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Pubblicazione: 12/03/2019
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Parlando di una regione come la Campania, ricca di prodotti tipici legati alla tavola e al mangiare bene, non può esulare la citazione, anzi l’approfondimento, legato al vino.
I vini campani che spesso ci vengono alla mente quando pensiamo a questa regione sono prettamente rossi, grandi rossi come il Taurasi e il Falerno per menzionarne un paio. La realtà dei vini bianchi, però, è altrettanto importante e variegata, con note alquanto diverse date soprattutto dalla conformazione strutturale del territorio della Campania. Lo decantavano persino i poeti: il vino della Campania, ai tempi dei Romani, era il nettare degli imperatori che spesso possedevano ville di vacanza proprio in questa zona della penisola. La pratica vinicola ha storia molto prestigiosa in Campania, sebbene per un lungo periodo, in tempi recenti, le produzioni locali abbiano fatto fatica a tornare ad assumere un ruolo di prestigio e rilievo nel panorama dell’enologia italiana.
Oggi la giusta visibilità è stata riconquistata, grazie al fascino che i vini campani riscuotono in patria e anche all’estero. Tralasciando al momento i grandi rossi del territorio, a cui dedicheremo più avanti un doveroso approfondimento, lasciamoci conquistare dai bianchi che grazie alla riscoperta di aree produttive di notevole interesse e ai vitigni autoctoni valorizzati, sono oggigiorno tra i più conosciuti vini bianchi del sud: Fiano di Avellino, Greco di Tufo e la ben nota Falanghina.
Credit immagine: Pexels
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Il suolo della Campania è ciò che la rende, nel panorama ampelografico, una regione dalle mille sfumature e caratteristiche: molti vigneti si trovano piuttosto in alto sul livello del mare, mentre la presenza del Vesuvio, che ha sparso cenere e lava sui terreni circostanti, ha donato forte mineralità. La sapidità portata dai venti marini che si deposita sulle bucce degli acini maturi contribuisce a caratterizzare i vini prodotti da vigne coltivate poco lontano dalla costa.
Le viti del Greco e del Fiano arrivarono in Campania grazie ai Greci e da allora costituiscono due delle uve a bacca bianca qui più coltivate, uve aromatiche, acide e minerali. Proprio i loro vini sono riusciti a conquistare gli stranieri che, in visita ad Amalfi o a Napoli, li hanno assaggiati e hanno contribuito alla loro popolarità soprattutto in terra statunitense.
Tra i tanti produttori della Campania, dove tra i nomi più noti ricordiamo Marisa Cuomo con il suo Costa d’Amalfi Furore Bianco, l’azienda vinicola Marianna che punta sulla valorizzazione dei vitigni autoctoni e ben si caratterizza con la tipicità del Greco di Tufo o i Feudi di San Gregorio con il loro Fiano di Avellino, non possiamo non ricordare la casa vinicola più antica della Campania: la Mastrobernardino fondata a metà del 1700.
Questa casa vinicola ha contribuito alla valorizzazione, al mantenimento e al prestigio delle uve locali che, a causa della dissoluzione dell’Impero Romano, videro la decadenza della viticoltura campana fino anche all’oblio di alcuni vitigni autoctoni.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, che aveva visto la Campania teatro di scontri fra tedeschi e alleati, Antonio Mastrobernardino, subentrato al padre nella conduzione dell’azienda vinicola di famiglia, si ripromise di ridare prestigio a quei vitigni autoctoni che, seppur dimenticati, erano ancora presenti nelle vigne della tenuta. Proprio a lui, grazie a questo lavoro sull’archeologia della vite, si è rivolto il Governo italiano per recuperare i vigneti che ancora sono presenti nella zona degli scavi di Pompei.
