Il Cinghiale

Pubblicazione: 10 Novembre 2016

Condividi l'articolo:

Associati per pubblicare

Giornata Nazionale del Cinghiale

Il cinghiale (sus scrofa) è un mammifero della famiglia dei Suidi, la stessa del maiale domestico (sus scrofa domesticus). Originario dell’Eurasia e Nord Africa è un’animale robusto che si adatta facilmente alle variazioni climatiche e ad habitat diversi. Quello europeo vive nei boschi di querce o nella macchia mediterranea. I suoi occhi piccoli, posizionati lateralmente, dicono chiaramente che si tratta di un predatore, una sua caratteristica che durante i lunghi secoli della storia l’ha elevato fino a farlo diventare un mito. La carne di cinghiale era molto apprezzata fin dai tempi antichi per via del suo sapore particolarmente marcato; era una prelibatezza e un cibo fortemente ambito, che si prestava molto bene alle preparazioni scenografiche dei banchetti romani. Nel Satyricon di Petronio Arbitro, testo del I secolo d.C., viene descritta la cena a casa di Trimalcione, un parvenu d’epoca:
[40][…]Li seguiva un’alzata, dov’era deposto un cinghiale di prima grandezza e con tanto di berretto, dalle cui zanne pendevano due canestrini intrecciati di palme, uno pieno di datteri freschi, l’altro di datteri secchi. Intorno poi dei cinghialetti di pasta dura, come appesi alle mammelle, stavano ad indicare che si trattava di una femmina. E questi, a differenza del resto, servirono da apoforeti. Intanto, a trinciare il cinghiale, non si presentò quello Scalca che prima aveva fatto a pezzi i capponi, ma un gigante dalla gran barba, avvolto di fasce le gambe e coperto di un mantelletto multicolore, che, impugnato il coltello da caccia, lo immerse con forza nel fianco del cinghiale, dalla cui ferita uscì un volo di tordi. C’erano lì pronti con le canne gli uccellatori e li catturarono sul momento mentre svolazzavano per il triclinio.
Poi, dopo aver fatto consegnare a ciascuno il suo, aggiunse Trimalcione: «E adesso guardate quel porco selvatico che ghiande delicate si mangiava». Immediatamente i valletti si accostarono ai canestrini che pendevano dalle zanne e divisero in parti uguali tra i convitati datteri secchi e datteri freschi.

Dopo la caduta dell’Impero Romano coloro che erano considerati “incivili e barbari” si impadronirono delle terre e diventarono la nuova classe dominante, imponendo il loro modo di sfruttamento del territorio dove l’economia del pascolo e di caccia rivestivano un’importanza fondamentale. Lo sfruttamento della foresta comprese le attività come l’allevamento brado e la caccia e il conseguente notevole consumo di carne in tutte le fasce di popolazione. Nel Medioevo, con l’inizio del processo di addomesticazione del maiale, il cinghiale venne caricato di valenze simboliche generali e specifiche. Nutrirsi di molta carne, soprattutto quella che proveniva dalla caccia, simboleggiava la forza fisica, sottolineando in questo modo il potere politico. Erano tempi turbolenti, quando la politica si basava non tanto sulla diplomazia quanto sulla supremazia sul campo di guerra. Quale animale, se non il cinghiale, poteva rappresentare la forza bruta per eccellenza? Le battute di caccia erano organizzate con un rigido schema gerarchico dove anche la divisione delle prede cacciate rappresentava un’operazione fortemente simbolica, con l’intenzione di sottolineare la differenza di rango fra vari partecipanti, affermando la superiorità del sovrano. A lui spettavano la testa e le zampe di ogni cinghiale abbattuto e le corna di ogni cervo, perché tutte e due gli animali erano il simbolo di regalità e rappresentavano i trofei di caccia più ambiti.

In Sardegna, secondo le credenze popolari, il corpo orrido del cinghiale conserva l’anima di un dannato altrettanto violento e sempre teso a soddisfare gli istinti più bassi, al contrario del cervo che, essendo bello e mite, sarebbe la rappresentazione di un’anima purgante già vicino al paradiso. Ma una volta battuto l’animale, il suo corpo orrido non fa più paura e trasmette la propria forza al cacciatore e attraverso la cottura si trasforma nel cibo dei forti.

