Il Fritto

https://www.ilmondopiccolo.it/2020/07/20/il-cuoppo-fritto-una-bella-storia-di-tradizioni-e-di-vita-napoletane/

Pubblicazione: 30/05/2016

Condividi l'articolo:

Associati per pubblicare

Fritto, croce e delizia.

“Fritto è buono anche un calzino”. Ma anche: “Siamo fritti!”

Nei modi di dire si riassume la duplice valenza di questa meravigliosa tentazione gastronomica.

Si può friggere qualunque cosa, dolce o salata che sia; essa diventerà deliziosa e voi non saprete resistere. Gastronomicamente parlando, si frigge in tutto il mondo e se dovessi pensare ad una simbolizzazione del cibo che ne rappresenti la natura culturale al di là delle identità nazionali, credo sarebbe giusto pensare alla frittura. Fish and chips, empanadas, falafel, french toast, doughnut, tempura, involtini primavera, papadum, kofta: attraverso le ricette di strada, dove il fritto la fa da padrone, entriamo in contatto con le cucine di ogni paese. L’Italia non fa eccezione, se non forse per il fatto che a quell’immenso piacere di mordere un involucro croccante che nasconde un segreto invisibile all’esterno, si affianca un eguale senso di colpa per gli effetti che questa delizia avrà sulla nostra salute. Riguardo cosa friggere, la cucina italiana non ha rivali, sia per qualità sia per varietà; dai carciofi ai supplì, dalle fritture di pesce ai dolci delle feste, dalle olive ascolane alle polpette, passando per il baccalà, la mozzarella e per ogni genere di verdure e impasti, ce n’è per tutti i gusti.

Se dal punto di vista storico, come ci spiega A. Capatti, docente e rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, “Il fritto si è complicato di varianti geografiche, ingredienti insoliti, forme, consistenze e costruzioni inaudite […] e si è rigenerato con uno studio del calore, dei materiali e dei grassi.” Tanto che “[…] per molti cuochi è impossibile imprigionarsi nelle gabbie delle ricette passate, tinteggiate di un monotono marroncino.” (p. 11-12, G. Capano – L. Caricato, 2009), in un’ottica medico-salutista, ci poniamo la seguente domanda: come fare affinché siano ridotti al minimo gli effetti negativi della frittura? O meglio, perché al fritto si attribuisce questa triste fama?

Perché può fare male?

“Non si frigge con l’acqua” vs “Sono esausto!”

La frittura, a differenza della bollitura, è una cottura a secco che avviene per convezione a temperature molto più elevate di quelle di una cottura in acqua: a seconda degli alimenti e delle tipologie si può friggere dai 130 fino ai 190 °C. Durante il processo, l’alimento si disidrata, perdendo la quantità di acqua in esso contenuto: le bollicine che lo circondano testimoniano la fuoriuscita dei liquidi sotto forma di vapore. Questa dispersione, se avviene alla giusta velocità, consente di avere una cottura rapida senza eccessivo ingresso di grasso all’interno dell’alimento e con la formazione di una crosta croccante, non bruciata, all’esterno (in cui la reazione di Maillard gioca un ruolo decisivo perché si sprigioni quel gusto che amiamo). In un universo gastronomico che negli ultimi dieci anni si è spostato, per ragioni di salvaguardia delle proprietà salutari degli alimenti, in modo decisivo verso il crudo e le cotture a bassa temperatura, il caso del fritto costituisce un’eccezione, poiché per esso è vero l’opposto: le temperature elevate, seppure controllate, garantiscono il minore assorbimento possibile di sostanze grasse e un gusto ottimale delle preparazioni.

Per friggere è necessario che gli alimenti vengano a contatto con un grasso, quasi sempre un olio. La composizione degli oli alimentari è per la quasi totalità costituita da trigliceridi, unione di una molecola di glicerina con tre molecole di acidi grassi. Gli acidi grassi presenti possono essere saturi, monoinsaturi o polinsaturi (rispettivamente con legami semplici, con uno o con più doppi legami con le molecole di carbonio) e questo varia da olio da olio.

L’ossidazione responsabile della formazione di varie sostanze nocive (tra le quali formaldeide, acrilamide e l’acroleina, dalla trasformazione dei trigliceridi) dipende soprattutto da questi fattori: la temperatura, il tempo di esposizione al calore e la percentuale di acidi grassi mono e polinsaturi. Essi determinano il progressivo sfruttamento e snaturamento delle proprietà fisiche e chimiche dell’olio, che lo faranno divenire inutilizzabile, in termine proprio “esausto”; In quanto tale è sottoposto alla gestione di stoccaggio separato, ritiro e smaltimento attraverso consorzi ad esso preposti secondo il D. Lds. 152/2006 http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/06152dl4.htm#214

Tenendo in considerazione questi aspetti, si cerca di far riferimento alla temperatura alla quale un olio inizia a sviluppare le sostanze nocive, il cosiddetto punto di fumo. Questo deve essere considerato solo un parametro indicativo, in quanto diversi altri fattori intervengono a modificarlo: la presenza negli oli di acidi grassi allo stato libero (che dipende dal grado di raffinazione del prodotto), la forma del recipiente in cui friggiamo, le regioni di produzione di uno stesso olio, le modalità di conservazione, ecc.

