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Presepi sull’acqua in Val d’Ossola
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Pubblicazione: 18 Luglio 2018
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Se si escludono la soia, originaria dell’estremo Oriente, il fagiolo e l’arachide, che sono stati importati dall’America, gran parte dei legumi utilizzati oggi in campo alimentare ha origine nel bacino del Mediterraneo. I legumi facevano parte della vegetazione spontanea e vengono coltivati da millenni. Il successo e la larga diffusione dei legumi nell’alimentazione umana si basano su due elementi cardine: la facilità e la durevolezza della loro conservazione – dopo un’adeguata essiccazione – e il notevole valore e apporto proteico ed energetico.
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Non a caso da sempre i legumi vengono definiti la “carne dei poveri”.; sulle mense dei meno abbienti hanno sostituto, fin dai tempi più remoti, la più costosa carne. Il motivo è che se le proteine contenute nella carne sono il 19%, le proteine contenute dai legumi variano dal 18 al 44%. È pur vero che, a differenza di quelle della carne, le proteine vegetali non sono complete poiché non contengono alcuni amminoacidi essenziali. Per questo è bene mischiare legumi e cereali ed ecco perché moltissimi piatti della tradizione italiana prevedono il loro abbinamento: pasta e fagioli, ribollita, risi e bisi, pasta e ceci. Sembra anche che i legumi aiutino a digerire alcuni grassi: ecco spiegato l’abbinamento insolito e fortunato di lenticchie e zampone per fine anno.
I legumi contengono inoltre anche alcuni lipidi, in una quantità variabile dal 2 al 16%, e grassi insaturi che proteggono dalle malattie cardiovascolari. Contengono poi le fibre, che facilitano il passaggio intestinale dei cibi, e le saponine, che consentono ai legumi di sopportare le cotture prolungate. Lipidi, fibre e saponine tengono anche a bada i livelli di colesterolo; per questo motivo la dieta mediterranea mette i legumi, in quanto fonte proteica, alla base della piramide alimentare.
I legumi erano importantissimi nella vita dei contadini: venivano piantati tra una coltura e l’altra per fertilizzare la terra in modo naturale. Le loro radici, infatti, hanno la capacità di fissare l’azoto presente naturalmente nel terreno, rivitalizzandolo. La coltivazione dei legumi, però, è poco remunerativa e nei paesi industrializzati è generalmente molto diminuita, In alcuni casi si è favorita la coltivazione di pochissime varietà un po’ più redditizie, impoverendo la biodiversità agricola.
Oggi sono lontani i tempi della pignatta di fagioli che sobbolliva a lungo su fuoco dolce spandendo per casa un profumo sempre più intenso col passare delle ore; l’era moderna, in cui prevale la fretta, pare rifiutare questi sapori antichi e questi alimenti preziosi, che hanno invece nutrito i nostri antenati. Negli ultimi anni è fortunatamente in atto una certa opera di recupero di alcune varietà antiche di legumi in virtù dei loro benefici per la salute.
Nel Lazio esistono tre varietà di legumi, coltivate da produttori molto motivati, singoli o riuniti in piccole associazioni, e tutelate da un presidio Slow Food: il Fagiolone di Vallepietra, la Fagiolina di Arsoli e la Lenticchia di Rascino. Ed è su quest’ultima che ci siamo maggiormente concentrate.
Le lenticchie coltivate sull’Altopiano di Rascino, nel Cicolano, in provincia di Rieti al confine con l’Abruzzo, a un’altitudine tra i 1100 e i 1300 metri, sono caratterizzate da una dimensione ridotta e un colore non uniforme che va dal rossiccio al marrone scuro. La produzione avviene in modo naturale senza l’uso di diserbanti, concimi o altre sostanze chimiche. Se ne occupano per lo più aziende a conduzione familiare, o vengono coltivate negli orticelli di casa per consumo proprio.
Sono questi elementi di unicità che hanno spinto Slow Food a riconoscere alla Lenticchia di Rascino il marchio di Presidio. Un marchio che non costituisce un riconoscimento formale, ma prevede l’adesione di venticinque produttori a un disciplinare che garantisce la qualità attraverso il controllo sia delle pratiche agricole; sia delle quantità prodotte rispetto ai piani di semina; sia l’origine dei semi, che devono essere autoprodotti. La Lenticchia di Rascino rappresenta senza dubbio un elemento della tradizione locale, perché radicata nella cultura e nella memoria del territorio del comune di Fiamignano (Rieti), tanto da essere segnalato alla Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus.
