Il Pesce in Carpione

ph. Sara Sguerri

Pubblicazione: 26/05/2016

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Giornata Nazionale del Pesce in Carpione

Ambasciatrice Alessia Massari per il Calendario del Cibo Italiano- Italian Food Calendar

Nel De Arte Cocquinaria, Maestro Martino da Como (il più importante cuoco europeo del secolo XV) già consigliava di conservare i pesci lacustri, dotati di carne “gentile e corruttibile”, in una “salamoja di aqua et aceto”.  Il suo libro è considerato un caposaldo della letteratura gastronomica italiana, che testimonia il passaggio dalla cucina medievale a quella rinascimentale.

Il pesce in carpione è la ricetta di un piatto, ma soprattutto è un’antica tecnica di conservazione che risale al Medioevo, presente un po’ ovunque nel bacino mediterraneo, ma anche nell’entroterra. Il pesce, precedentemente pulito, eviscerato e solitamente privato della testa, viene infarinato e fritto e successivamente coperto con una marinata bollente preparata con aceto (sempre bianco, per non rovinare il colore del pesce) e vino bianco e profumata con varie erbe aromatiche, cipolla, aglio e a volte un trito di sedano e carota.

La preparazione “in carpione” deve il suo nome al pesce Carpione, un esemplare della famiglia dei Salmonidi, quasi in via d’estinzione ormai. La fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (Trento) e l’Astro (Associazione troticoltori trentini) hanno, a questo riguardo, messo a punto una procedura per salvare questo pesce  dall’estinzione: sarà fatto riprodurre in cattività e i pesciolini verranno liberati nelle acque del lago. Si tratta di un pesce molto pregiato di laghi profondi: in Italia vive solo nel lago di Garda, mentre un’altra specie vive (o meglio, viveva) nel lago di Ohrid, fra la Macedonia e l’Albania. Il Carpione ha fatto diventare “in carpione” tutto il pesce preparato e conservato nella stessa maniera. Era molto apprezzato nel Rinascimento per la prelibatezza della sua carne e condirlo con questa salsa acida e profumata lo rendeva ancora più pregiato, permettendo contemporaneamente sia la conservazione che il trasporto.

I dettami della Chiesa Cattolica in merito al digiuno quaresimale influenzarono non poco la diffusione sulle tavole rinascimentali di alimenti lontani dalle carni e questo sancì un aumento nel consumo del pesce: tuttavia, restava il problema della sua deperibilità, unito alla difficoltà di poterlo reperire, specie per chi non abitava nelle vicinanze di mari o laghi o fiumi. Questo valeva soprattutto per la povera gente che, nei giorni di magro, sostituiva la carne con legumi e tuberi. I ricchi, invece, potevano osservare questi periodi restrittivi consumando grandi quantità di pesce, come si legge, per esempio, in una lettera di Isabella d’Este a un suo fiduciario: “Volemo che vui mandiati un homo a posta a Sallò et ci faciati comperare trecento carpioni che siano di bella sorte et boni, et li facciati sallare et conciare benissimo et poi ce li mandiati. Et advertireti a mandare proprio a Salò, perche là sono meglio che in alcun altro loco de la rivera”. Pare inoltre che la nobildonna sia stata così una grande estimatrice della carne delicata del carpione da creare un piatto in cui lo insaporiva con una particolare salsa di aceto e frutta, perfettamente in linea con il gusto d’epoca. Si trattava comunque di un pesce prelibato, riservato esclusivamente alle tavole dei nobili e dei ricchi. I poveri si accontentavano di pesci meno pregiati, di taglia più piccola e più spinosi, ma che potevano comunque essere conservati con questa tecnica. Pare infatti che l’usanza plebea di “conciare” il pesce (seccandolo oppure mettendolo sott’aceto) si sia diffusa come pratica di conservazione prima ancora che come “ricetta” di cucina.

La presenza dell’aceto riesce a corrodere e a sciogliere quasi completamente le lische dei pesci più piccoli, rendendoli estremamente gradevoli al palato.  In carpione si possono preparare pesci diversi come tinche, anguille, carpe, cavedani e agoni, arborelle ed anche trote; tra i pesci di mare, si privilegia il piccolo pescato, come alici, sarde e le sogliole di taglia minuta.

