Le frittelle

ph. Paola Sartori

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Quanti di noi, da piccoli, hanno aspettato il Carnevale?
Non solo per il tripudio di colori e allegria, ma anche per mangiare quelle soffici palline preparate con amore dalle mamme o dalle nonne, magari ripiene di crema o con mele e uvetta nell’impasto.
Veder cadere gocce di impasto nell’olio bollente era una gioia per gli occhi e per il palato.
E lo è ancora …
Le frittelle hanno un’origine antichissima. Già nell’antica Roma appaiono le Frictilia nei testi del tempo. Il 17 marzo si celebravano le Liberalia, che marcavano il passaggio dei giovani adolescenti romani nell’età adulta. La parte bucolica della festa prevedeva danze e canti e festeggiamernti propizi con vino e focaccelle fritte mielate di frumento.
Si diffusero poi in tutta l’area mediterranea, ma il loro maggior successo venne però raggiunto a Venezia, nel corso del XVII secolo. Lo stesso nome “frittella” deriva dai “fritoleri” ovvero coloro che preparavano “ea frioia”, con un’arte che si tramandava da padre in figlio. Un’abilità di tecnica e maestria tanto importante da diventare protagonista della costituzione di un’associazione, simile ad una corporazione, nel 1619, con sede nella Chiesa della Maddalena, nei pressi della Ca’ d’Oro, che rimase attiva fino al XIX secolo.
Non si sa se la loro ricetta fosse quella contenuta in un antico manoscritto conservato a Roma, nella Biblioteca Nazionale Casanatense, risalente al 1300 e che costituisce la versione più antica finora mai trovata. Ma è certo che, qualsiasi cosa friggessero, questa dovesse essere di una bontà irresistibile, visto che i fritoleri ottennero dalla Serenissima la concessione di friggere nei campi, quel “boccon da poareti e da siori” capace di mettere tutti d’accordo. E’ anche per questo che durante il periodo della Repubblica Serenssima, le frittelle vennero elette il dolce nazionale d’eccellenza: tant’è vero che anche due grandi nomi della letteratura veneta citarono il mestiere nelle proprie opere. Pietro Longhi ci lascia un dipinto rappresentante “La venditrice di frittole”, dove un nobiluomo chiede alla venditrice di frittelle, posta a sinistra del quadro, tre frittelle da offrire alle giovani donne accanto a lui. La venditrice, posta in ginocchio, è intenta ad infilzarne quattro su uno spiedo, prendendole dal cesto ricolmo, accanto alle sue gambe. L’atmosfera è vivace, tipica del carnevale e richiama una delle opere di Carlo Goldoni del 1755, “Il Campiello”, in cui uno dei personaggi è Orsola, una fritolera.

I fritoleri erano facilmente riconoscibili: indossavano un grembiule bianco, tenevano in mano un vasetto con dei piccoli buchi per spargere lo zucchero sulle frittelle appena fatte e si muovevano con gesti teatrali per attirare potenziali clienti grazie al profumo dei dolci caldi. Preparavano le frittelle impastandole su grandi tavole in legno, poi le friggevano in olio o burro e concludevano esponendo le frittelle zuccherate su piatti di peltro o stagno. Fieri del proprio lavoro e della qualità degli ingredienti utilizzati, questi artigiani esponevano la farina, le uova, le mandorle, i pinoli ed il cedro candito, sul proprio tavolo da lavoro. Le frittelle venivano servite su uno spiedo per permettere alla gente di mangiarle ancora calde, senza scottarsi le dita, come testimonia anche Pietro Longhi.

I fritoleri, inoltre, sono stati tra i primi ad utilizzare in Europa lo zucchero, al posto del miele, grazie alle rotte commerciali nel Mediterraneo orientale. Era considerato ancora un ingrediente da ricchi, difficile da reperire, ma la Repubblica Serenissima riuscì anche a produrlo nelle proprie terre a Cipro, dove la canna da zucchero cresceva senza problema alcuno, e anche a Candia (l’attuale Creta), dove veniva prodotto lo zucchero detto “candioto”, ovvero quello usato anche per produrre i “candii” (canditi).

Anche se la “fritoa” rimane quella veneziana, della dimensione di circa 4 cm di diametro e vuota, in Veneto e in tutta Italia, si diffusero anche altre ricette: di mele o di riso, tonde ripiene di crema o con la frutta, ad anello o a nastri, Castagnole e Zeppole, per fare due esempi.
Le Castagnole (o favette) sono diffuse in gran parte delle regioni italiane: sono frittelle tonde, piccole e compatte, possono essere vuote o ripiene di crema pasticcera o panna, tradizionalmente spolverate di zucchero a velo, talvolta con miele o alchermes. D’abitudine vengono fritte, ma se ne possono trovare anche cotte al forno.
Le Zeppole sono probabilmente il dolce più antico di Napoli e il primo che possa vantarsi dell’appellativo di street food. Venivano infatti vendute per strada e nascono da una ricetta molto semplice, che mescolava farina, sale, acqua e vino caldi per ottenere un impasto morbido e liscio. Se ne ricavavano delle piccole ciambelle fritte in olio caldo, poi spolverate con zucchero e cannella (e ancor prima col miele).
Più moderna è la zeppola di San Giuseppe, che arriva a fine ‘800. Cambia l’impasto, che si arricchisce di uova e burro, e la sua lavorazione, che assomiglia a quella della pasta choux. Ma mantiene la caratteristica frittura in olio bollente. Si abbellisce con una farcitura di crema pasticcera e guarnita con amarene sciroppate.

