Il mais

Pubblicazione: 03/10/2016

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Settimana del mais

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Il Mais, un cereale oggi ampiamente coltivato in tutta l’Italia, trova le sue origini in America centro-meridionale; il suo nome, infatti, richiama l’originario mahiz, nella lingua aruaca dalle popolazioni indigene che per prime lo offrirono a Cristoforo Colombo. In Italia è ancora oggi chiamato anche granoturco, dall’abitudine di nominare come “turco” tutto quanto aveva origine dalle colonie, o che veniva importato via mare.
Tracce archeologiche e successivi approfondimenti hanno dimostrato che veniva coltivato nelle zone centrali dell’America fin dal V secolo a.C., essendo la principale coltura alimentare dell’America precolombiana. Le civiltà degli Aztechi e dei Maya lo veneravano come una divinità: il Mais aveva infatti un ruolo di grande rilievo anche nella loro gerarchia e nella mitologia, nella religione e nelle cerimonie rituali. Non a caso il quarto dei diciotto mesi dell’antico calendario azteco viene consacrato proprio al Mais. Antichi riti propiziatori legati alle varie fasi della sua semina, del raccolto e della successiva tostatura testimoniano l’importanza che i dorati chicchi avevano nelle abitudini alimentari di quegli antichi popoli. Le popolazioni mesoamericane lo consumavano prevalentemente in chicco, bollito o arrostito, oppure decorticato in acqua e calce, macinato per essere consumato in focacce cotte (le odierne tortillas).
I primi esploratori lo riconobbero come cereale, il che ne promosse la rapida diffusione in varie regioni europee (Spagna, Portogallo, Nord Italia, sud della Francia) e l’introduzione in Congo e lungo l’Eufrate, in Cina e nell’Arcipelago Indiano.

L’arrivo in Italia
In Italia arrivò già agli inizi del ‘500 e la sua coltivazione si diffuse, nelle zone di campagna del Napoletano, a partire già dalla seconda metà di quel secolo, insediandosi abbastanza facilmente, poiché si tratta di una pianta erbacea robusta e che ben si acclima, crescendo anche a climi non troppo miti. Determinante fu anche il fattore della sua grande resa, ovvero il numero di chicchi ottenuti dalla semina di uno solo: per il mais era di circa 1:80 a fronte della resa del grano, che a quei tempi aveva una resa ottimale di 1:6.
Alla fine del ‘700 la coltura era già parecchio diffusa in tutta Europa, dove il cereale continuava ad essere utilizzato tanto nell’alimentazione animale, come una “biada”, quanto in quella umana, impiegato in mistura con prodotti più nobili, perché di difficile panificazione a causa dell’assenza di glutine.
Le nostre popolazioni iniziarono a macinarlo ricavandone una farina particolare, che richiedeva una cottura abbastanza lunga, ma che poteva dare origine ad interessanti polente.
Il suo impatto con l’alimentazione tipica italiana di quell’epoca fu davvero significativo: venne infatti ben presto preferito al più costoso frumento, trasformandosi, per intere zone contadine del Nord Italia, in uno degli ingredienti base dell’alimentazione quotidiana. In alcune di queste aree, la coltura del mais venne promossa nella produzione ortiva, i cui prodotti erano destinati alla sussistenza dei contadini, e per questo esente da contribuzione al proprietario secondo i correnti patti agrari. Per tutta risposta, il padronato ne impose la coltivazione estensiva, riducendo così la spettanza per il contadino in prodotti pregiati, e condannandolo ad una dieta mono alimentare e carente dell’apporto di importanti aminoacidi essenziali, che causò le vaste epidemie di pellagra fino ai primi del ‘900.

