La pesca sul lago di Como: il Missoltino

Pubblicazione: 26/04/2017

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Oggi per il Gran Tour della Lombardia vi portiamo al lago; più precisamente a Bellagio (Como), una piccola perla sulle sponde del Lago di Como, patria indiscussa del Missoltino.
Il Missoltino, tutelato da Fondazione Slow Food per la biodiversità, è il nome che viene dato a un pesce, l’agone, dopo il periodo di essiccatura.
Il Lago di Como, in particolare le acque antistanti Bellagio, è ricco di agoni, una varietà di pesce dalla lunghezza media di 15-30 cm (ma alcuni esemplari possono essere grandi anche il doppio), che, dopo la salatura e successiva essiccazione al sole, prende il nome di Missoltino.
L’agone ha un corpo allungato, con il dorso di colore verdastro cosparso di macchie nere; il ventre e i fianchi sono chiari di color grigio argenteo con qualche striatura dorata. Le sue carni sono ricche di grassi e omega 3, ideali per la conservazione.

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Per scoprire la storia di questa specialità dobbiamo risalire fino a Plinio il Giovane (Como 61 o 62 -113 o 114 d.C.), che abitava proprio sulle rive del Lago di Como. Egli descrive nelle sue Epistole come alcuni pescatori locali per conservare il pesce lo essiccassero, lasciandoci così la più antica testimonianza del Missoltino.

Allora i pescatori applicavano al pesce di lago una tecnica di conservazione appresa da alcuni coloni greci che abitavano nei pressi della Antica Via Regina (che, dal lago, conduceva oltre le Alpi nell’odierna Svizzera) e che la utilizzavano in patria per i pesci di mare. Con il passare del tempo la tecnica di essiccazione si è affinata fino a cambiare completamente negli ultimi secoli, prendendo spunto dai paesi scandinavi.

Una storia che viene tramandata da padre in figlio narra che una signora svedese, tale Miss Oldin, per ringraziare i pescatori locali della gentilezza che le avevano sempre dimostrato, abbia suggerito loro un metodo di conservazione innovativo, ossia l’essicazione del pesce al sole, così da avere scorte anche per l’inverno.

Il popolo lariano omaggiò la signora dedicandole il nome della conserva giocando con l’assonanza del suo cognome: Miss Oldin – Missoltino.

La lavorazione richiede molta esperienza, maestria ma anche tanta pazienza per ottenere un prodotto di elevata qualità.

Una volta pescati, gli agoni vengono squamati ed eviscerati, quindi salati uno a uno e lasciati a riposare per 24/36 ore. Successivamente vengono lavati accuratamente e fatti asciugare al sole e all’aria aperta per una decina di giorni. Un tempo i pescatori creavano delle vere e proprie “collane di pesce” chiamate sfilze per meglio disporli a essiccare.

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L’essiccazione prolungata al sole e all’aria provoca la disidratazione dei tessuti del pesce, che prende una colorazione rossastra, segno che il grasso contenuto nelle carni è al punto giusto per una perfetta conservazione.

A questo punto i pesci sono pronti per essere conservati e, dopo aver schiacciato loro la testa, vengono disposti a raggiera in appositi contenitori metallici, le tolle, alternando strati di agoni con foglie di alloro. Le tolle vengono quindi chiuse e, con un torchio, si effettua una lenta pressatura del pesce. In questo modo il grasso del pesce affiora in superficie e garantisce una conservazione perfetta, isolandolo dall’aria esterna.

Un tempo i pescatori usavano dei barili in legno, chiamati missolte. Da qui la seconda  – e più probabile – derivazione del nome Missoltino.

Il Missoltino veniva tradizionalmente consumato quasi solo in inverno e veniva abbinato alla polenta condita con burro e formaggio. Oggi può essere degustato nei numerosi ristoranti a Bellagio e viene servito con pannocchie abbrustolite, così da avere il giusto contrasto tra il sapido del pesce e il dolce del mais. Le carni rosse, sode e compatte ricordano in un primo momento il sapore del culatello per lasciare poi spazio a tutti i sapori e sentori del pesce.

Fonti:
La Pesca

di Eleonora Gaspari del blog Le ricette di Elenuar 

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Un commento

  1. Che meraviglia questo prodotto, io questo in particolare non lo conoscevo.
    Grazie per il bel racconto.

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