La notte di San Giuseppe un po’ in tutta Italia si è soliti festeggiare con enormi falò che vengono accesi nelle piazze e nelle vie principali, retaggio di antichi riti pagani che decretavano la fine dell’inverno (e quindi la fine di periodi di magra, malattia, disgrazie) e davano il benvenuto alla nuova stagione propiziatoria (il 21 marzo è il primo giorno di primavera). In Lazio, a Itri, famosa per essere la patria di Fra Diavolo, mentre si festeggia si mangiano le seppele (zeppole).
E le frittelle di san Giuseppe non si mangiano solo a Itri: se a Napoli diventano zeppole, a Roma si chiamano bigné. In zona Trionfale, a Roma, c’è ancora la chiesa dedicata a questo Santo, e pare che le frittelle della zona fossero così buone da essere considerate quasi miracolose, come riportano questi versi romaneschi:

Là da Borgo uno stroppio se partì,
un sordo e muto ce si accompagnò
pe magnà le frittelle insina qui.
Le prese er muto e subbito parlò,
quel che era sordo ce sentì,
e quello che era stroppio camminò.

E le mamme del tempo calmavano i loro bimbi con questa filastrocca, che raccontava la vera storia delle frittelle:

San Giuseppe faceva il falegname
e benchè fusse artista di talento
non se poteva mai levà la fame
pe’ cquanto lavorasse e stasse attento.
Un giorno se n’annò in Egitto co’ Maria,
e dopo un par de giorni ch’arivorno
aprì de botto ‘na friggitoria.
Co’ le frittelle fece gran affari.
E apposta in tutta Roma, in de sto giorno
sortono fora tanti frittellari.

Io sono andata sul sicuro ed ho scelto la ricetta di un mio compaesano, Iginio Massari.

Frittelle con mele e uvetta

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Ingredienti:

300 g di Marsala
5 g di sale
200 g di burro
280 g di farina 0
400 g di uova
300 g di mele a cubetti
200 g di uvetta sultanina
1 l di olio di arachidi

Procedimento

In una casseruola portate ad ebollizione il Marsala con il sale ed il burro.
Togliete il tegame dal fuoco ed incorporate la farina setacciata e mescolate con energia l’impasto, utilizzando un cucchiaio di legno, per evitare la formazione dei grumi.
Rimettete il tegame sul fornello e quando l’impasto formerà una patina sulle pareti, toglietelo dal fuoco e versatelo in una ciotola.
Unite le uova, una alla volta, solo quando la precedente sarà completamente assorbita. Potete utilizzare il mestolo di legno o la planetaria.
Una volta ottenuto un impasto omogeneo e morbido, incorporate le mele e l’uvetta, quindi trasferite il tutto in una tasca da pasticceria.
Portate l’olio di arachidi alla temperatura di 176° e versate piccole porzioni d’impasto, tagliandole con un coltello, nell’olio caldo.
Friggete le frittelle fino a quando avranno raggiunto un colore dorato, quasi nocciola.
Scolate su carta assorbente. Spolverate con zucchero a velo e servite.

Fonti:
Gustosamente- Ea Fritoa
MUVE Fondazione Musei Civici Venezia
Wikipedia – Frittella
Pignataro L., La pasticceria napoletana, ed. Newton Compton
Cattabiani A., Lunario, ed. Mondadori

Partecipano come contributors:

Sara Sguerri, Frittelle con Mele, Uvetta e Pinoli
Valentina de Felice, Castagnole
Paola Sartori: frittelle venete 
Erica Zampieri, fritole venessiane
Stefania Pigoni, frittelle di mele e cannella
Claudia Zedda, Koendi
Mariangela D’Amico, Frittelle di patate all’arancia
Alessandra Piazza La cicerchiata 
Mariangela D’Amico Scroccafusi marchigiani
Aurelia Bartoletti, Le Frittelle Venete di Luigi Biasetto
Cinzia Martellini Cortella, Fritole Veneziane

5 commenti

  1. Le fritolere sono stati sostituiti dai carretti di street food che in fondo non si sono inventati nulla perchè ci sono sempre stati! Interessantissimo articolo!

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