La pianta
La Zea mays L., nome botanico di quella che conosciamo più comunemente come Mais, è una robusta graminacea con un fusto eretto che arriva fino ai tre metri e il cui diametro varia da 2 a 8 cm. Le foglie sono larghe, i fiori sostituiti da due tipi di infiorescenze: quelle maschili costituiscono la pannocchia a forma di pennacchio posta in cima alla pianta; le femminili, raccolte in quelle che impropriamente chiamiamo pannocchie, partono dalla foglia inferiore, avvolte da grandi brattee da cui fuoriescono stimmi di vario colore. Le spighe da frutto sono di dimensioni notevoli, con un robusto asse interno chiamato tutolo, sopra il quale si impiantano i frutti (ovvero i chicchi, detti anche cariossidi), molto ravvicinati, schiacciati, di colore prevalentemente giallo ma, a seconda della varietà, anche bianchi, rossi o neri.
A Bergamo dal 1920 ha sede la Stazione di Maiscoltura, che dal 1968 è divenuta Sezione Operativa dell’Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura e dal 2007 Unità di ricerca per la Maiscoltura (CRA-MAC). Fin dalla sua nascita, ha contribuito allo sviluppo della Maiscoltura italiana, con la costituzione di nuove e migliorate varietà di granoturco, adatte alle nostre diverse condizioni pedoclimatiche. Attualmente la sua attività è indirizzata al miglioramento genetico della produttività del Mais, incrementando le conoscenze scientifiche e tecnologiche dei processi produttivi per migliorarne l’adattabilità ambientale e le qualità nutrizionali, in un’ottica di rinnovamento e di sostenibilità. Presso l’Unità ha sede, unica al mondo, la Banca del germoplasma, dove sono conservate circa 750 varietà italiane di mais e oltre 5000 accessioni di varietà dall’Europa e da altri paesi nel mondo.

Le sue varietà
Tra le varietà che popolano le campagne italiane, ricordiamo l’amilacea, l’indurata, la dentata e la rostata. La prima ha cariossidi particolarmente tenere, molto ricche di amido, e viene perciò molto utilizzata per l’alimentazione del bestiame. L’ultima si presta per i granelli piccoli a dare origine al famosissimo pop corn. L’indurata offre, a chi la produce per uso alimentare, cariossidi dure a frattura vitrea, quindi particolarmente adatte a venir macinate, ottenendo così, attraverso attenti processi di lavorazione, ottime farine da polenta.

I suoi prodotti
La pianta del Mais costituisce un vero laboratorio biologico, dal quale possiamo ottenere svariati e differenti prodotti, e non sempre destinati alla nostra alimentazione.
Da esso ricaviamo le note e molto usate farine, la cui macinatura in differenti sfarinati ci regala un prodotto dai molteplici usi: la farina bramata e la fioretto, maggiormente usate per le polente; la farina fumetto, a grana finissima, adatta a dolci e biscotti; l’amido di mais, farina impalpabile adatta a conferire leggerezza ai prodotti da forno; ed infine l’olio di mais. Inoltre, tramite la fermentazione possiamo ottenere sciroppi ed alcol. Alcune parti dei prodotti di scarto sono destinate all’alimentazione animale ed alla combustione per il riscaldamento. Decisamente una coltivazione a bassissimo impatto ambientale.

La tradizione e le ricette
Al suo arrivo in Europa, il Mais viene inizialmente coltivato negli orti e considerato alla stregua della “biada”, ovvero adatto all’alimentazione degli animali. In un lasso di tempo relativamente ampio, pari a circa un secolo dal suo ingresso in Italia, il granoturco si assesta in posizione di grande vantaggio rispetto a colture come il miglio, il sorgo ed altri cereali minori coltivati a lato del prezioso frumento.
Connotato dall’elevato grado di resa, insieme alla semplicità delle lavorazioni, questo cerealeè entrato prepotentemente negli usi e nelle tradizioni locali italiane. Ecco, quindi, che diventa facile accostarne l’uso nelle ricette della tradizione popolare contadina, sostituendolo in tutto o in parte ad altre farine. E nel tempo le ricette “tradizionali” a base di Mais sono diventate numerose, talune così tipiche da connotare fortemente l’identità di un dato territorio, com’è stato ad esempio per la polenta, a cui dedicheremo una giornata del Calendario.

Fonti:
www.taccuinistorici.it
www.taccuinistorici.it
www.molinodiferro.com
La cucina Bergamasca – Dizionario Enciclopedico – a cura di Silvia Tropei Montagnosi . Bolis Ed.
Fotografie:
Mais rostrato rosso di Rovetta
Partecipano come contributors: 
Donatella Bartolomei, La Turcata

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