La seconda domenica del mese di agosto la pro loco di Fiamignano, istituita nel 1967 per dare impulso alla crescita culturale e turistica del territorio di produzione della lenticchia, fin dal 1971 organizza la Sagra delle Lenticchie. È proprio grazie a questa sagra che è ripresa la produzione di lenticchie, non solo per soddisfare i bisogni familiari, ma anche ai fini di una commercializzazione più estesa e remunerativa.
Ogni anno in occasione della sagra l’intera comunità si mobilita; il paese viene allestito per permettere a una media di circa mille visitatori di gustare il menù preparato secondo la cucina tradizionale locale, che comprende una minestra di lenticchie, lenticchie con le salsicce e dolci secchi locali.
Lungo e minuzioso, nelle prime edizioni della sagra, era il vaglio rigorosamente manuale delle lenticchie destinate alla cottura; se ne occupavano con molto impegno alcune signore del paese. Le lenticchie venivano poi distribuite ai vari volontari della pro loco che le cucinavano lungo i vicoli del centro storico. Poco alla volta alcuni giovani titolari di aziende agricole e alcuni intraprendenti privati hanno cominciato a credere nella possibilità di recupero e valorizzazione del legume e hanno dato luogo a una vera e propria rinascita commerciale della Lenticchia di Rascino.
Ad esempio è stata avviata una forma di etichettatura e confezionamento in sacchetti di tela per la commercializzazione della lenticchia al di fuori dei confini della provincia. Ciononostante, alcuni processi di lavorazione vengono comunque eseguiti nei vicini stabilimenti umbri, perché la produzione, seppur cresciuta via via nel corso degli anni, non è ancora sufficiente a coprire le spese per l’avvio di stabilimenti locali.
Oggi esistono sia un’associazione, presieduta da una produttrice, la dottoressa Valentina Croci, che si occupa della valorizzazione e della promozione della Lenticchia di Rascino e che attualmente conta ventotto soci; sia una cooperativa, presieduta dall’ingegner Lorenzo Camilli, che conta diciassette soci ed è nata con lo scopo di costituire una filiera corta, acquisendo i macchinari per la pulizia e l’insacchettamento delle lenticchie.
L’associazione si è occupata della registrazione del marchio presso la Camera di Commercio di Rieti e ha avviato il processo per il riconoscimento del marchio Igp alla Lenticchia di Rascino. La cooperativa ha creato un’etichetta che viene utilizzata – identica – da tutti i soci produttori. I soci aderiscono e rispettano il disciplinare di produzione al fine di salvaguardare l’ecotipo. Il disciplinare è piuttosto rigido e prevede la compilazione degli attestati di semina e di raccolta, sotto il controllo dell’associazione. Si può dire che associazione e cooperativa coesistono e camminano di pari passo.
L’Ingegner Camilli ci ha accolte e omaggiate di un volume dedicato alla storia della Lenticchia di Rascino e ci ha illustrato come la cooperativa abbia coniato un marchio e acquisito macchinari per il confezionamento delle lenticchie, sottolineando che il sodalizio si basa sulla condivisione di un disciplinare di produzione che salvaguardi l’ecotipo, la sostenibilità ecologica della produzione delle lenticchie e un accettabile livello di remunerazione.
Parlando di piatti tipici del territorio di Rascino si può dire che non esistono vere e proprie ricette codificate. Innanzitutto perché il concetto di “dose” non è ritenuto fondamentale delle massaie, le quali, basandosi sull’esperienza, hanno sempre misurato le quantità a occhio senza pesare nulla. Inoltre gli ingredienti che entrano a far parte delle ricette variano di volta in volta ,a seconda di quanto si ha a disposizione in casa al momento, supplendo come si può o omettendo quanto non c’è. Se si chiedesse alle massaie di Rascino quante lenticchie occorrono per preparare una minestra per cinque persone, risponderebbero ‘na jummella e nessuna saprebbe identificare in 200 grammi la dose effettivamente necessaria. ‘Na jummella serve per sfamare cinque persone e ‘nu puillu (circa 20 grammi) per una persona sola.
Autrici: Valentina De Felice del blog Profumo di Limoni e Cristiana Di Paola del blog Bouef à la mode
Fonti:
Dottoressa Valentina Croci, attraverso colloqui e informazioni manoscritte
Foto: Apertura e primo piano di Valentina de Felice. La lenticchia di Rascino (presidio Slow Food), l’altopiano di Rascino.
Bibliografia:
Giuliana Lomazzi “Cucinare i Legumi” (edizioni Tecniche Nuove)
Settimio Adriani “La Lenticchia di Rascino, Storia e Tradizione di un Ecotipo” (edizioni Ass. Turistica Pro. Loco di Fiamignano)
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