I ceci toscani

Pubblicazione: 30/12/2017

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Faseoli virides et cicer ex sale, cumino,
oleo et mero modico inferuntur
[…]
Frictos ex oenogaro et pipere gustabis. et
elixati, sumpto semine, cum ovis in patella,
feniculo viridi, piper et liquamine et caroeno
modico pro salso inferuntur, vel simpliciter,
ut solet
(Apicio, De Re Coquinaria)

Da sempre i legumi fanno parte della nostra cultura gastronomica e questo passo, tratto da uno dei più famosi ricettari al tempo dei Romani, lo testimonia. Ceci, fagioli, piselli, lenticchie, fave fanno tutti parte della famiglia delle leguminose e la Toscana spicca tra le regioni per il grande consumo – legato a molte ricette tradizionali – e per essere la maggior produttrice ed esportatrice di cultivar di queste piante, confermando così che l’Italia è un grande scrigno di biodiversità.

In questo articolo ci concentreremo su un legume in particolare, a volte un po’ bistrattato perché non a tutti è gradito: il cece. Cercheremo di farlo amare un po’ di più, perché merita attenzione e un posto nella nostra dieta.

Nonostante la sua presenza in Toscana sia capillare e antica, l’origine di questo legume è orientale e si è diffuso lentamente nel bacino del Mar Mediterraneo: era il cibo degli schiavi egiziani che, apprezzato dai Romani, fu inserito tra gli alimenti della “dieta del legionario”. Una delle maggiori preoccupazioni di un comandante romano era infatti l’approvvigionamento delle truppe: durante le marce i soldati percorrevano lunghi tragitti portando un carico di oltre trenta chili e mangiare bene era indispensabile per una buona resa sul campo di battaglia e nelle altre attività militari. Nella bisaccia di un legionario si trovavano quindi anche cereali e legumi come fagioli, lenticchie e ceci: erano leggeri e, allo stesso tempo, nutrienti. I ceci, per esempio, venivano consumati lessati e speziati con cumino e miele.

Le proprietà nutrizionali dei ceci probabilmente non erano note nei dettagli ai Romani, che ne apprezzavano però empiricamente le qualità energetiche. Oggi sappiamo che i ceci hanno un elevato contenuto di proteine; che contengono importanti vitamine come quelle del gruppo B, C ed E, minerali come fosforo, calcio e magnesio, acidi grassi essenziali come l’omega-3 (raro negli alimenti vegetali); che contengono fibre; che favoriscono la sazietà e una buona salute all’intestino.

In Toscana crescono diverse cultivar di ceci, grazie soprattutto a un attento lavoro di riscoperta e valorizzazione di alcune varietà “antiche”. Una delle zone più vocate è il Grossetano, in virtù della particolare natura dei terreni, favorevoli ad alcuni tipi di ceci tra cui il Cece rosa di Reggello, detto anche cecino, di piccole dimensioni e ottimo nelle minestre e per la preparazione di prodotti da forno; oppure il Lupino dolce di Sorano, dal sapore dolciastro e ideale per la produzione della famosa cecìna (torta di ceci). Degne di nota anche le varietà che vengono coltivate nel territorio che va da Siena fino a Firenze, come il Cece piccino del Chianti, utilizzato per preparare un piatto tradizionale conosciuto come caciucco di ceci.

Per conoscere meglio i nostri piccoli legumi ecco altre informazioni e alcune curiosità. Il nome botanico del cece è cicer arietinum e deriva da ariete (aries, in latino) perché la forma dei singoli semi ricorderebbe la forma del capo di questo animale.

Ai tempi dell’antica Roma i ceci erano utilizzati anche per… giocare a una sorta di tombola, oppure, nelle navi, come “tappi” per i buchi dei chiodi che tenevano i fasci di legno dello scafo. I chiodi con il tempo tendevano a perdere la testina: ecco che i ceci, che si gonfiavano a contatto con l’acqua, creavano una sorta di tappo evitando così le infiltrazioni. Cicerone aveva questo cognomen perché un suo antenato aveva sul viso un’escrescenza vagamente somigliante a questo legume. I dotti greci e romani ne esaltavano le presunte virtù afrodisiache.

Ciceri era la parola d’ordine utilizzata durante i Vespri Siciliani (Palermo 1282) per riconoscere i francesi, i quali facevano cadere – inevitabilmente – l’accento sulla i finale.

gran-tour-toscana-i-ceci-farinata

A mo’ di sberleffo nei confronti dei pisani, sconfitti nella battaglia della Meloria del 1284, i genovesi definivano la farinata, ovvero una versione corretta della cecìna, “oro di Pisa”. In quell’occasione una galera genovese fu investita da una tempesta nel Golfo di Biscaglia e l’acqua entrata nella stiva mandò in malora le scorte alimentari: i ceci in ammollo nell’acqua di mare si unirono in una sorta di impasto con l’olio fuoriuscito da alcuni barili rovinati. Questa pappetta venne data ai prigionieri toscani utilizzati come vogatori; essi inizialmente la rifiutarono, salvo poi mangiarla per disperazione qualche giorno dopo quando, essiccata al sole, era diventata più gradevole al palato. I genovesi rielaborarono la… casuale ricetta e la codificarono dando vita al tortino che oggi conosciamo.

Bibliografia e sitografia:

De Re Coquinaria, Apicio
Chimica dell’alimentazione, Cappelli -Vannucchi, Zanichelli 2005
A tavola in divisa. Rancio e abitudini alimentari delle Forze Armate attraverso il tempo, Evangelista – Martino Pellati
Tutti i cibi dalla A alla Z, Mondadori 2004
http://www.prodottitipicidellatoscana.it/legumi

Autrice Monica Martino del blog Esperimenti in cucina Una biologa ai fornelli

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