La tradizione dolciaria marchigiana

Pubblicazione: 28/07/2017

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Nel Medioevo un testo della Scuola Salernitana definisce il dolce adatto a ogni temperamento, età, luogo, stagione proprio per sottolineare che il dolce piace ed è adatto a tutti.
Nel corso dei secoli questa voglia di dolce era soddisfatta e legata a una sorta di calendario alimentare, sia liturgico sia stagionale, che attribuiva a ogni cibo un valore significativo rispetto allo scorrere del tempo e degli eventi. Nascono così i dolci tradizionali di Pasqua, Natale, Carnevale, dei morti; ma anche i dolci che celebravano le diverse ricorrenze private e civili.

Le Marche come ogni altra regione d’Italia aveva e ha i suoi dolci delle feste caratterizzati da due ingredienti di spicco: l’anice e i fichi. L’anice è la spezia protagonista assoluta del territorio marchigiano; raccolta sui Monti Sibillini e sulle alte colline del Piceno è legata alla storia e alla cultura di questa terra che già nel 1700 ne fa largo consumo, soprattutto per la distillazione casalinga di diversi liquori: l’anisetta, la sambuca e il mistrà. Proprio partendo da questa tradizione, nel 1870 Silvio Meletti perfeziona la ricetta popolara e comincia a produrre l’Anisetta Meletti, divennuta in breve rappresentativa di un territorio.
L’anice, che nell’Ascolano assume caratteristiche aromatiche particolari grazie alle proprietà uniche dei terreni argillosi della zona, profuma dolci semplici come i famosi biscotti anicetti. Ed entra nell’impasto del ciambellone, dolce di origini contadine cotto tradizionalmente nel forno a legna, detto il “dolce delle folle” perché, soprattutto in passato, veniva preparato in occasione delle riunioni di famiglia per battesimi, fidanzamenti, comunioni. È detto anche il “dolce della trebbiatura” perché veniva servito dalle donne di casa durante la raccolta del grano. La tradizione vuole che sia accompagnato da un bel cucchiaio della tipica crema marchigiana cotta nel paiolo e aromatizzata all’anice, oppure inzuppato nel vino cotto.

Ma se di crema vogliamo parlare, certo tutta la regione si identifica con la crema fritta, di cui abbiamo parlato anche nell’ambito del Calendario del Cibo Italiano. Le sue origini affondano in un lontano passato e nel menù marchigiano la troviamo in un doppio ruolo da protagonista: come antipasto in compagnia delle olive ascolane, o come dessert di fine pasto da degustare insieme a un vino passito.

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Altri protagonisti dei dolci marchigiani sono i fichi; un tempo nelle campagne se ne coltivavano in abbondanza e, poiché maturano inesorabilmente tutti insieme, i contadini si davano un gran daffare per conservarli in svariati modi. Eccoli così come ingredienti principali del lonzino, che, preparato con fichi secchi, mandorle, noci e semi di anice stellato, impastato con un poco di sapa o mistrà e infine avvolto in foglie di fico, prende la forma (e il nome) del celebre salume. Per preservare questo dolce antico nel 1999 nasce il Presidio Slow Food del Lonzino di fico, che riunisce i diversi produttori al fine di valorizzarlo sul territorio e nella ristorazione locale.

I fichi sono anche l’ingrediente principale nell’impasto del dolce del Natale marchigiano: il Frustingo. Il nome invece deriva dal latino frustum, ma la ricetta risale addirittura agli Etruschi e nasce come un impasto di grano, orzo e spelta, amalgamati con succo di uva passita, fichi secchi e miele. Il dolce si è poi trasformato da un preparato rustico a un’esplosione di gusto: le ricette infatti variano da famiglia a famiglia e prevedono fino a ventidue ingredienti diversi. Naturalmente in passato più il frustingo era ricco, più era agiata la famiglia. È un dolce che cambia nome e ricetta secondo le zone; infatti nell’ascolano è detto fruštìnghë mentre nel pesarese diventa il bustreng italianizzato in bostrengo. Poiché le famiglie meno abbienti lo preparavano solo in occasioni davvero speciali, esiste anche un proverbio: piov e neng, tutt l’vecchie fann el bostreng, ovvero: piove e fa la neve, tutte le vecchie fanno il bostrengo.

