Il Fritto di Paranza

Pubblicazione: 29/06/2016

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Giornata Nazionale del Fritto di Paranza

Ambasciatrice  Tanya Scotto D’Aniello  per il Calendario del Cibo Italiano-Italian Food Calendar

Con il termine fritto di paranza si intende la frittura mista di pesciolini e molluschi di piccola taglia pescati con la rete. La paranza è un’imbarcazione da pesca costiera con l’albero a vela latina lunga tra i sette e i sedici metri e una portata fino a 25 t., caratterizzata da uno scafo piuttosto tozzo, con prua e poppa molto ampie in rapporto alla lunghezza, la cui struttura ha subito nel tempo numerose trasformazioni per far fronte alle esigenze dettate sia dall’ambiente che dall’impiego. Le paranze erano in uso fino agli anni ’50 del Novecento nel basso Tirreno e Adriatico ed in Sicilia e venivano usate per la pesca a coppie (in paranza, dall’espressione dialettale meridionale paro-paio) dove ogni paranza tirava un’ala di una rete a strascico.
La prua della barca viene spesso decorata con le applicazioni dette “occhi di prua” che pare servissero a scongiurare i pericoli del mare cui la barca ed il suo equipaggio andavano incontro.
Oggi, in gergo navale, “gli occhi di cubia ” indicano i fori a prua in cui passa la catena dell’ancora.
Lo stesso termine, paranza, viene riferito alla rete da pesca, detta sciabica, tirata da due piccole imbarcazioni (paranze) e usata soprattutto nelle acque non particolarmente profonde.
Nel passato le paranze erano anche le navi mercantili, quelle che sorvegliavano le coste e svolgevano le attività di piccolo e grande cabotaggio

Testimonianze raccontano che già nel lontano 1272, la domus dei Templari di Barletta utilizzasse le paranze “San Nicola ” di ser Benvenuto e ser Martino de Dragundo, “San Albano ” di ser Mani e Omibani, “San Cristoforo ” di Andrea de Jadeva e “San Nicola da Bari ” di Nicola Stramatia, per la spedizione di merci e derrate alimentari verso la Terra Santa.
Nello stesso periodo e addirittura prima, troviamo queste imbarcazioni impegnate nel trasporto di frumento, orzo e fave, anche verso San Giovanni d’Acri e Cipro.
Gradualmente , con il passaggio dalle imbarcazioni a vela quasi romantiche ai motopescherecci, la pesca di paranza si è trasformata in pesca individuale.
Per la verità di romantico nella pesca, di paranza o meno, c’era e c’è ben poco, mentre c’erano e continuano ad esserci tanta fatica, sudore, impegno e soprattutto la consapevolezza di far parte di un gruppo di persone che, condividendo lo stesso duro lavoro, garantivano la propria sopravvivenza e quella delle loro famiglie. Con l’arrivo della buona stagione, da marzo a ottobre, la Paranza diventava la seconda casa del pescatore, dove ogni giorno venivano ripetuti gli stessi gesti di lavoro tramandati dai padri ai figli, di generazione in generazione, come se fossero antichi rituali. L’equipaggio era composto da almeno una decina di persone. Per coordinare l’avanzamento delle barche, il controllo delle reti e del vento ci voleva molta destrezza e organizzazione fra i timonieri e gli addetti alle manovre, oltre ad una notevole forza fisica per il ritiro della rete. Una volta svuotato il sacco con il pescato, il pesce veniva selezionato, in base alla qualità, per la vendita; quello meno pregiato costituiva la quota detta “mozzetta” divisa tra i pescatori per il proprio utilizzo e la parte chiamata “piattina” che spettava al proprietario dell’imbarcazione, notevolmente più consistente rispetto alla parte riservata all’equipaggio.

