentativi ho proceduto così:

200 g di pasta fresca
100 g di pecorino romano
pepe macinato fresco
sale

Portate a bollore l’acqua e al momento giusto versate la pasta.
Salate ma con una quantità di sale inferiore a quella che siete normalmente soliti utilizzare perché il pecorino romano è salato per sua natura.
Nel frattempo grattugiate il pecorino, pesatelo e raccoglietelo in una ciotola dal fondo non eccessivamente largo, ma neanche troppo stretto; la pasta dovrà potersi condire in maniera comoda.
Macinate il pepe e grattugiate il pecorino.
Quando la pasta è cotta, traetela dalla pentola con un forchettone o con una molla da spaghetti, senza scolarla troppo.
Procedete raccogliendo nella ciotola tutta la pasta e nel frattempo mescolatela in maniera vigorosa e rapida per farla amalgamare uniformemente al pecorino.
Il formaggio dovrà sciogliersi tanto da evitare che la pasta crei matassa. Per ottenere questo risultato è importante che siate rapidi nell’eseguire le operazioni, tenendo conto che potrebbe essere utile anche aggiungere un mestolino o due di acqua di cottura.
Non vi preoccupate se la ciotola nella quale state operando restasse leggermente velata dal condimento: quest’ultimo raggiungerà la giusta densità dopo pochissimi minuti.
Servite e godetevi questo piatto rustico ma così particolare.
Per dosi numerose, meglio sostituire la pasta lunga (spaghetti o tonnarelli) con quella corta (rigatoni) perchè più facilmente gestibili.

Fonti:

www.taccuinistorici.it

www.facebook.com/AssociazioneProduttoriDellaCampagnaRomana

www.dop-igp.eu

www.pecorinotoscanodop.it

www.taccuinistorici.it

www.onaf.it

bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it

Partecipano come contributors:

Sara Sguerri, Pici Cacio e Pepe alla Senese

Lucia Melchiorre, Cacio e pepe

Maria Pia Bruscia, Spaghetti Cacio e Pepe su crema di fave al pecorino

Tamara Cinciripini, pasta cacio e pepe

2 commenti

  1. Bellissima la storia di questo piatto antico e gustoso, uno dei miei preferiti: ogni volta che vado a Roma non manco mai di gustarmi i tonnarelli cacio e pepe!
    Grazie Giulietta per il tuo prezioso contributo.

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