Pane e Panelle: storia e ricetta

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Pane e panelle, un classico irrinunciabile del cibo di strada della tradizione palermitana. Altro non è, che una piccola frittatina che ha come ingrediente principale la farina di ceci, una macinata di pepe e un goccio di limone appena spremuto. Viene solitamente servita dentro a delle pagnotte tonde che si chiamano Mafalde. Tipico formato di pane siciliano ricoperto di semi di sesamo. Il Pane farcito con le panelle si può facilmente acquistare nelle friggitorie (anche ambulanti) presenti in tutta Palermo.

Con le panelle vengono farciti tre tipi di pane differente, scelto in base alla fragranza:

  • la Mafalda, chiamata così in omaggio a Mafalda di Savoia, è il pane più croccante;
  • la Scaletta, a forma di serpente;
  • la Focaccia (o vastidda), un morbido panino rotondo con sopra il “cimino” (sesamo).

La migliore tradizione del cibo di strada vuole che l’olio porti con sé memoria delle fritture passate. Si dice addirittura che occorra sostituirlo ogni 100.000 km, come quello delle motoape sulle quali vengono preparati i panini all’uscita delle scuole e degli uffici. Al di là dei detti popolari, resta il fatto che nel cibo di strada l’olio non venga cambiato con la stessa frequenza con cui lo si fa a casa o nei ristoranti: ma sappiamo tutti che se così non fosse, non sarebbe così buono…

In alcuni locali si può anche trovare la «rascatura», cioè i rimasugli di panelle e crocchè fritti e consumati come aperitivo, senza pane.

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La ricetta di Pane e Panelle

La ricetta del pane con le panelle mi è stata insegnata alcuni anni fa da un eccellente cuoco palermitano.

Ingredienti

  • 500 g di farina di ceci
  • 1,5 l di acqua
  • sale q.b.
  • olio di semi di girasole q.b.

Preparazione

Versate in una casseruola l’acqua e a pioggia la farina di ceci. Mescolate con una frusta per eliminare tutti i grumi e accendete il fuoco.

Lasciate cuocere, sempre mescolando con la frusta, a fuoco basso per almeno un’ ora.

Il composto sarà cotto quando, mettendovi un cucchiaio al centro, esso resterà in posizione verticale.

Versate il composto in una teglia da forno (bagnata bene con l’acqua) ad un’altezza di circa mezzo cm.

Stendete bene e lasciate raffreddare per circa mezz’ora.

Ricavate le panelle della forma che preferite e friggetele in olio di semi di girasole. Lasciatele asciugare su un foglio di carta assorbente.

Tagliate la Mafaldina a metà nel senso della lunghezza e farcitela subito con le panelle caldissime.

La storia di Pane e Panelle

Già in epoca romana i ceci erano largamente utilizzati in cucina, specialmente sotto forma di polenta: la farina di ceci era abitualmente consumata da tutte le popolazioni del Mediterraneo. Rappresentava dunque un modo pratico per utilizzare questi preziosi legumi durante tutto l’anno.

In Sicilia furono gli Arabi, nella loro lunga dominazione, a sperimentare la macinazione dei semi di ceci per ricavare la farina che, mescolata all’acqua e cotta, dava vita ad un impasto simile alla polenta.

Si suppone che le prime panelle fossero cotte sulla pietra dentro a forni verticali, solitamente usati per cuocere i pani di forma piatta, tipici della cucina mediorientale. Nel Medioevo, probabilmente durante il dominio angioino, in Sicilia si iniziò a friggerle. La letteratura del tempo, infatti, narra che gli Angioini ne fossero particolarmente ghiotti.

