I krapfen

ph. Kharmela Odierna

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Brian Shelby (Jason Lee): “Perché, senza l’amaro, amico mio, il dolce non è tanto dolce.” dal film Vanilla Sky, 2001

Ed è finalmente arrivato il mio turno. Per cosa? Ma per il Calendario del Cibo Italiano che l’AIFB, Associazione Italiana Food Blogger, ha deciso di tenere quest’anno: ed io oggi sono l’ambasciatrice della Giornata nazionale dei Krapfen.

I Krapfen sono dolci lievitati a forma di palla, originari dell’Europa centrale, fritti nello strutto o nell’olio, farciti con la marmellata e cosparsi con lo zucchero a velo.

Qualcuno potrà obiettare che sia un dolce viennese. Originariamente si, ma conosciamo bene la storia del Trentino Alto Adige: fece parte del Sacro Romano Impero Germanico, poi dei regni napoleonici di Baviera e Italia, successivamente annesso all’impero d’Austria e al successivo impero Austro-Ungarico e, solo dopo la prima guerra mondiale, entrò a far parte del regno d’Italia. Come poteva non portarsi dietro, fra i vari usi e costumi austriaci, anche questi deliziosi dolci?.

La derivazione del nome krapfen è controversa: chi sostiene provenga dalla parola dell’antico tedesco “krafo” ( gancio o artiglio), perché originariamente avevano questa forma (in Baviera, per esempio, friggono ancora adesso dei dolci dalla caratteristica forma ad artiglio.): chi, invece, propende per l’invenzione di una certa Cäcilie Krapf, pasticcera di Gratz, che, arrabbiatissima con il suo apprendista arrogante, presuntuoso e poco ubbidiente ai suoi ordini, un giorno prese un pezzo di pasta che aveva lì vicino e glielo gettò. La pasta finì in un pentolone dove c’era dello strutto bollente e nacque così il krapfen! Poco probabile ma pieno di folclore !

Il krapfen, dunque, è vecchio di secoli. Da Graz fu presto esportato a Vienna, raffinata capitale dell’Impero e culla della Sachertorte, suscitando gli entusiasmi di aristocratici e borghesi. Da qui si diffuse poi nel Lombardo-Veneto e soprattutto in Trentino-Alto Adige. È naturale, quindi, che nei centri dolomitici si mangino ancora oggi degli ottimi krapfen, forse i migliori che si possono trovare in Italia. Tanto è vero che il comune di Valdaora, in provincia di Bolzano, organizza proprio una krapfenfest, una grande manifestazione con krapfen di tutti i tipi, accompagnati da ottimi vini passiti. Fatta eccezione, naturalmente, per un paio di pasticcerie milanesi specializzate in dolci austriaci e per qualche forno dall’aria casalinga che si trova ancora a Modena.
Perché Modena? La spiegazione è semplice. Questa città è stata per un lunghissimo periodo governata dal ramo asburgo degli Estensi. Fu per questa ragione che a corte giunsero molti cuochi e pasticcieri provenienti dalla Mitteleuropa. È probabile che uno di questi abbia portato sulla tavola ducale il dolce di Gratz. Dal palazzo, la ricetta del krapfen è poi facilmente uscita per giungere sino nelle case dei borghesi modenesi. Questi, però, hanno trasformato sia la natura del dolce sia lo stesso nome. Al posto della marmellata d’albicocche usano la crema pasticciera e il nome è divenuto quello meno gutturale di “crafen”.

In Germania vengono chiamati Pfannkuchen (dolcetti fritti nel grasso), più precisamente Berliner Pfannkuchen o semplicemente berliner. Quando John Kennedy pronunciò il suo famoso discorso il 26 giugno 1963 davanti al Municipio di Berlino Ovest, volendo sottolineare quanto lui e gli Stati Uniti fossero vicini alla popolazione della città, dicendo “Ich bin ein Berliner” non voleva certo affermare di sentirsi un krapfen; ma qualche sorriso, seppur nascosto, aleggiò fra il pubblico presente e i linguisti hanno discusso per decenni sull’opportunità o meno dell’uso dell’articolo indeterminativo in quella frase riportata con ironia su tutte le guide di Berlino!