Gran Tour Marche dolci fristingo

Sulla tavola di Natale si trovano però molti altri dolci tipici come lu serpe: una frolla ripiena di cioccolato, mandorle, caffè e anisetta, arrotolata a forma di serpente che, una volta cotta, viene glassata e decorata. Oppure i cavallucci di sapa, un dolce ricco e sostanzioso: un guscio di pasta a forma a cavalluccio racchiude un impasto di sapa, fichi secchi, canditi, cioccolato, uvetta, noci, mandorla, caffè. Le vergare, ovvero le custodi del focolare domestico e delle ricette di famiglia, cominciavano a prepararli fin dall’11 novembre, giorno di San Martino, quando si spunta il vino novello, e la produzione continuava per tutto l’inverno.

La pizza de Natà è un dolce simile al panettone per la forma, ma dal forte significato simbolico per i suoi ingredienti; infatti la noce simboleggia la rigenerazione; il fico la fertilità di piante e animali; l’uvetta è augurio di prosperità e abbondanza per il nuovo anno. Ma se c’è una pizza per la tavola di Natale, c’è anche la pizza dolce per la tavola di Pasqua. Secondo la tradizione il dolce viene preparato il Venerdì Santo in modo da farlo lievitare e riposare; la cottura avviene la sera del sabato per averlo pronto per la colazione della Domenica di Pasqua. Ancora oggi molte famiglie conservano la tradizione e fanno benedire l’impasto prima di cuocerlo.
In ogni casa marchigiana il tempo di Pasqua coincide con le ciambelle dette strozzose, che si cominciano a preparare già dal Venerdì Santo: un rito antichissimo che affonda le sue radici nella civiltà contadina e che ancora oggi viene perpetuato. Perché strozzose? Perché sono pastose e asciutte; pertanto, se non si vuole rimanere strozzati, è decisamente meglio accompagnare queste ciambelle con un bel bicchiere di vin santo!

Ogni festa ha il suo dolce e gli scroccafusi sono i dolci per eccellenza del Carnevale marchigiano. Palline croccanti che, al momento dell’assaggio, scrocchiano sotto i denti. La preparazione è semplice ma lunga: si prepara l’impasto che viene prima lessato e poi fritto ricavandone dei dolci dalla forma irregolare che vengono conditi con del miele o alchermes. Antica credenza vuole che durante la preparazione nessun estraneo debba entrare in cucina, altrimenti la buona riuscita del dolce è compromessa. Sulla tavola carnevalesca troviamo tutta la tradizione dei dolci tuffati in olio bollente: cicerchiata, sfrappe, ciambelline, castagnole, limoncini e arancini dolci.

Da questa calendarizzazione dei dolci, legati a eventi e feste, abbiamo ereditato ricette non solo golose ma anche ricche di storia. Ricette che ci portano indietro nel tempo e che ci fanno davvero conoscere il territorio. Oggi le Marche possono ben essere definite la culla del “mangiare geografico”: ogni paese ospita sagre dedicate a valorizzare i piatti tipici. Se quest’estate avete deciso di scoprire le Marche con i suoi borghi e le passeggiate tra mare e collina, non perdetevi la Sagra della Crescia fogliata – detta anche sfojata, lu rucciu o torcigliò, nomi che ben descrivono le caratteristiche di questo dolce arrotolato sfogliato e croccante – che si svolgerà il 6 agosto 2017 a Fiuminata in provincia di Macerata. Sarà un’occasione ghiotta per degustare ma anche per riempiere il paniere di prodotti tipici da portare a casa.

Bibliografia:
www.taccuinistorici.it
www.aniceverdedicastignano.it
https://www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/lonzino-di-fico/
www.destinazionemarche.it
Il cibo come cultura – Massimo Montanari
Credits immagini:
Lonzino di fichi: http://www.provincia.ancona.it/filieracorta/Engine/RAServePG.php/P/260610160300/M/251710160306/T/Lonzino-di-fico
Fristingo: Marina Della Pasqua http://www.latartemaison.it/2013/12/frustingo-il-dolce-di-natale/

Articolo di Patrizia Laquale del blog Maison Lizia.

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