Mangiare sulle montagne lombarde

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Pubblicazione: 10/04/2017

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Ai miei tempi”, alle scuole elementari, per imparare il nome delle Alpi italiane le maestre ci insegnavano questa “filastrocca”: “Ma con gran pena le recan giu”, per memorizzare il nome delle Alpi italiane.
Un semplice acrostico che, con le prime due lettere di ogni nome ci aiutava nel ricordo: MA sono le Alpi Marittime, CO le Alpi Cozie, GRA le Alpi Graie, PE alle Alpi Pennine, LE alle Alpi Lepontine, RE alle Alpi Retiche, CA alle Alpi Carniche, GIU alle Alpi Giulie. E mentre recitavamo la filastrocca, con la mano, disegnavamo in aria il percorso, che andava da sinistra a destra con cadenza perfetta. Evidentemente il sistema ha funzionato, se a distanza di cosi’ tanto tempo me la ricordo ancora!

In ogni paese, sorto ai piedi o su questi monti, si custodiscono usi, costumi, tradizioni, folklore, ricette, curiosità, gelosamente custodite e tramandate da padre in figlio, o forse sarebbe meglio dire da madre in figlia, visto che le donne erano le regine della cucina, oltre che a essere un valido aiuto nel lavoro dei campi, dei vigneti, dei frutteti, stalle, accanto ai loro uomini.
Ecco allora l’alternarsi delle semine, raccolti, macellazione, lavorazione di tutto cio’ che era di sostentamento alle famiglie. E dopo tutto questo gran lavoro, avveniva la realizzazione dei piatti, preparazioni tipiche che caratterizzano ogni regione. Piatti che conoscono quasi tutti. Una sorta di cartina geografica che, come avveniva per la filastrocca delle montagne, sappiamo localizzare. Se parliamo di Fonduta o di Lardo d’Arnad siamo in Valle d’Aosta, se parliamo di Bonet o Bicerin, Bagna cauda o Ravioli del plin passiamo per il Piemonte, per il Frico siamo in Friuli e cosi’ via, anche per quanto riguarda i dolci e i vini.

Senza nulla togliere ai piatti tipici delle valli e località che caratterizzano tutta la catena montuosa del nostro “stivale”, qui si parlerà di cucina e tradizioni delle montagne della Lombardia: sono parte delle Alpi Retiche, che occupano il territorio italiano, svizzero e austriaco, con le bellissime e più ampie valli: Valtellina, Valchiavenna, Val Camonica, ma anche le più piccole e meno note valli afferenti.

Chiudete gli occhi e pensate a casoncelli, bisciola, sciatt, cotechini, polenta, zuppe…vi siete visti davanti agli occhi i luoghi di provenienza vero? Questi e tutti gli altri piatti tipici, sono l’orgoglio della nostra regione, delle nostre città, paesi, frazioni, anche le più sperdute… Essi meritano una bella sosta per essere assaggiati e gustati. Quindi, che inizi il nostro viaggio virtuale tra queste bontà!

Per motivi “affettivi” parto con i prodotti tipici della Valtellina, perchè vi ho passato i piu’ bei momenti della mia vita, girando in lungo e in largo ogni luogo, rifugio e bivacco. E, ovviamente, assaporando ogni specialità che immancabilmente si ripresenta sulla tavola di casa nei momenti condivisi con amici e parenti.
In Valtellina troviamo diverse eccellenze. Il fondo valle che va da Ardenno a Tirano è coltivato da secoli dalle viti. I filari sono allineati in balzi scoscesi, sostenuti da muretti a secco detti ronchi. La quasi totalità del vitigno coltivato è il Nebbiolo, seguito poi da Pignola, Rossola e Brugnola. Il colpo d’occhio che si vede dalla valle è fantastico e si puo’ solo immaginare la fatica nel seguire tutta la fase produttiva di queste uve.

I meleti, che al momento della loro fioritura sono uno spettacolo per gli occhi, ci regalano le deliziose Golden Delicious, le succose Stark Delicious, la Gala, la Morgenduft e l’elegantissima Fuji.

Tra i salumi, il più famoso è la Bresaola, regina di queste zone, prezioso salume tutelato dal Consorzio a cui afferiscono tutte le aziende con marchio IGP. Viene preparata nella tradizionale zona di produzione, che comprende l’intero territorio della provincia di Sondrio, ma le carni utilizzate possono provenire da bovini allevati e macellati in altre zone, anche e soprattutto d’importazione (principalmente dal Brasile e dall’Argentina). Si tratta della sottospecie bovina Zebù, una sorta di bue domestico comune nei paesi tropicali come l’India dove viene soprannominata Vacca sacra; allevata nel nuovo continente, si adatta particolarmente a questa produzione. La principale alternativa alla carne extracomunitaria è la carne bovina proveniente dall’Irlanda, il tutto approvato dal disciplinare di produzione.

Famosa, ma molto meno diffusa è la Slinzega, simile alla Bresaola ma di pezzatura più piccola e dal gusto più deciso per via dell’aromatizzazione con sale, cannella, chiodi di garofano, aglio, alloro e pepe.

