La Cucina di Corte

Lista degli argomenti

Giornata Nazionale della Cucina di Corte

Lista degli argomenti

Mentre Leonardo, Michelangelo e Raffaello arricchivano di immagini il mondo con i loro dipinti, Messisbugo, Rossetti, Scappi, Cervio e Lanciero creavano l’Arte della Gastronomia. Ad ognuno la sua specializzazione e i loro scritti costituiranno le pietre miliari della cultura culinaria.
Poco conosciuti al grande pubblico, hanno influenzato i costumi delle corti rinascimentali, tra le quali primeggiavano quella degli Estensi a Ferrara e dei Gonzaga a Mantova.
Da allora sono cambiate parecchie cose nei costumi, negli ingredienti e nelle quantità; quello che rimane inalterato è l’aspetto ludico delle cene. Oggi, come allora, sono spesso un rito: il loro scopo principale non è nutrire il corpo ma consolidare un clima di condivisione e partecipazione, dove c’è il piacere di esporre le stoviglie e le tovaglie migliori, offrendo i piatti più riusciti ed esibendosi orgogliosamente in quelli più difficili.
Dalla fine del ‘400 all’inizio del ‘600 si fanno sentire le conseguenze della scoperta dell’America e dei commerci lungo le rotte verso le Indie orientali, di Carlo V, della Riforma e della Controriforma, ritrovandone l’influenza anche nei banchetti.
Tra le casate celebri vanno ricordati i reali d’Aragona, i della Scala a Verona, i d’Este a Ferrara, i de Medici a Firenze, i della Rovere a Urbino e Pesaro, i Visconti e gli Sforza a Milano, i Gonzaga a Mantova, i Borghese a Roma, i Malatesta in Romagna, i Savoia in Piemonte e i Doria a Genova; oltre un gran numero di cardinali, vescovi, conti, marchesi, duchi e, soprattutto, i papa.
I più importanti castelli si arricchiscono di una corte formata da persone di cultura e spettacolo e di scienziati, con il compito di rendere piacevole la vita ai castellani. Celebre la corte estense a Ferrara con la presenza di Ludovico Ariosto e successivamente di Torquato Tasso; quella dei Gonzaga a Mantova, quella degli sforza a Milano, dove era presente anche Leonardo.
Le occasioni per i festeggiamenti erano le feste di carnevale, i matrimoni e le visite di stato.
A volte le feste con balli e spettacoli non avvenivano nelle residenze principali ma in palazzi poco distanti, in luoghi particolari. Un esempio fra tutti il palazzo Te a Mantova, riservato esclusivamente alle feste, progettato appositamente da Giulio Romano.
Nel ‘500 le corti facevano a gara ad organizzare feste e banchetti, spesso descritte e arrivate a noi da cronache locali o racconti di ambasciatori. Si trattava di veri e propri spettacoli, il cui scopo non era quello di sfamare i commensali ma di dimostrare la potenza e la ricchezza del Signore.
L’organizzazione e la responsabilità della festa era lasciata nelle mani di tre personaggi principali: lo Scalco, il Cuoco e il Trinciante, con la collaborazione di alcuni personaggi minori, quali il Bottigliere, il Credenziere, lo Spenditore e il Computista.

Lo Scalco
Era la figura più importante, a lui era affidata la regia della festa, la sua ideazione e i suoi spettacoli, oltre al banchetto, la gestione del servizio di cucina o di tavola.
Il più celebre fu Cristoforo di Messiburgo, che lavorò presso la corte degli Estensi nella prima metà del ‘500. Scrisse “Banchetti, composizione di vivande et apparecchio generale” nel 1549, con un gran numero di ricette e descrizioni dei convivi.
Successore di Messisburgo fu Giovan Battista Rossetti, autore di “Dello Scalco”, pubblicato nel 1584, ricco di ricette, di notizie e informazioni sull’organizzazione delle feste e sul ruolo dello Scalco.

Il Cuoco
Solitamente non aveva accesso alla sala del banchetto, ma restava in cucina con i suoi aiutanti e aveva il compito di realizzare il menu predisposto dallo scalco.
Celebre fu Bartolomeo Scappi, autore di “Opera di M.Bartolomeo Scappi, cuoco secreto di Papa Pio V”, testo rimasto famoso come “Opera”.

Il Trinciante
Stava in sala con il compito di tagliare le carni per il piatto del Signore e di tutti gli altri ospiti. Doveva essere molto robusto, in grado di tenere sollevato in alto con una sola mano un cosciotto di cervo arrostito, mentre con l’altra tagliava fettine di carne che lasciava poi cadere nel piatto.
Il Trinciante poteva essere detto “all’italiana” o alla “francese”, in questo secondo caso faceva appoggiare la carne sopra un tagliere.
Uno dei più famosi fu Vincenzo Cervio, autore del trattato “il Trinciante”, pubblicato a Venezia nel 1581, contenente le regole di taglio ancora oggi interessanti.

