Stufato alla Sangiovannese

ph. Marina Bogdanovic

Pubblicazione: 31/01/2016

Condividi l'articolo:

Associati per pubblicare

Giornata Nazionale dello Stufato alla Sangiovannese

Ambasciatrice Maria Pia Bruscia per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar

Poco conosciuto al di fuori dell’area geografica in cui è nato, lo stufato alla Sangiovannese è un piatto antico e ricco di storia. Oggi regolata da un disciplinare e tutelata da un marchio, nonché protagonista di un apposito Palio che si svolge in gennaio, la ricetta si tramanda di padre in figlio da secoli: tradizionalmente infatti sono gli uomini a prepararlo.

Come per tutti i piatti antichi, le sue origini sono incerte: alcuni le fanno risalire alla grazia ottenuto da Monna Tancia nel 1478: a 75 anni aveva perso per la peste il figlio e la nuora, e non sapeva come nutrire il nipotino Lorenzo di 3 mesi. Supplicò la Madonna raffigurata nell’effigie all’esterno della Porta del castello, detta Madonna di S. Lorenzo, ed ebbe la grazia di allattare il nipotino. In seguito a ciò, per sfamare il grande numero di pellegrini accorsi in città (tra cui Lorenzo De’ Medici), si “trattò” una grande quantità di carne ormai eccessivamente frollata con spezie e aromi: da qui la nascita del piatto.

Oggi al posto dell’Oratorio eletto nel luogo dove era posta l’immagine miracolosa c’è il Santuario di Santa Maria delle grazie, ed è qui che ogni anno si svolge il Palio dello Stufato di Castel San Giovanni.

Secondo altri la ricetta avrebbe origine nel Rinascimento, epoca in cui le spezie erano largamente usate; più probabilmente però, il contributo fondamentale alla ricetta fu dato, nella seconda metà dell’Ottocento, dall’arrivo in paese di operai dall’Europa centrale, impiegati alla Ferriera: costoro avrebbero fatto conoscere la ricetta del gulasch, adattata al gusto locale dagli operai, che cucinavano la carne all’interno della fabbrica e usavano abbondanti spezie per mascherarne l’eccessiva frollatura. Altri ancora infine narrano che Virgilio Aldinuzzi, operaio della Ferriera, divenne cuoco del suo reggimento durante la spedizione libica nella Seconda Guerra Mondiale, e qui elaborò la ricetta, avendo appreso laggiù a usare numerose spezie. Tornato in patria conservò gelosamente questa ricetta, riproponendola prima in casa, poi in fabbrica e successivamente negli Uffizi della Basilica, durante il Carnevale.

Gli Uffizi, documentati fin dal1675, sono funzioni religiose organizzate dalle 5 compagnie di suffragio (Sant’Antonio, Santa Lucia, dell’Industria, del Vicariato e delle Donne), che organizzavano ricchi pranzi basati su ricette tipiche locali nei saloni dell’oratorio della Basilica di Santa Maria delle Grazie per ricordare i propri defunti e raccogliere le offerte per i più poveri. Prima del pranzo si svolgeva la sfilata del carroccio con i paggetti in costume in processione, che consegnavano le offerte.

Ancora oggi il cerimoniale è rimasto inalterato: a partire da metà gennaio, dopo la Messa domenicale delle 11, il carroccio e i paggetti sfilano per le strade del centro storico accompagnati da sbandieratori e dalla banda del paese. Segue il pranzo nei saloni della Basilica, dove vengono serviti i piatti tipici di San Giovanni Valdarno, tra cui appunto lo stufato.

Ogni domenica il pranzo viene organizzato da un Uffizio diverso, secondo quest’ordine:

1^ domenica: Uffizio di S. Antonio

2^ domenica: Uffizio di S. Lucia

3^ domenica: Uffizio dell’Industria

4^ domenica: Uffizio del Vicariato

5^ domenica: Uffizio delle Donne

Quali che siano le origini della ricetta, una cosa è certa: la ricetta del drogo, la miscela di spezie usata per prepararlo, è segreta. Con tutta probabilità ogni famiglia ha la sua; se capitate a San Giovanni Valdarno, magari in occasione del Palio dello Stufato che si tiene tutt’oggi nella Basilica di Santa Maria delle Grazie, potete acquistarla in una delle numerose drogherie della città.

E la ricetta? L’ho trovata in poesia, a cura degli Uffizi dell’Industria e del Vicariato di San Giovanni Valdarno:

STUFATO DEL CASTEL SAN GIOVANNI

Nello tempo ch’è detto carnevale

alla Basilica, nelle grandi sale,

si riunivano in tempi ormai lontani

per far doni alla chiesa, i parrocchiani.

