L’anguilla di Comacchio

capitone

Pubblicazione: 26/02/2016

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Giornata Nazionale dell’anguilla di Comacchio

Ambasciatrice Sabrina Gasparri per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

Comacchio sembra sorgere dall’acqua, circondata dalle sue valli che si estendono fra sottili argini fino al mare. Da quelle acque nasce la sua fortuna che l’ha caratterizzata e resa famosa in tutto il mondo: la pesca dell’anguilla. Una fortuna non facile, non regalata, ma conquistata con il sudore e la grande fatica di uomini e donne che hanno dedicato la propria esistenza a questo duro mestiere.

L’antico borgo di pescatori, costituito da poche case costruite sugli isolotti in mezzo alla laguna, è stato per secoli isolato dalla terraferma e per questo sprovvisto di tutto. Anche l’acqua dolce doveva essere portata fino alla metà dell’Ottocento, quando venne costruita la strada per Ostellato.

A quell’epoca, una legge vessatoria proibiva la pesca, impedendo ai comacchiesi di sostentarsi sfruttando le risorse ittiche della laguna. Fu allora che apparvero i fiocinini, che fecero della pesca di frodo un mestiere da insegnare e tramandare. Fra loro vigeva una legge di solidarietà e collaborazione molto precisa. Agivano di notte e, nascosti dalla nebbia, scivolavano lungo i canali a bordo delle batane, caratteristiche barche lagunari. A turno, ognuno di loro, nel corso di una battuta di pesca di frodo, si esponeva più degli altri e se veniva arrestato dalle guardie che presidiavano le valli, i compagni si occupavano della sua famiglia.

Come mai le anguille argentate hanno popolato la laguna di Comacchio?

E’ un mistero cosa abbia indotto le anguille del Mar dei Sargassi, nel tardo inverno, a migrare verso le Valli di Comacchio, un viaggio che poteva durare anche anni. Evidentemente le acque salmastre della laguna devono aver costituito l’habitat ideale dove compiere il processo di mutazione e accumulare il grasso necessario per compiere, dopo una quindicina di anni, il viaggio di ritorno al Mar dei Sargassi, lungo quattromila chilometri, per riprodursi. Sembra, infatti, che nelle calde acque di questo mare le anguille depositino, alla profondità di mille metri, da uno a cinque milioni di microscopiche uova e che, dopo la frega, muoiano stremate.

Nei secoli scorsi tutto ciò che serviva per la pesca e la lavorazione delle anguille veniva preparato artigianalmente, come la costruzione dei lavorieri, ingegnose trappole di straordinaria semplicità, formate da pali di legno e canne di fiume, legate tra di loro come a formare una fitta staccionata a forma di V che, piantata nell’acqua, imprigionava senza scampo le anguille. Fatte a mano erano le ceste dette “boleghe” usate per la custodia delle anguille nei vivai, una sorta di canestri molto capienti sino a contenere cinque uomini e i barili per conservarle durante la marinatura.

Il sistema di pesca è rimasto sostanzialmente immutato. Cambiano soltanto i materiali con cui sono realizzati i lavorieri, ora in cemento e rete metallica, ma sempre disseminati nella laguna come a formare un labirinto.
Durante la stagione di pesca e di lavorazione, dall’inizio dell’autunno all’inverno inoltrato, i lavoratori facevano vita comune perchè il lavoro era incessante e non consentiva soste.

Si cominciava di notte, in particolare quelle piovose di alta marea, perchè l’anguilla è un pesce che rifugge la luce e di giorno si nasconde sotto la sabbia. I pesci percorrevano un percorso quasi obbligato, lungo i canali, verso i lavorieri, dove rimanevano impigliati. I pescatori, con l’aiuto di grandi badili di legno, mettevano le anguille nelle boleghe, che qui restavano fino al trasferimento alla manifattura per la lavorazione e la marinatura, per mezzo delle marotte, caratteristiche imbarcazioni chiuse, caratterizzate da fenditure che agevolavano il ricambio dell’acqua e la sopravvivenza del pesce.