Con il passaggio alla pesca professionale individuale, questo antico modo sta scomparendo e la paranza, l’insieme di pesci piccoli impigliati nella rete che costituivano la paga dei marinai, la certezza di un pasto fresco e gustoso delle loro mogli e sicuramente la gioia dei loro figli, è diventata un guadagno indiretto, secondario. Va da sé che il pesce di paranza dovrebbe essere venduto a un prezzo notevolmente inferiore rispetto al resto del pescato, ma a volte avviene il contrario.
Purtroppo però, la pesca a strascico continua ad esercitare un forte impatto sull’ambiente marino.
Le reti, infatti, distruggono e asportano qualunque cosa incontrino sul fondale: pesci, invertebrati, alghe, coralli, posidonie, lasciando un ambiente devastato, dove le comunità biotiche originarie si potranno reimpiantare solo dopo molto tempo.
Proprio per evitare ciò, in alcuni paesi, Italia compresa, si è deciso di vietare questa pesca non selettiva sottocosta entro le tre miglia marine, dove queste comunità complesse si sviluppano.
Il termine “paranza” viene ancora utilizzato in funzione del pescato, da cui hanno origine numerose ricette, quali ad esempio la “frittura di paranza “, la cui caratteristica principale è quella di essere realizzata con pesci di piccolo taglio e di vario tipo: merluzzetti, trigliette, vope, suace, sogliolette, alici, lattarini, piccoli cefali, sugarelli, aguglie, saraghi ma anche piccoli molluschi come moscardini e calamaretti: in altre parole, qualsiasi piccolo pesce di taglia ridotta, che non superi 7-8 cm, per poter cuocere contemporaneamente e perfettamente fino al cuore in poco tempo. Indipendentemente dalla regione geografica, non esistono le differenze significative nell’esecuzione di questo piatto: infatti, per fare il fritto a regola d’arte basta seguire poche e semplici indicazioni.
Infarinare leggermente il pesce già pulito, friggerlo in olio bollente e salarlo direttamente in tavola, cosicché non perda neanche un briciolo di croccantezza: questa è la regola per una frittura che, come si dice dalle mie parti, “va annanz u’ re “ (ossia è talmente buona che può essere portata persino sulla tavola del re senza indugio alcuno).

Fritto di Paranza

(dosi per 4 persone)
Pesciolini misti di piccola taglia: 1 kg
Farina: 200 g
Olio di arachidi: 1 l *
Sale fino: q.b.
Limone: 1 (facoltativo)
Sventrate e squamate i pesciolini, lavateli ed asciugateli tamponandoli con carta assorbente.
Passateli nella farina avendo cura di scrollare quella in eccesso (utilizzando un colino a maglie fitte).
Friggeteli in abbondante olio caldo (180 °C) per 4/5 minuti girandoli a metà cottura, affinché acquisiscano un bel colore dorato.
Scolate l’olio in eccesso con l’aiuto di un mestolo forato e adagiate i pesciolini su un foglio di carta assorbente.
Portate in tavola il fritto caldo e salate solo prima di servire. in ultimo cosicché non perda la croccantezza.
A piacere, condire con qualche goccia di limone.

* L’olio di arachidi è adatto a questo tipo di preparazione poiché ha un elevato punto di fumo e un sapore delicato che non prevale sull’alimento protagonista, il pesce. E’ altresì importante prestare attenzione alla quantità di olio utilizzata.
Una buona frittura, infatti, deve essere realizzata utilizzando una quantità di olio 10 volte superiore al peso del cibo da friggere.
Ovviamente, per 1 kg di frittura basterà 1 l d’olio purché il pesce venga cotto in dieci mandate da 100 g ciascuna, in modo che anche la temperatura dell’olio resti costante.

Fonti:

http://www.traniviva.it/storia/scheda/storia-della-paranza/
http://www.traniviva.it/storia/scheda/la-vita-a-bordo-della-paranza/
http://www.traniviva.it/storia/scheda/la-pesca-al-paro/

www.treccani.it/
http://digilander.libero.it/janx/paranza/paranza.htm

Foto di copertina:

Erica Zampieri blog Sapori e Dissapori

Partecipano come contributors:

Erica Zampieri – Con un lento movimento de panza 

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