I krapfen in Portogallo vengono chiamati “Bola de Berlim”, in Finlandia Berliininmunkki, in Ungheria Fank, Paczek in Polonia, Krofne in Serbia, Berlinerbolle in Norvegia, Berlinesas in Messico; mentre in Canada e in certe parti degli Stati Uniti sono conosciuti anche con il nome Bismark.

Qualcuno potrebbe obiettare che fra i krapfen e i nostri beneamati bomboloni, o altri cugini italiani, non c’è differenza… c’è eccome! Noi come facciamo i bomboloni o le graffe? Preparando l’impasto, friggendolo, e riempiendolo, tendenzialmente, una volta fritto, con crema pasticcera o marmellate varie, passando successivamente i bomboloni nello zucchero semolato, oppure lasciandoli vuoti. Ma il krapfen non segue questa routine.

 Ecco quali devono essere le sue caratteristiche:
1.           Nell’impasto deve essere presente lo strutto
2.           Va fritto nello strutto
3.           Il ripieno è a base di marmellata di rosa canina, ma viene accettata anche quella di albicocche
4.            Spolverato di zucchero a velo e non di zucchero semolato
5.           Obbligatorio riempirlo PRIMA di friggerlo, per farlo insaporire in frittura

Senza queste caratteristiche NON è un krapfen, è un’altra cosa. E’ consentita, però, la licenza poetica sullo strutto, che può essere sostituito col burro, e sulla frittura, che può essere fatta con un buon extravergine d’oliva o con l’olio di arachidi.

Ricetta Krapfen

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INGREDIENTI:

per circa una decina di krapfen

500 g di farina manitoba
75 g di zucchero
125 g di burro
20 g di lievito di birra
8 g di sale
40 g di tuorli
150 g di uova intere
85 g d’acqua
scorza di un limone biologico
mezza bacca di vaniglia
abbinamento vino
Moscato Rosa dell’Alto Adige (Rosenmuskateller)
Moscato Giallo dell’Alto Adige (Goldmuskateller)
Met (idromele)
PROCEDIMENTO:

impasto e prima lievitazione

Setacciamo la farina e mettiamo tutti gli ingredienti, escluso 100 g di uova, in una planetaria, e cominciamo a far andare a media velocità. Incorporiamo piano piano il resto delle uova, alziamo la velocità e facciamo andare fino a che non si incorda, cioè fino a che l’impasto non formerà una palla che si stacca dalle pareti della planetaria. All’inizio vi sembrerà un impasto veramente troppo morbido e umido, e sarete tentati di  aggiungere farina. Non fatelo o rovinerete tutto: al posto di morbidissimi krapfen, avreste poi in bocca delle palle coriacee e poco appetitose. Date tempo alla vostra planetaria di fare il proprio lavoro, ci vorranno dai 10 ai 20 minuti circa. E mi raccomando di pesare le uova: le grammature sono essenziali.

Appena l’impasto è pronto, sganciamo la ciotola e lo lasciamo lievitare direttamente nel recipiente, coprendolo con un canovaccio e ponendolo in luogo riparato, anche in forno. In questo caso, si può precedentemente riscaldare il forno a 50 gradi per un paio di minuti. In forno i lievitati sono anche al riparo da correnti d’aria, tremendamente nocive.

La lievitazione durerà almeno un paio di ore, l’impasto deve triplicare in volume.

Una personale raccomandazione riguardo la vaniglia: sempre meglio usare i semi estratti da una bacca, molto più saporiti e profumati, dimenticando per sempre la vanillina chimica, che spesso lascia un retrogusto sintetico alle preparazioni.

farcia e seconda lievitazione

Trasferiamo l’impasto su una spianatoia in legno, sarà molto profumato e morbido, ma non appiccicoso.
Stendiamolo con l’aiuto di un mattarello ad uno spessore di circa mezzo centimetro Con l’aiuto di un coppapasta tondo della misura preferita ritagliamo tanti dischi uguali. Mettiamo su un disco un cucchiaino di marmellata e chiudiamo con un altro disco di pasta. Sigilliamo perfettamente i bordi, altrimenti si aprono in cottura, quindi ridiamo la forma perfetta col coppapasta.
I ritagli di pasta si possono riimpastare una volta per farne altri, meglio essere precisi e cercare di ritagliare senza troppo scarto.