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Nel 2016 hanno ottenuto il marchio IGP anche gli amatissimi Pizzoccheri, tipici di Teglio ma ormai un’icona per la Valtellina: sono una sorta di “corte tagliatelle” di grano saraceno, cotte con patate, verza, formaggio e condite burro fuso, aglio e salvia. Sono tutelati dall’Accademia del Pizzocchero di Teglio. Sempre a base di farina di grano saraceno, abbiamo anche gli Sciatt, “frittelle” di grano saraceno con il formaggio all’interno. Come non ricordare il Taroz, piatto d’origine contadina preparato con patate, fagiolini, formaggio, burro, cipolla.

Mentre i Pizzoccheri e Sciatt sono ormai il cavallo di battaglia di sagre e ristoranti, stanno riscuotendo successo anche le Manfrigole, crespelle di grano saraceno ripiene di formaggio, arrotolate su se stesse, tagliate in due o tre cilindri (dipende dalla grandezza della crespella), disposte in una pirofila uno vicino all’altro in verticale e passate in forno, con dei riccioli di buon burro. Sicuramente un modo goloso e alternativo di utilizzare la farina di grano saraceno e formaggio, servite come antipasto o come piatto unico, perché sono veramente sostanziosi.

Altro piatto poco conosciuto ed antichissimo, ma che comincia a comparire anche sulle tavole dei ristoranti più eleganti sono i Chisciöi detti anche panel: frittelle di grano saraceno con cuore di formaggio fuso, solitamente serviti con verdura o salumi, da gustare alla Sagra dei chisciöi a fine agosto a Tirano e Sernio.

Tra i dolci della Valtellina ci sono la Bisciola o Panun, un pane a base di farina di segale con frutta secca, per chiudere in bellezza e dolcezza un lauto pranzo.

In Valchiavenna troviamo i Pizzoccheri chiavennaschi, che pur avendo lo stesso nome di quelli di Teglio, si differenziano nella composizione perché sono gnocchi preparati con pane secco, latte, farina e conditi con formaggi, patate e burro insaporito con aglio.

Se ci spostiamo nelle cucine di montagna del bresciano e della bergamasca troviamo i famosi Casoncelli, che pur avendo lo stesso nome, si differenziano nel ripieno.
Nel bergamasco, hanno forma di disco ripiegato sono riempiti con pane, parmigiano, carne di e suino, prezzemolo, uvetta, scorza di limone, amaretti.
Nel bresciano hanno la forma a caramella, ripieni di pane, parmigiano o grana padano, aglio, noce moscata, brodo, prezzemolo, sale.

In Valle Camonica variano da paese a paese e secondo i segreti di famiglia.
A Parre, un paesino in provincia di Bergamo troviamo gli Scarpinocc de Parr (gli Scarpinotti di Parre), pasta ripiena con la stessa forma del casoncello, ma dal ripieno magro composto da formaggio, uova, burro, pangrattato e spezie. Il suo nome ricorda quello degli scarponcini tradizionali in lana indossati anticamente dagli abitanti di questo paese. Ogni anno, qui si svolge la Sagra, il terzo fine settimana di agosto.
Un altro piatto veramente sostanzioso e carico d’energia, ideale per ritemprare gli animi nelle giornate più gelide, è Verza e cotechino alla bergamasca, una volta cotti e mescolati alla polenta vengono serviti con una manciata di grana grattugiato e burro.
Il dolce divenuto tipico a Bergamo è “Polenta e osei”, dal nome e aspetto ingannevoli: si presenta infatti come una cupola di Pan di Spagna con all’interno delle creme, poi ricoperta da pasta di mandorle gialla sulla cui sommità sono posti degli uccelletti di cioccolato.
La Torta del Donizet (Torta del Donizetti) merita un cenno a parte: la leggenda vuole che Rossini, avendo come ospite un Donizetti afflitto e triste, facesse preparare dal cuoco un dolce per confortarlo un poco. In realtà questa torta è stata ideata da Alessandro Balzer nel 1948 per celebrare il centenario della morte del compositore e operista bergamasco.

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Nel bresciano troviamo la Minestra Mariconda che ricorda i canederli, in quanto è una minestra di brodo di pollo con gnocchetti di pane grattugiato, bagnato nel latte e impastato con uova e parmigiano.
Immancabile comunque su ogni tavola, la Polenta taragna o di mais. Che sia concia con il formaggio e il burro, con della carne o del pesce poco importa. E’ un piatto che conforta, che fa compagnia, accomuna e accontenta tutti quanti.

Così come non mancano le Minestre, più’ o meno ricche, dove vengono utilizzate le verdure che l’orto offre secondo le stagioni, arricchite di cereali o pane e sapori.
Piatti che sono nati nelle cucine povere, perché solo quello c’era e che ora possiamo ritrovare sulle tavole di trattorie e ristoranti. Rivisitati o serviti come vuole la tradizione.
E che siate seduti alla tavola di un ristorante o di un rifugio con un panorama mozzafiato, poco importa. Assaporando questi piatti della tradizione, vi renderete conto che definirli poveri non rende loro giustizia, perché sono ricchi di storia ed emozioni, ed è giusto ricordarle affinché tutti quanti possano conoscerne i sapori veri e genuini, che nulla hanno da invidiare a piatti ricercati o troppo alternativi.

di Antonella Marconi del blog Sapori in concerto

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