Certo è che pane e panelle rimase uno dei capisaldi della gastronomia palermitana, l’ennesimo tributo alle astuzie dell’intelligenza, che avevano trovato nell’impasto della farina di ceci un sostituto ancora più gustoso del pesce fritto delle classi abbienti. I ricchi le mangiavano di nascosto, malcelando l’invidia per i sapori di quelle strade sbarrati alle cucine dei loro palazzi. I poveri se ne nutrivano, trovando un felice connubio fra la bontà e il sostentamento: da cibo quasi rituale, all’inizio (venduto solo in inverno, da Santa Lucia a Natale, per festeggiare con il fritto l’abbondanza delle feste), pane e panelle divenne poi il pasto quotidiano, spesso unico, della povera gente. A restare ricchi erano gli “affacci” dei carretti e delle Api all’ombra dei muri: le panelle appena fritte, “sudate” di olio, gonfie di vapore, ancora sfrigolanti, calde e dorate, sgocciolavano sui piani forati, in attesa dei loro complementi naturale: la mafalda e la gassosa, nella doppia variante normale e al caffè.

“In principio era il pane e panelle. Simbiosi poi tristemente spezzata dall’avvento dei tempi moderni, quando la panella cominciò a circolare da sola, trasferita a viva forza dai luoghi di produzione alle case ormai piccolo borghesi dei palermitani. Ma all’inizio la regola era: mai panelle senza pane. E l’incontro doveva avvenire nei luoghi deputati, cioè il panellaro, al cui cospetto prevalentemente si svolgeva il rito del consumo. Palermo ne era piena: posti fissi, solidi muri, antri un po’ bui, odore di olio rifritto e di cereali bolliti. I carrettini, le “lape” (moto Ape Piaggio), i panellari vaganti appartengono a tempi più recenti.” (1) 

Il lavoro del panellaro 

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Il lavoro del panellaro cominciava il mattino presto e certe volte nel pomeriggio precedente. Cuoceva la farina di ceci come la polenta, un continuo rimestare con un paiolo da zattera, nel suo antro buio davanti alla pentola fumante, magari su un fuoco a legna. Poi metteva a raffreddare l’impasto coperto con una mappina (strofinaccio) e solo quando diventava maneggiabile, per il calore non eccessivo, cominciava a lavorare le panelle; ma non bisognava perdere l’attimo fuggente, perché se si aspettava troppo, l’impasto induriva e diventava buono, tutt’al più, per una mesta produzione di rascature (la rimanenza della farina di ceci cotta indurita, non più spalmabile), roba da morti di fame, l’articolo più infimo e il meno costoso di tutta la panelleria, da chiedere sottovoce, giusto per perversione alimentare.

I panellari più conosciuti e amati dai palermitani usavano delle formelle di legno levigato di forma rettangolare con incisi in rilievo ameni motivi floreali. Sulle formelle veniva spalmato l’impasto che, indurito, dava luogo alla panella cruda. Il motivo floreale non era un semplice amore per l’arte, bensì un segno di riconoscimento, perché il disegno si riconosce solo sulla panella fritta da poco, poi si perde. Mettiamo che un infedele accarezzi il diabolico progetto di riciclare panelle già fritte, “rivitalizzandole” in un bagno d’olio bollente: ecco, in quel caso addio disegno e scoperto l’inganno. Insomma il motivo floreale era una specie di marchio per la panella doc.

Una tradizione radicata da lungo tempo nella cultura gastronomica palermitana: amata, lo abbiamo visto, sia dai nobili sia dal popolo. È a Palermo, dunque, che dovete recarvi se volete gustare questa prelibatezza. Altrimenti… non vi resta che farle in casa. Seguite la preparazione che vi ho lasciato alla lettera: ne ricaverete una soddisfazione immensa per voi e per i vostri ospiti.

Ecco le ricette selezionate dalle nostre socie per scoprire i modi più golosi per abbinare questi ingredienti della tradizione:

Anna Calabrese, Pane e Panelle per il Calendario del Cibo Italiano 

Paola Sartori , Panelle di Ceci e verdure

Bibliografia
(1) In Sicilia in Cucina: gastronomia da marciapiede di Daniele Billiteri
wikipedia.org
Agrodolce, come cibo comanda

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