Disporre i krapfen su un vassoio, coprirli con un canovaccio leggermente umido e di nuovo in forno (spento) per circa 2 ore.

frittura

Se avremo fatto attenzione nel chiuderli, con la seconda lievitazione le giunture saranno perfettamente unite, e non dovremo temere di veder fuoriuscire tutto il ripieno.

Scaldiamo l’olio in una pentola: quando arriva alla temperatura di 170° friggiamo i krapfen, pochi per volta. E’ necessario tenere sotto controllo la temperatura dell’olio per non lasciarlo surriscaldare prolungando leggermente il tempo di cottura: un olio troppo caldo li brucia all’esterno, lasciando l’interno crudo.

Con la friggitrice, impostare la temperatura a 170° e friggere i krapfen 3 minuti circa per parte.

Scoliamo e disponiamoli su una gratella o carta da cucina.

Spolverizziamoli poi con dello zucchero a velo.

Alla prova assaggio saranno soffici, profumati, leggeri, non unti.

Bibliografia:

Guida Routard di Berlino, “il discorso del Presidente”
Wikipedia
Taccuini storici

Partecipano come Contributors

Cristina Tiddia, Krapfen 
Kharmela Odierna, Mini krapfen

7 commenti

  1. Ho scoperto AIFB da poco e trovo i vostri articoli molto interessanti. In molte ricette italiane ( vivo in Catalunya da ben 35 anni quindi non sono al corrente di molte cose) trovo l’indicazione di farina “manitoba”. Si trova in Italia in commercio la farina con questa denominacione specifica? Avendo lavorato in pizzeria so che la farina manitoba, originale del Canada, ha un coefficinte di forza W = ca. 400 e sola si può utilizzare solo per i panettoni. Una farina “di forza” per la pizza e per il pane dovrebbe avere un coefficente che sta tra W = 300 e W = 400 (piú vicina a 300). Qui in Catalunya si trova la generica farina di forza e tra le poche, una che indica: “W superiore a 300”.
    Quando si indica farina Manitoba, nelle ricette italiane, a cosa ci si riferisce?
    Grazie.
    Un saluto cordiale.
    Carlo Bernardini.

    1. Ciao, se posso, mi provo a risponderti. Io uso la Manitoba (che qui si trova in commercio con questo nome) non solo per i panettoni, ma per i lievitati in genere: preferisco usare dosi di ievito minime e far lievitare gli impasti 12-18 ore – per questo, serve una farina “forte”, a partire da W350. In linea generale, essendo i lievitati dolci più ricchi di grassi, e quindi richiedendo tempi di li lievitazione più lunghi (pena pesantezza ddell’impasto, poca digeribilità e “odore di lievito”, uso sempre farine forti. Superiore a W300 va bene, meglio ancora sui 350. Spero di esserti stata utie!
      PS io uso di preferenza lievito madre o pasta madre essiccata (in genere, uso 5 g su 500 di farina).

      1. Molte grazie Alessia. Devo dedurre che la manitoba in commercio in Italia sia sul W = 350.
        Perfetto per qualsiasi cosa! Quanto alla pesantezza, ti consiglio di ” maturare ” l’ impasto anche piú di 12/18 ore. Con minimo 24 ore diamo tempo agli enzimi presenti nella farina a dissociare gli zuccheri composti ( amido e Co. )
        e rendere così l’impasto digeribile. Un saluto cordiale.

  2. Grazie aver presentato con passione i krapfen, per aver ricordato la storia del Trentino Alto Adige che volendo o non volendo è stato influenzato dalla cultura austriaca.
    Le giornate nazionali permettono a tutte noi di approfondire la conoscenza della ricchezza gastronomica italiana capendone le origini e caratteristiche.
    Grazie Manu

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