Racconta una leggenda che una donna,

per onorare meglio la Madonna

fece uno piatto forte e assai drogato

che battezzò col nome di Stufato.

Questa ricetta tanto decantata

da padre in figlio è stata tramandata

e per la gioia di ogni buon palato,

è giunta a noi in original formato.

Se questo piatto buono tu vuoi fare

questi son gli ingredienti da adoprare:

muscolo libbre tre, tagliato a modo

e di osso e zampa a parte, fai del brodo.

Tanto prezzemolo e di cipolle una

fai un bel battuto con la mezzaluna,

vino, olio di oliva, un’impepata,

spezie, garofano e alfin noce moscata.

Indi di coccio un tegam devi pigliare,

ci versi l’olio ma senza esagerare;

perché riesca bene, se ti preme,

metti la carne col battuto insieme.

Allor che tutto principia a rosolare

non ti stancare mai di razzolare,

quando il colore ha preso marroncino,

metti le droghe e un bel bicchier di vino.

Appena il vino s’è tutto consumato

aggiungi il pomodoro concentrato

a questo punto puoi abbassare il fuoco:

cuoci aggiungendo il brodo, poco a poco.

Questo piatto che viene da lontano

saprà ridarti quel rapporto umano

e far capire anche al più somaro

che il tempo è vita e che non è denaro.

Reinterpretata da me, la ricetta suona così:

STUFATO ALLA SANGIOVANNESE

1 stinco anteriore di manzo (poco meno di 2 kg)
2 cipolle
4 coste di sedano
3 carote
1 mazzo di prezzemolo (foglie)
2 spicchi d’aglio
1 cucchiaio di doppio concentrato di pomodoro
1 l di Chianti
1 limone non trattato (scorza)
Sale marino integrale iodato
Olio extravergine di oliva toscano

Per il drogo (10 g per ogni kg di carne):

Chiodi di garofano macinati al momento (1 presa abbondante)
Cannella in polvere macinata al momento (1 presa abbondante)
Zenzero in polvere (1 presa abbondante)
Pepe nero (una generosissima macinata)
½ noce moscata

La sera prima preparare il brodo: disossare lo stinco, eliminando dalla carne anche il grosso del tessuto connettivo che avvolge il muscolo; ridurre la carne a bocconcini ma tenere da parte il tessuto connettivo con i pezzetti di carne che vi rimangono attaccati: servirà per il brodo.

Togliere quanto più midollo possibile dall’osso, avvolgerlo in pellicola trasparente e congelarlo: nel brodo non serve (si scioglierebbe rendendolo grasso e andrebbe eliminato), mentre noi lo useremo un’altra volta per preparare il vero risotto alla milanese.

Con l’osso, i ritagli di tessuto connettivo e carne (a cui sarà bene aggiungere un pezzetto di coda), 2 litri d’acqua, 1 cipolla, 2 coste di sedano e 1 carota preparare il brodo, facendolo sobbollire per 2 o 3 ore.

Preparare il soffritto: la ricetta tradizionale parla genericamente di due battuti, uno con cipolla, carote, sedano e prezzemolo, l’altro con aglio e scorza di limone. I due battuti vanno poi messi in pentola insieme alla carne, in fase di rosolatura. In realtà un buon soffritto è molto più di un insieme di verdure aromatiche crogiolate insieme in un grasso: prepararlo nel modo giusto ci farà ottenere un risultato finale molto migliore. Il segreto per sfruttare la sinergia dei sapori consiste nel cuocerle in momenti diversi, mettendo prima la cipolla e facendola addolcire in modo che il suo forte aroma non impregni le altre, annullando il loro; segue il sedano, poi il prezzemolo e infine le carote.

Tritare finemente 2 carote, 1 cipolla, 2 coste di sedano private dei filamenti e le foglie di un mazzo di prezzemolo, tenendo però le verdure in ciotole separate.

Tritare finemente anche i 2 spicchi d’aglio.

Versare nel tegame di coccio in cui si cuocerà lo stufato (protetto da un frangi fiamma) abbondante olio extravergine di oliva e mettervi la cipolla. Tenere la fiamma al minimo e attendere che questa sia diventata trasparente: ci vorranno circa 10 minuti. Aggiungere il sedano e dopo un paio di minuti il prezzemolo. Mescolare e farlo insaporire per altri 2 minuti, quindi unire le carote e amalgamarle al tutto. Far rosolare dolcemente, poi spostare il soffritto ai lati del tegame, là dove il calore è meno forte. Mettere l’aglio al centro del tegame e farlo rosolare per 2-3 minuti, quindi aggiungere la scorza di limone grattugiata e mescolare bene il tutto.