Durante il Medioevo e il Rinascimento il naturale habitat del cinghiale è stato lentamente bonificato a favore dell’agricoltura e dell’espansione dei nuovi centri abitati. La presenza dei cinghiali in questa ottica rappresentava un vero pericolo e, nonostante la sua fama culinaria ormai consolidata, diventò presto oggetto di caccia accanita; fu così confinato in Toscana (cinghiale maremmano, sus scrofa majori), nel Lazio, in Sardegna e in Calabria (sus scrofa meridionalis), mentre si estinse completamente dalla Lombardia.
A partire dagli anni ’50, con l’abbandono delle aree montane, la popolazione dei cinghiali iniziò a crescere di nuovo; ma a determinare il rientro numeroso di cinghiali negli anni ’60 e ’70 sono state soprattutto le reintroduzioni a scopo venatorio. Molti capi sono stati importati dall’Ungheria, altri invece migrarono dalla Francia; altri ancora, molto semplicemente, vennero spontaneamente incrociati con il maiale domestico per arrivare all’attuale boom del loro esubero, che solo una politica della caccia selettiva eventualmente riuscirà ad equilibrare.
Il cinghiale è storicamente presente nella gastronomia toscana, particolarmente quella maremmana. Forse la ricetta più famosa sono le Pappardelle al sugo di cinghiale dove la sua carne viene utilizzata perlopiù sotto forma di bocconcini che vengono messi a marinare per venire cucinata con il sugo di pomodoro con aggiunta di vino rosso, rosmarino, timo, salvia, carote, cipolle, sedano, pepe e bacche di ginepro. In Umbria è conosciuta la versione senza pomodoro.
Il cinghiale, simile al maiale come sapore ma più forte, tipico della cacciagione, viene preparato anche in umido (cinghiale in umido o cinghiale alla cacciatora oppure spezzatino di cinghiale). La lunga cottura in umido è particolarmente indicata per ammorbidire ancora di più la carne tendenzialmente dura.
In Toscana, particolarmente a Siena e a Firenze, durante il Rinascimento si cucinava il cinghiale “in dolce forte”, con una salsa preparata con il panforte e i cavallucci tritati, cioccolata fusa, uva sultanina, pinoli, noci e aceto, secondo il tipico gusto rinascimentale che sposa il dolce con il salato. Era quasi d’obbligo presentarlo durante i banchetti.
In Sardegna viene ancora cucinato il cinghiale al Cannonau, profumato di mirto, ma anche una versione in agrodolce.
La carne di cinghiale non sopporta le lunghe frollature ed è sempre stato difficile conservarla; perciò sono frequenti le preparazioni di salami, di salsicce e soprattutto di prosciutti, nella zona di Norcia.
Quando la carne non è particolarmente dura (ma di allevamento) si presta anche ad essere cucinata sulla brace oppure al forno. Famoso è anche il cinghiale in porchetta.
Nell’Italia settentrionale lo spezzatino di cinghiale si sposa benissimo con la polenta, mentre in Emilia viene servito abbinato alle patate. In Romagna, a Zattaglia, nei pressi di Ravenna, vengono preparati gli orecchioni di cinghiale, una pasta ripiena di Parmigiano Reggiano condita con il ragù di cinghiale. In Piemonte viene servito in civet, mentre in Calabria viene proposto con le cipolle di Tropea e tanto peperoncino.

CINGHIALE ALLE OLIVE

Un piatto ricco di erbe aromatiche ed odori, usuale quando si prepara la cacciagione; ho optato per una marinatura acida a base di yogurt, la componente acida ha la funzione di “cuocere” il prodotto, le proteine vengono modificate rendendo la carne più tenera.

Ingredienti per 10 persone:

• 4 kg circa di spezzatino di cinghiale
• 1 kg di yogurt magro
• 1/2 bicchiere di vino bianco
• olive nere denocciolate
• qualche cucchiaio di passata di pomodoro
• peperoncino, facoltativo

Per il trito di odori:
• 3 carote
• 2 coste di sedano
• 6 bacche di ginepro
• 2 cucchiai di giardiniera
• 1 cucchiaio di capperi sotto sale
• 2 cipolle medie
• 1 cucchiaio di aghi di rosmarino tritati
• 10 foglie di salvia
• 4 foglie di alloro intere
• peperoncino, facoltativo
• aceto
• olio extravergine di oliva

La sera precedente fare il trito a coltello di tutte le verdure, ad eccezione dell’alloro: ridurre tutto a piccoli pezzi, salare, spruzzare con aceto e coprire con olio, sigillare con pellicola e trasferire in frigorifero.

Nel frattempo lasciare la carne a bagno nell’acqua per una notte in un posto fresco oppure in frigorifero.

La mattina successiva scolare ed asciugare la carne, mettendola a marinare nello yogurt per almeno 2-3 ore, sempre in frigorifero.

Sciacquare poi la carne ed asciugarla bene.
In una pentola grande, meglio se di coccio, far rosolare il trito di verdure marinato, se necessario aggiungere un po’ d’olio; quando è dorato unire la carne e cuocere a fuoco vivo. La carne rilascerà i suoi liquidi, fare evaporare e solo a questo punto aggiungere 1/2 bicchiere di vino bianco; sfumate e poi abbassare il fuoco, salare e lasciar cuocere lentamente con il coperchio. Ci vorranno circa 2.30-3 ore.
Durante la cottura è necessario aggiungere ogni tanto un pò di acqua calda.

Bibliografia:

Il cinghiale a tavola, Massimo Lanari, lacucinaitaliana.it
La carne dei forti, storia e tradizioni del cinghiale, italianatavola.net
Archeo monografie: A tavola con gli antichi, La carne, regina delle tavole
Il cinghiale, Wikipedia

Partecipano come contributors:

Sara Sguerri, Cinghiale alla Cacciatora
Donatella Bartolomei, Cinghiale alle olive
La Salvia di Silvia, Cinghiale Brasato

4 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito è protetto da reCAPTCHA, ed è soggetto alla Privacy Policy e ai Termini di utilizzo di Google.

Associazione Italiana Food Blogger

Studiare, degustare, cucinare, scrivere, fotografare, condividere idee e conoscenze per raccontare ciò che altri non raccontano!

Associati