Le tabelle consultabili sui punti di fumo di oli e grassi animali e vegetali variano in modo considerevole tra loro; qui ho voluto riassumere alcuni valori trovati.  Molto è determinato, come detto, dal grado di raffinazione, che innalza un valore anche di 30-40 °C, ma che d’altro lato depriva l’olio delle proprietà nutritive. Come orientarsi? Cerchiamo di acquisire il maggior numero di informazioni sull’olio utilizzato, a partire dalla lettura dell’etichetta, di conservarlo in modo ottimale e di seguire una corretta procedura nel friggere.

Le varietà di oli a nostra disposizione costituiscono un patrimonio ricchissimo e la scelta di quello giusto è legata a motivi sia salutistici, sia olfattivi e gustativi: olio di noci, di nocciole, di mandorle, di vinaccioli, di sesamo, di lino, di cocco, ecc. ognuno può apportare aromi diversi per impreziosire una frittura. Il caso emblematico dell’olio di palma insegna: in Guinea Bissau (dove è tristemente nota la coltivazione intensiva e devastante della palma per produrre industrialmente un olio, che dopo i processi di raffinazione ha perso tutte le sue benefiche proprietà) cresce spontaneamente e in armonia con il resto della vegetazione, una varietà di palma selvatica che produce un olio eccellente, di colore arancio intenso (come le bacche da cui deriva), con aroma di pomodoro e spezie, ricco di vitamine, ottimo per friggere e divenuto di recente presidio Slow Food.

Un fritto a prova di chef

“Uno frigge, uno mangia” (regola aurea)

Fare un buona frittura significa anche rispettare la nostra salute. Seguiamo una giusta procedura:

-Prepariamo la corretta mise-en-place: la friggitrice o una pentola dai bordi alti con cestello, una schiumarola o “ragno” apposita, un termometro, della carta assorbente, l’olio indicato per il tipo di ingrediente.

-Portiamo l’olio alla temperatura adatta al tipo di prodotto da cuocere:

1) temperatura tra i 130 e 150 °C: per pesci e carni in pezzi, per verdure consistenti tipo carote, carciofi, zucchine;

2) temperatura tra 150 e 180 °C: piccoli pesci, frutti di mare, baccalà, verdure come melanzane e cavolfiori, polpette;

3) temperatura 180-190 °C: per alimenti di ridotte dimensioni, la cui cottura deve avvenire in un tempo molto breve: vegetali in foglia, piccole crocchette, patatine chips o a fiammifero.

– Facciamo una impanatura o prepariamo una pastella, affinché l’alimento sia protetto dal calore e arricchito a livello di gusto:

1) L’impanatura consiste nel rivestire il prodotto di farina, uovo e pane grattato, secondo questo ordine, e ripetuta due volte nel caso si desideri una crosta croccante più consistente.

2) La pastella è un impasto cremoso a base di liquido (acqua, acqua gassata, birra, vino, ecc.) + farina (di frumento, di riso, amido di mais, ecc…), con aggiunta di ingredienti come albumi, uova intere, lievito, che attribuiscono caratteristiche di leggerezza, gusto, colore, volume, al prodotto cotto.

-Durante la frittura controlliamo la temperatura affinché rimanga costante.

-Terminata la cottura, per garantire la croccantezza: asciughiamo il fritto per alleggerirlo del grasso eccedente con la carta apposita, non copriamolo per permettere la fuoriuscita del vapore e saliamolo solo al momento di servito.

-Rispettiamo l’olio: filtriamo l’olio per usarlo ancora, se non si è bruciato e non ha acquisito odori forti; non misceliamo oli diversi; non aggiungiamo olio nuovo ad olio già sfruttato; non esponiamo l’olio ad aria, fonti di luce e di calore.

Foto

Foto di copertina Lacucinaitaliana.it

Foto da E. Knam (2009)“Fritti”- Edizioni RBI

Bibliografia

ALMA (a cura di, 2014), “Tecniche di cucina” (Plan Edizioni)

A. Barbagli, S. Barzini (2009), “Fritto e mangiato” (Giunti Ed.)

D. Bressanini (2013) “Oli che fumano” in http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/-

G. Capano, Luigi Caricato (2009) “Friggere bene” (Tecniche nuove, Milano)

S. Ceriani (2016) “Non solo extravergini”, in “Slow n°1 – 2016- La rivista di Slow Food” (Slow food Editore)

S. Colonna F. Guatteri (2008) “Cucina e scienza” (Hoepli Editore)

L. Di Carlo (2013) “Fritti” in “Tradizione in evoluzione” (Chiriotti Ed.)

Ernst Knam (2013), “Fritti dolci e salati” (Mondadori Electa)

Istituto Nazionale per la Nutrizione –  nut.entecra.it

Partecipano come Contributors:

Erica Zampieri, Pesce da passeggio
Sara Sguerri, Alici Croccanti su Crema di Fagiolini e Nepitella
Lucia Melchiorre, Melanzane indorate, fritte e ripiene
Giovanna Lombardi, Il pane fritto
Nadina Serravezza, Il Ceccio fritto o “Cecc’ du bambine, ricetta lucana per il Calendario del cibo italiano 
Giovanna Lombardi per il Calendario del Cibo Italiano-Italian Food Calendar

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Associazione Italiana Food Blogger

Studiare, degustare, cucinare, scrivere, fotografare, condividere idee e conoscenze per raccontare ciò che altri non raccontano!

Associati