Messisbugo ha lasciato la descrizione di 14 banchetti, dando origine ad un modo di esprimersi e descrivere che fu poi ripreso da altri autori. Scappi e Rossetti ne descrissero centodieci e centosettanta.
Questi simposi erano costituiti dall’alternarsi di spettacoli, canti, balli, recitazione, poesie e fuochi d’artificio, e fasi di degustazione. La parte gastronomica era divisa in due principali servizi: di credenza e di cucina. La credenza era un mobile dotato di un piano, posizionato nella sala dei convivi, dove venivano sistemati i piatti che potevano essere somministrai freddi: crudi, verdure, formaggi e quanto destinato come antipasto. I servizi di cucina, invece, erano sempre caldi e venivano portati in sala direttamente dalla cucina al momento del servizio: pasticci, zuppe, arrosti.

Vi erano tre modi di organizzare il banchetto: all’italiana, se ad ogni commensale le portate venivano servite in piatti individuali; all’alemanna, se le portate arrivano in tavola in piatti molto grandi, dedicati a 10 persone l’uno, dai quali ognuno si serviva a piacere; alla francese, quando si usavano piatti singoli per le verdure e piatti collettivi per i servizi di cucina dedicati a quattro commensali.
Per la scelta delle ricette e la compilazione del menù veniva rigorosamente rispettato il dover mangiar di magro il venerdì non festivo, il periodo di Quaresima, il mercoledì delle Ceneri, nelle vigilie di feste come Pasqua, Natale, Epifania, Capodanno, Ascensione, Corpus Domani, nelle giornate dedicate alla Madonna. Complessivamente si poteva arrivare anche a 110 giornate di penitenza alimentare; di magro voleva dire anche niente formaggi, latticini e uova, ma solo pesce e verdure. Non significava, però, mangiare poco: anche in queste occasioni le portate erano numerose e ricche.
E le capacità organizzative dello Scalco erano immense; alcuni banchetti furono organizzati per iniziare in giorni di carne e finire in giorni di pesce (o viceversa), non facendo mancare agli ospiti nessun tipo di cibo.
Il padrone di casa e i due/tre ospiti più importanti stavano spesso in un tavolo separato, sopraelevato rispetto agli altri tavoli, più stretti e lunghi. A volte alcune tavole venivano apparecchiate in sale adiacenti, con ospiti di rango più basso a cui venivano serviti gli avanzi della cena; quello che ulteriormente rimaneva andava poi alla servitù. In alcuni banchetti, attorno alla tavola principale, ma a debita distanza, venivano erette delle tribune dalle quali i cittadini potevano assistere al pasto dei Signori, senza prendere effettivamente parte al banchetto.