Chiudendo il breve capitolo storico e culturale legato ai vini campani e prima di dedicarci ai tre più importanti vitigni bianchi, è doveroso citare rapidamente i minori, quelli meno conosciuti al di là dei confini regionali, ma che spesso sono delle piacevoli scoperte: gli eccellenti bianchi prodotti sull’Isola d’Ischia da uve Forastera e Biancolella, l’Asprinio di Aversa e il Palagrello bianco coltivato da pochissimi produttori in provincia di Caserta.
Credits immagine: Payhere su Flickr
Il Greco di Tufo, divenuto Docg nel 2003, è uno dei vitigni più antichi non solo della Campania ma di tutto il nostro paese. Il nome stesso evoca chi lo introdusse in Italia: i Greci, per l’appunto. Buona parte della produzione di questo vino era inizialmente definita ai piedi del Vesuvio, mentre attualmente la Docg è limitata, secondo il disciplinare, a otto comuni nella provincia di Avellino: Tufo, Altavilla Irpina, Chianche, Montefusco, Prata di Principato Ultra, Petruro Irpino, Santa Paolina e Torrioni.
Sempre secondo il disciplinare, per la produzione della Docg è necessario che le uve utilizzate per la produzione siano al minimo dell’85% di Greco bianco e al massimo 15% di Coda di Volpe bianco.
Il Greco di Tufo è un vino di grande intensità e complessità, che viene amplificata oltremodo quando si invecchia in botti di legno. Ha un colore giallo paglierino più o meno dorato e al naso presenta un bouquet elegantemente fruttato e floreale; al gusto è di notevole impatto, armonico ed elegante e ben si sposa con piatti di pesce o frutti di mare, ma anche con i formaggi freschi campani.
La versione spumantizzata è un ottimo vino da servire come aperitivo o in abbinamento agli antipasti di mare.
Il Fiano di Avellino Docg viene anch’esso prodotto in numerosi comuni della provincia avellinese. È un vino bianco piuttosto noto. Proviene in ampia misura da uve del vitigno Fiano – che per disciplinare non può essere inferiore all’85% – e da altre uve bianche coltivate sul territorio.
In etichetta talvolta può comparire la dicitura Apianum, memoria dell’antica tradizione vinicola dei luoghi d’origine, che indicava l’uva apiana ossia particolarmente zuccherina e in grado di attirare le api verso i vigneti.
Il Fiano di Avellino è stato uno dei vini più a rischio, in Campania, durante la piaga della fillossera a inizio del 1900, ma grazie alla tenacia e costanza dei produttori locali si è riusciti a salvarlo e a riprenderne la produzione, portando nuovamente alla ribalta un vino apprezzato nell’antichità da imperatori e da re.
Il Fiano, come anche il Greco, si presta all’invecchiamento che gli conferisce note più eleganti e intense. Ha un raffinato e caratteristico profumo floreale e in bocca è secco, equilibrato e molto fine con note caratteristiche di frutta secca. Ben si abbina a carni bianche, mozzarella di bufala o piatti a base di crostacei e di pesce.
Credits immagine: Pixabay
Dopo due pezzi da novanta nel panorama dei bianchi campani, non possiamo tralasciare un terzo vino il cui vitigno si pensa possa avere origini greche e che quindi sia contemporaneo ai due precedenti: la Falanghina del Sannio Doc.
La Falanghina del Sannio viene prodotta esclusivamente nelle quattro aree principali che fanno capo alla provincia di Benevento: Taburno, Solopaca, Sant’Agata dei Goti e Guardiolo. L’uva utilizzata per la Falanghina del Sannio è al minimo dell’85% di Falanghina a cui si aggiungono altre uve a bacca bianca coltivate nei territori definiti. Oltre alla versione classica si producono anche la versione spumantizzata e quella passita.
La Falanghina ha un intenso colore giallo paglierino, un naso delicatamente fruttato e un gusto intenso, fresco e asciutto. Anche per questo vino l’abbinamento ideale è con piatti a base di pesce e di crostacei o con formaggi freschi o poco stagionati.
Articolo di Paola Forneris del blog Viaggi e Delizie
Credits immagine di testata: Pixabay
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