Adesso si può mettere la carne a rosolare da tutti i lati, insieme al soffritto; rosolare i pezzi pochi per volta, in modo da non raffreddare troppo l’olio causandone la perdita dei succhi, quindi coprirla con il Chianti, salare e aumentare la fiamma per fare evaporare il liquido. Ci vorrà circa un’ora, e la carne avrà a quel punto assunto una colorazione marrone. Aggiungere a questo punto il drogo (vedi nota) e mescolare bene per fare insaporire la carne. Unire anche il concentrato di pomodoro sciolto in poca acqua (attenzione: lo stufato non deve diventare rosso!) e aggiungere il brodo caldo preparato la sera prima, a mano a mano che la carne lo richiede. Coprire il tegame e proseguire la cottura, che in tutto deve essere di circa 4 ore, finché la carne diventa morbidissima e saporita.

Servire lo stufato insieme a una bella polenta fumante.

Note:

  • Il taglio di carne indicato è lo stinco anteriore di bovino, dalle carni meno compatte di quello posteriore, che tende quindi a diventare più tenero dopo la cottura.
  • L’esatta composizione del mix di spezie dello stufato alla Sangiovannese è segreta e viene tramandata di padre in figlio; le uniche cose certe sono che ci vuole almeno mezza noce moscata, e che le spezie devono essere abbondanti: 10 grammi per ogni kg di carne cucinata.  Naturalmente non ho la pretesa di avere preparato il mix giusto, ma vi racconto come l’ho preparato: ho usato chiodi di garofano macinati, cannella in polvere, zenzero in polvere, mezza noce moscata e una generosissima macinata di pepe. Zenzero, cannella e chiodi di garofano sono in pari quantità, io ne ho messo una presa per ciascuno. Mezza noce moscata per 2 kg di carne mi è sembrata sufficiente, ma forse ce ne voleva un po’ di più. Quel che è certo è che il giorno in cui passerò da San Giovanni Valdarno, mi comprerò senz’altro una bella bustina di drogo!

Partecipano come contributors:
Cristina Galliti,  Insalata Mista  Stufato alla sangiovannese
Lidia Mattiazzi, Stufato alla sangiovannese 
Marina Bogdanovic, stufato alla sangiovannese
Elena Broglia, stufato alla sangiovannese

17 commenti

  1. Grazie Maria Pia per questo interessantissimo post! Io conoscevo solo la versione di San Giovanni Valdarno, quindi la storia dell’operaio della fabbrica. Quale che sia la sua origine, è un gran piatto e il nostro calendario gli rende onore e merito e contribuisce alla sua diffusione.

  2. questo si chiama fare ricerche sulla storia di un piatto.. complimenti ! La ricetta in versi poi è davvero una chicca, bravissima!

  3. Carissima Mapi, è meravigliosa la ricetta in poesia come è meraviglioso anche il risultato …io ho avuto il drogo originale che mi ha inviato gentilmente “Pratesi” di San Giovanni Valdarno è il profumo è divino…secondo me c’è dentro anche del coriandolo ma ovviamente non lo sappiamo con certezza. Grazie per i tuoi preziosi consigli, un bacio !

  4. Davvero. Una bella ricerca e un bel racconto del piatto. Buono stufato e buona domenica 🙂

  5. Un fantastico piatto, del quale non conoscevo affatto la storia nè la festa! Eppure non vivo lontana… Quante cose ci sono da imparare!
    Però non ho capito il riferimento a Castel San Giovanni…era il nome antico di San Giovanni Valdarno?
    Grazie, per le informazioni e per la ricetta. 🙂

    1. Ciao Alice, credo che il nome derivi dal fatto che Monna Tancia pregò davanti all’ immagine della Madonna che si trovava all’esterno della Porta del castello. Il castello di San Giovanni per l’appunto, al cui posto oggi sorge la basilica di Santa Maria delle Grazie. Un abbraccio!

  6. Bellissimo post, con un piatto famoso della mia regione, ma che io non ho mai fatto, quindi Maria Pia, terrò questa ricetta in archivio e la seguirò diligentemente. Bravissima!
    Aurelia

  7. Lo stufato alla San giovannese è per me un piatto speciale. Ho un’amica di san giovanni e proprio a casa sua ho assaggiato per la prima volta questo piatto cucinato da suo nonno (perché come dice anche Mapi viene preparato dagli uomini di casa).
    Il nonno della mia amica mi ha poi fornito la ricetta, mentre mi sono recata a San giovanni per acquistare il famoso drogo dal “pratesi” la drogheria del paese. Viene buonissimo e di tanto in tanto lo rifaccio. Complimenti per il post, davvero ricco di storia. Chiara

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Associazione Italiana Food Blogger

Studiare, degustare, cucinare, scrivere, fotografare, condividere idee e conoscenze per raccontare ciò che altri non raccontano!

Associati