Le opere e i giorni: Lucia Tellone

Pubblicazione: 09/03/2016

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Gli chef partecipano al Calendario del Cibo

Con questo articolo diamo inizio ad una rubrica che vede il coinvolgimento diretto di chef e professionisti del settore alimentare, nel nostro progetto del Calendario del Cibo Italiano. Si tratta di una sorta di evoluzione naturale del percorso che abbiamo iniziato a gennaio di quest’anno e che trova nel titolo la sua esemplificazione più immediata: noi food blogger scriviamo di cibo, i cuochi lo cucinano, raccogliendo il testimone dal produttore e portandolo lungo i sentieri del loro sapere e della loro creatività, fino alle nostre tavole. Ad aprire le danze è Lucia Tellone, astro nascente della cucina italiana, il cui volto è uno degli 12 Ambasciatori del Gusto, nella omonima mostra fotografica organizzata da Expo e dedicata agli chef emergenti, selezionati da Carlo Cracco.

Classe 1984,originaria di Villa Sebastiano, una piccola frazione di tagliacozzo (AQ),Lucia si è avvicinata alle cucine per pagarsi gli studi, ai tempi in cui era una studentessa di Lettere a Roma. L’amore per la cucina è stato però folgorante, tanto da spingerla ad abbandonare l’Università, per dedicarsi totalmente alla sua passione, anche se questo significava tornare a rimboccarsi le maniche e partire dai gradini più bassi. Ma talento, determinazione e passione alla fine hanno avuto la meglio: e dopo alcune esperienze in Italia, Lucia ha iniziato a farsi conoscere all’estero, specialmente nel Grande Nord dove tuttora opera con successo. Il suo legame col territorio d’origine, però, non è mai venuto meno e si è anzi rivelato una risorsa fondamentale per la sua creatività, in bilico fra le suggestioni che le derivano dalle cucine del mondo e le tradizioni di casa. Fra queste, troviamo proprio l’antica usanza della tansumanza dei pastori- un’immagine quasi iconica dell’Abruzzo rurale- che Lucia ha cercato di tradurre nel piatto che propone oggi, in occasione della Settimana della cucina di Campanile.

Lucia Tellone

Lucia Tellone

Lucia Tellone e la cucina del campanile

Ci sono dei piatti che hanno il sapore della storia, quella storia che ci ha permesso di crescere e di essere adesso quello che siamo.

E’ l’importanza delle radici, del proprio paese, dell’infanzia e della conoscenza del proprio territorio. L’Abruzzo è la mia terra d’origine; sono cresciuta in mezzo ad un turbinio di profumi e sapori che andavano dal profumo del fieno fresco appena tagliato, a quello della lana del gregge, per finire con quello del formaggio che inebriava il cuore e l’anima.

Terra di pastori l’Abruzzo e come dicevo prima, ricca di storia. Il loro conoscere bene il territorio ed il clima, che in inverno nell’Aquilano diventa estremamente rigido e proibitivo per le greggi, ha fatto si che nascesse “La transumanza” ed in particolare “Il Tratturo“, cioè il tragitto. Era quella strada che il pastore con i suoi animali, percorreva ad inizio settembre per arrivare nelle più calde terre della Puglia, dove svernavano in attesa della bella stagione. Ma il tragitto era lungo e proibitivo per alcuni animali che, stanchi cedevano il passo e morivano per strada; una pecora però per il pastore era preziosa… estremamente preziosa… ed allora l’ultimo ringraziamento veniva attuato, cucinandola, creando un piatto che trasmette amore, trasmette i profumi ed i sapori della terra d’Abruzzo, al tempo stesso porta con sè una storia unica.

Un piatto, questo della pecora “ajo cotturo”, impegnativo sia per tempi, che per il sapore. La cottura è estremamente lunga (sette ore) e comporta una prima spurgatura delle carni, in quanto vecchie e dure. Si procede, poi, come un normale stufato: ci si mettono dentro per insaporire le erbe e gli ingredienti che il pastore riusciva a recuperare nei campi… parliamo di rosmarino, di timo e similari.

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I pastori una volta cucinata la pecora, amavano consumarla in cerchio intorno al fuoco. Il falò era quella irrinunciabile compagnia della quale i pastori non potevano fare a meno: non solo serviva per cucinare, ma ed è ricco di significati a sé stanti, riferimenti arcaico-religiosi, un render grazie a Madre Terra che i pastori non smetteranno mai di ringraziare.

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Come ho detto la transumanza avviene in uno specifico momento dell’anno, a settembre quando l’autunno cominciava a bussare alle porte… ed un poeta, Gabriele D’Annunzio, innamorato della sua terra, ha descritto questo momento in una poesia splendida:

Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.
Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua natia
rimanga né cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d’avellano.
E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!
Ora lungh’esso il litoral cammina
La greggia. Senza mutamento è l’aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquio, calpestio, dolci romori.
Ah perché non son io cò miei pastori?

Ho cercato a mio modo di avvicinarmi ad una terra non molto pubblicizzata ed a una tradizione, quella della pastorizia che è splendida, molto povera ma ricca di insegnamenti.

Questo mio piatto l’ho sentito nascere dal cuore più che dalle mani. L’esser lì a tradurre la transumanza dei pastori in un piatto per me può essere solo motivo di orgoglio. La scelta dei colori e dei profumi vanno a richiamare con una chiarezza estrema, i paesaggi abruzzesi, quelli degli sconfinati prati di Campo Imperatore e del “Tratturo“. La decisione poi di impiattare in maniera circolare è stata mirata, in quanto va a ricordare il cerchio dei pastori stretti intorno al fuoco nel momento in cui consumavano questo splendido piatto. Non bisogna lasciare niente al caso, soprattutto per noi cuochi e mi riferisco anche alla nostra storia intrisa di tradizioni. Partire dalla conoscenza delle potenzialità del proprio territorio e dei prodotti che ci regala e renderli nostri alleati in cucina. Un piatto che amo questo perché schietto, semplice e lascia il segno.. un po’ come la mia terra d’ Abruzzo. Il piatto si chiama “La-qui-la, c’era una volta” con la speranza che torni ad Essere… Il nome va a scomporre il nome del capoluogo ed in questo modo riesco a ricreare il movimento dei pastori che dall’Abruzzo andavano in Puglia per la transumanza. Il piatto “La-Qui-La” è pecora cucinata a bassa temperatura, crumble al fieno, consommè di pecora, crostini di pane di grano solina, tipico abruzzese, e verdure di origine di vari paesi della Marsica. Concludo sottolineando quanto siano importanti le radici del proprio territorio che vanno comprese, ascoltate e fatte proprie e da cuoca, posso dire che in cucina aiutano molto.

Lucia Tellone La-Qui-La

Photo Credits per Lucia Tellone: Giovanni Gastel
Intervista di Laura Bertolini

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