Nel ‘500 ci furono importanti cambiamenti nel modo di stare a tavola: non si prendeva più il cibo con le mani perché cominciarono a diffondersi strumenti adatti all’uopo, come la forchetta. Ancora un’occasione per i più ricchi di sfoggiare i propri oggetti personali, magari forgiati in oro e argento. Apparirono anche gli stuzzicadenti, profumati e fatti in materiali pregiati.
In mancanza di posate individuali, il compito di tagliare la carne era del cavaliere che porgeva alla dama il pezzo tagliato. Lei doveva prenderlo con le dita portandoselo alla bocca: le regole dicevano di adoperare solo tre dita e di essere “leggiadre”. Comparvero anche le prime salviette individuali, poste di fianco al piatto e piegate in forme eleganti: venivano usate dopo il lavaggio delle mani e cambiate spesso.
Nei libri di cucina pubblicati in questo periodo ci sono più di 1500 ricette, ma poterle realizzare ai giorni nostri è quasi impossibile. Sicuramente per la mancanza di alcuni alimenti come lo storione, il pavone e la gru, ma principalmente perché sono cambiati anche i gusti. All’epoca si faceva largo uso delle interiora degli animali come cuore polmoni rognoni, fegato, trippa, milza da animelle, insieme ad occhi di vitello e testicoli di toro. Ed erano comuni abbinamenti oggi impensabili, come il miele con il pesce. Inoltre, era consuetudine distribuire abbondante zucchero e cannella su quasi tutti i piatti a fine cottura.
Il banchetto più famoso del XVI secolo si tenne a Ferrara il 24 gennaio 1529, organizzato dal duca di Ferrara Ercole I per festeggiare il matrimonio di suo figlio Alfonso I con Renata, orfana di Luigi XII. Se ufficialmente era il matrimonio il motivo dei festeggiamenti, Ercole I l’aveva organizzato per avere l’occasione di invitare l’ambasciatore di Spagna a Ferrara e mostrare quanto importanza la sua casata dava al regno iberico; oltre a sfoggiare la ricchezza del suo Ducato e, nel contempo, entrare in contatto con uno stato che, con tutto l’oro in arrivo dalle Nuove Indie, stava diventando ricchissimo.
Cristoforo di Messisbugo preparò i festeggiamenti progettando un menù di 99 portate e fu considerato il banchetto più grandioso e scenografico di quel tempo, per il livello degli spettacoli e per la dettagliata descrizione pubblicata in un libro.
La tavola era lunga quasi 40 metri, ricoperta da tre tovaglie e illuminata da 40 candelabri appesi al soffitto. Vi sedevano cento persone, cinquanta da un lato e cinquanta dall’altro; in posizione superiore il tavolo dei Signori e i tre ospiti più importanti. Vennero serviti, come antipasti, centinaia di piccoli piatti con una grande varietà di stuzzichini: insalate di capperi, tartufi, uva passa, cime di radicchio, indivia, acciughe, ravanelli intagliati, formaggi teneri, lingua di manzo, polpette di cinghiale, mortadelle, anguilla a pezzi, orate in carpione. Dopo gli antipasti il primo servizio offriva capponi ricoperti da biancomangiare, quaglie, fegati di capponi arrosto, fagiani arrosto con arance, salsa di cipolla, sfogliata di pinoli, milze di pesce, code di trota in carpione, dentice in brodetto. Il secondo servizio prevedeva uccelli arrosto, salsicce in padella, pasticcio di piccioni, carpioni fritti, rombi, code di gamberi fritte e cosparse di aceto, pasticcini di uova di trota. Nel terzo servizio fu la volta di pernici arrosto, conigli, tortore, salsicce gialle, capponi ripieni, salami in brodo, piccioni, anguille giganti arrosto con zucchero e cannella, pesci fritti con salsa dolce, trota in brodetto, lamprede arrosto, tortelli di castagne. Nel quarto servizio vennero serviti capretti arrosto, capponi in crosta, piccioni arrosto, lucci al sale, trote al vino, rombi e sardoni fritti, tortelle di fagioli. Nel quinto servizio ancora piccioni, pernici, lombo di manzo, porchetta, pesci vari, anguille fritte, tortelle di frumento. Nel sesto servizio gli ospiti assaggiarono vitello, pavone, capriolo, cinghiale, carpioni ed orate. Nel settimo servizio furono graditi un castello di struffoli dolci, polpa di fagiani, pernici e capponi in gelatina, lucci e spigole in gelatina, finocchi, olive di Spagna, uva fresca, formaggio Parmigiano, cardi con pepe e sale. Come ultimo servizio si servirono ostriche (22 a testa), arance con pepe, pastelli di ostriche, dolci vari. Infine si riempì la tavola di dolciumi. Alle 23 fu servita una colazione leggera: zucca, lattuga, cocomero, mandorle, pere ed altra frutta sciroppata, prugne, gelatina di mele cotogne, uva fresca, zibibbo.

Per chiudere, la ricetta tratta dal testo di Rossetti “Dello Scalco”, dove viene descritto un banchetto, organizzato in due e cene e un pranzo, di sole uova. Nel primo servizio della prima cena furono servite Uova cotte alla francese, come di seguito descritte.

Ingredienti:
2 uova, 4 cucchiai di crema di latte, una noce di burro, sale, pepe
Cuocere le uova in un recipiente di terracotta insieme a panna e burro fino a quando l’albume non si sia rappreso.

Fonte: Pierluigi Ridolfi, Rinascimento a Tavola, Donzelli Editore

Partecipano come contributors:

Sara Sguerri, Crostata di Ricotta con Pecorino, Pere e Noci: Papa Pio II e il Cacio di Pienza
Lucia Melchiorre, Sartù di riso
Antonella Eberlin, torta di riso del Moro

Un commento

  1. Fantastico contributo. Solo a leggere le portate del sontuoso pranzo, mi sento “appesantita” un pochino……pero’ che splendore e che tripudio di sontuosità e ricchezza si vivevano a quei tempi! Brava Anto

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito è protetto da reCAPTCHA, ed è soggetto alla Privacy Policy e ai Termini di utilizzo di Google.

Associazione Italiana Food Blogger

Studiare, degustare, cucinare, scrivere, fotografare, condividere idee e conoscenze per raccontare ciò che altri non raccontano!

Associati