Le anguille, ancora vive, venivano tagliate a pezzi di circa venti centimetri con un’accetta molto affilata, perchè la pelle è molto dura e spessa,  infilzati poi in schiodoni di ferro di due metri di lunghezza e cotti allo spiedo nei grandi camini. La fase della cottura era compito delle donne che giravano gli spiedi, preparavano la marinatura e mettevano il prodotto cotto a marinare in grandi barili prima della commercializzazione.

Non si buttava via nulla dell’anguilla, anche il grasso che colava durante la cottura allo spiedo veniva conservato per alimentare le lampade o per friggere il pesce. La pelle veniva essicata in modo particolare e si utilizzava per fare i lacci delle scarpe. Le teste e le code venivano donate ai fiocinini o alle famiglie più povere. Le trippe erano considerate una vera prelibatezza da chi non poteva permettersi altro e venivano cucinate in umido. Anche le lische venivano conservate, mangiate fritte e croccanti.

Ancora oggi si lavora l’anguilla, diventata Presidio Slow Food, in un breve periodo dell’anno che va da ottobre a dicembre. Si cuoce negli stessi camini e si marina con la stessa ricetta, vecchia di secoli, nell’antica Manifattura dei Marinati, grazie al lavoro dei volontari e degli operatori del Parco del Delta del Po. E’ un luogo suggestivo di estremo fascino che rappresenta un pezzo fontamentale e imprescindibile della storia di Comacchio. Completamente ristrutturata, ospita anche il museo, proponendo un percorso storico di testimonianze visive tramite video e oggetti d’epoca, conservati nei milleseicento metri che comprendono la Sala dei fuochi, il cuore dell’intero complesso, in cui sono conservati dodici camini intervallati da nicchie per la cottura dell’anguilla, la Calata o Fossa, dove approdavano le barche colme di anguille e pesci destinati alla marinatura e la Sala degli aceti,  con i tini e le botti conservati nel loro stato originario.

Camminando per quelle sale, intrise del profumo di pesce cotto e aceto, è impossibile non cogliere il profondo legame che c’è tra i comacchiesi e le loro valli. E’ facile immaginare i gesti della vita quotidiana del passato, trascorsa accanto ai fuochi e fra il vociare delle donne mentre sceglievano la giusta salamoia, dosando con cura gli ingredienti.

Registi e sceneggiatori famosi hanno scelto Comacchio e le sue valli come ambientazione per i loro film. Uno su tutti Mario Soldati, che diresse del 1954 una giovanissima Sofia Loren nella pellicola che la consacrò, La donna del fiume. Tante scene furono girate proprio nella Manifattura durante la cottura dell’anguilla allo spiedo. Vecchie foto che ritraggono l’attrice con in mano la scatola di latta dell’anguilla marinata, sono incorniciate e appese in ogni ristorante e luogo storico della cittadina.

Il nome dell’anguilla deriva dal latino anguis, serpente, in riferimento alla forma rotonda e allungata e alla pelle liscia e viscida.

La femmina può raggiungere il metro e mezzo di lunghezza per 5 chili di peso e può vivere fino a cinquanta anni, mentre il maschio resta molto più piccolo, quasi sempre sotto i 50 cm, con un peso di 150-200 grammi e vive al massimo 15 anni.

Le anguille a cui viene impedito il viaggio di accoppiamento, non sviluppano adeguatamente gli organi sessuali e si trasformano in capitoni, particolari per dimensione e per qualità della carne.

L’anguilla viene servita nei tanti ristoranti della zona, cucinata in molti modi, ma sempre seguendo le ricette della tradizione: fritta, in umido, in brodetto “a becco d’asino”, arrostita o con le verze.

Il risotto fatto con l’anguilla è una delle ricette più gustose e raffinate.

Poiché la stagione di pesca si concentra in un periodo molto limitato, le anguille, per essere conservate più a lungo, vengono marinate nell’aceto. Le anguille cotte allo spiedo sono poste in recipienti di legno, detti zangolini, insieme alla salamoia. La ricetta classica prevede l’amalgama: ad ogni litro di aceto di vino bianco si uniscono circa 70 grammi di sale marino di Cervia, un bicchiere d’acqua e foglie d’alloro. L’anguilla così lavorata mantiene le sue caratteristiche organolettiche per diversi mesi. Un tempo, infatti, si consumava a Pasqua. Nelle caratteristiche scatole di latta, si può conservare anche per un anno.