Carpione, saòr, scapece

Il carpione è la preparazione diffusa in Lombardia (lago di Como e lago di Garda), Piemonte e Liguria (dove viene chiamata scabeccio). In Campania, in Sicilia e in tutto il Meridione è conosciuta con la denominazione scapece. Il nome, italianizzato,  deriva dalla preparazione della cucina spagnola escabeche, a sua volta di origini arabe – sikbag ( la pronuncia volgare sarebbe iskebech) equivalente ad un sugo di carne con l’aceto, un piatto persiano che compare nel libro “Le mille e una notte”.  La stessa preparazione  si ritrova nella cucina veneta sotto il nome  “saor” cioè saporito. In questo modo si conciano le sarde, ma anche pesci più piccoli, come le “moerche” e gli “sforgieti” . Inizialmente, il pesce era semplicemente stoccato fresco in barili, alternato con cipolle ed aceto. Col tempo si arricchì di spezie, pinoli e uvetta.

Ne parla anche Carlo Goldoni, nell’opera in due tempi in dialetto veneziano, “Le donne de casa soa”, ambientata in un campiello: “Un poche de sardelle vorria mandar a tor, / Per cusinarle subito, e metterle in saor.”

In tutte le regioni italiane dove viene preparato il carpione (scapece o scabeccio o saor) i pesci utilizzati sono più o meno piccoli. In Sicilia viene utilizzata anche  la parte meno pregiata del tonno rosso, la buzzonaglia ; in Molise si conserva il palombo, il polpo e il calamaro. A Gallipoli, in Puglia, il pesce viene cosparso anche con pane sbriciolato imbevuto di aceto e con zafferano (quest’ultimo presente anche in Abruzzo). Non solo i pesci possono essere preparati in carpione ma anche la carne di pollo, di coniglio e anche la cotoletta milanese, le verdure (soprattutto le zucchine e le melanzane), le uova. I cibi in carpione si conservano anche per più di una settimana, in recipienti chiusi ermeticamente, nel frigorifero.

IL CARPIONE DEL LARIO – ricetta classica

Il carpione lariano è senza aglio, ma con alloro e abbondanti carote. Ma il vero segreto del carpione lariano è un’erba aromatica (del tipo timo selvatico o serpillo) nota con il nome di segrigiöla (da ségra, segale), che cresce spontanea nelle zone rocciose del centro Lago. Ancora oggi, per gli agoni del lago di Como (qualità più pregiata, caratterizzata da esemplari di dimensioni ridotte e con poche macchie sul dorso), nel periodo maggio-giugno, quando sono in riproduzione, si recupera, incidendo un lato del collo, la cosiddetta curadura, che, fritta con cipolla, è la base di un piatto acre e piccante, praticamente scomparso.

Ingredienti:

Agoni e alborelle (ma vano bene tutti i pesci d’acqua dolce)

Olio per friggere

Farina

Sedano, carota e cipolla (quest’ultima abbondante)

Chiodi di garofano

Pepe nero in grani

Aceto di vino bianco e vino bianco in parti uguali

Timo selvatico (segrigiöla)

Alloro

Sale

Esecuzione:

Pulite e lavate bene il pesce. Infarinatelo e friggetelo in olio bollente, scolandolo una volta cotto, ma senza passarlo su carte assorbenti o altro. Disponete il pesce in una pirofila, meglio se di terracotta.

Affettate finemente le cipolle, tagliate la carota a rondelle e il sedano a fettine; rosolate la verdura in un po’ di olio, aggiungendo poi il timo, il pepe in grani e i chiodi di garofano. Unite il vino, l’aceto e l’alloro e portate il tutto ad ebollizione per una quindicina di minuti circa. Versate la salsa sul pesce e coprite bene con coperchio o pellicola. Lasciate riposare almeno 24 ore e servite freddo.

(Foto courtesy Ray Clever Photojournalism & Fine Art; Location La Geretta, Erba (CO) 

Alcuni riferimenti:

–         De Arte Coquinaria, Martino da Como

–         Civiltà della Tavola (2005), Giancarlo Malacarne

–         Libro di cucina del secolo XIV (Anonimo)

Partecipano come Contributors:

Cristina Galliti, Acciughe in Carpione e Zerri Sotto Pesto
Sara Sguerri, Acciughe in Scapece alla Lucana 

8 commenti

  1. Non sapevo che l’aceto corrodesse le lische… molto interessante! Il tuo articolo mi è piaciuto moltissimo, tanto quanto mi piace il carpione! Brava Alessia! 🙂

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