Fino a 10 anni fa non ho mai mangiato l’anguilla. In casa non si faceva perchè era ritenuta troppo grassa e l’idea di mangiare un “biscione” non piaceva a nessuno in famiglia. Poi un fine settimana sono andata a Comacchio dopo tanti anni. L’ultima volta era stata la gita scolastica in seconda media e ricordavo solo le zanzare. Tornarci da adulta è stata tutta un’altra cosa. Comacchio è una piccola Venezia, molto affascinante e porta ancora evidenti i segni della dura vita della laguna.

Vi lascio qualche link di video su you tube che raccontano la dura vita nella laguna e nella manifattura all’inizio del 900.

Le valli di Comacchio di Antonio Sturla (1934)
https://www.youtube.com/watch?v=kNTg-tSetNY
Fernando Cerchio Comacchio
https://www.youtube.com/watch?v=nvEgQUobOI0
Comacchio: visioni panoramiche e piccole industrie
https://www.youtube.com/watch?v=l7W4ocjG0d0

Come avrei potuto, durante la mia visita a Comacchio, non assaggiare l’anguilla alla brace? L’ho fatto e mi si è aperto un mondo. E’ un pesce che si fa amare e, se si impara a cuocere, la parte grassa neppure si sente.

Ho cominciato a cucinarla in casa un paio di volte l’anno e ho trovato un modo semplice e gustoso per farla arrosto e poi marinarla. In questo modo riesco a conservarla nel frigorifero per qualche settimana e la utilizzo per farci uno dei risotti più strepitosi che esistano, oltre che a servirla come antipasto.

Vi consiglio di fare pulire il pesce, che deve essere ancora rigorosamente vivo, dal vostro pescivendolo e di farlo tagliare a pezzi di circa dieci centimetri. La pelle è così dura e viscida che è difficile lavorarla. Il pescivendolo ha tutti gli attrezzi giusti per farlo.

Anguilla arrosto marinata

Ingredienti:
1 anguilla  di circa un chilo pulita e tagliata a pezzi
prezzemolo, aglio, rosmarino
qualche cucchiaio di aceto di mele
sale di Cervia
per la marinata:
1,5 l di aceto di mele
3 spicchi di aglio
6 foglie di alloro
6 foglie di salvia
1 arancia non trattata
sale e pepe
vasi di vetro per conservare

Accendete il forno a 200°. Fate un trito con il prezzemolo, l’aglio, il rosmarino e il sale. Marinate i pezzi di anguilla con le erbe e qualche cucchiaio di aceto di mele. Mettete in forno in una teglia e fate cuocere fino a completa rosolatura per circa 30 minuti.

Asciugate bene con carta assorbente ogni pezzetto di anguilla dall’eccesso di grasso prodotto in cottura. Sterilizzate i barattoli di vetro, lavandoli con acqua bollente e passandoli in forno a microonde per l’asciugatura.

Preparate la marinata mettendo a bollire l’aceto con gli spicchi di aglio, le foglie di alloro e di salvia, qualche grano di pepe e una presa di sale e la buccia dell’arancia. Lasciate sobbollire per 20 minuti.

Mettete i pezzi di anguilla nei vasi, copriteli con la marinatura, avendo cura di mettere in ogni vaso una foglia di alloro e di salvia e un pezzetto di buccia di arancio. Chiudete i vasi. Si conservano in frigorifero per almeno due mesi.

Partecipano come contributors:
Camilla Assandri: l’Anguilla di Comacchio
Sabrina Gasparri, Risotto all’anguilla

5 commenti

  1. Ciao Sabrina, quanta poesia nel tuo articolo. Vorrei tornare Comacchio cercando i tuoi racconti e finire il viaggio in bellezza: risotto e anguilla alla brace! Grazie, ti abbraccio… a presto! dani

  2. Sabrina, un articolo stupendo, e non lo dico per piaceria, ma mi è piaciuto davvero!! L’idea di sapere che dell’anguilla non si buttava via nulla, mi ha fatto sorridere, soprattutto il friggere le lische. Un po’ come il maiale, hanno parecchie cose in comune.
    Ancora complimenti

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