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Le Spezie, il profumo intenso della Natura
Venezia, l’ombelico del mondo

Amare la cucina significa amare profondamente anche la storia, ne convenite? In un mondo dalla memoria alla Dory, l’amica di Marlin e di Nemo, si arriva a celebrare i menù degli anni Ottanta che, pur essendo stati gustati nel secolo scorso, ben poco hanno da raccontare. Ecco allora la necessità di ricercare, come novelli archeologi del gusto, tra gli atti e gli scritti di chi ha costruito il mondo in cui viviamo. Mondo che si è evoluto grazie alla sete di conoscere, di affrontare l’ignoto, di andare al di là di miti e leggende. Entrerà quindi nelle nostre cucine anche la geografia che, nel terzo millennio, si presenta anche sotto forma di contaminazione. E come per il Cibo di Strada anche oggi vi prego di entrare nella macchina del tempo che per la settimana di approfondimento sulle Spezie prende la forma di una Galea, l’agile imbarcazione veneziana costruita all’Arsenale, nei cui stabilimenti entravano assi di legno e matasse di canapa e dove abili artigiani trasformavano, in una spettacolare catena di montaggio ante litteram, materia prima in manufatti preziosi. Menti vivaci e mani gentili, come quelle delle donne addette alle “corderie”, le resistentissime funi vendute a metro e che tutte le marinerie del mondo acquistavano dalla Serenissima; mentre in Europa le donne venivano allegramente arse vive, a Venezia erano responsabili di produzioni di qualità e ricevevano regolare compenso, oltre ad una sorta di copertura assicurativa e sanitaria, tanto prezioso era il loro lavoro.
Forza, tutti a bordo e, se soffrite di mal di mare, non temete! Di zenzero, ne abbiamo.

C’è voluto molto tempo prima che si imparasse a caratterizzare i cibi con le spezie più adatte; dai tempi antichi a oggi, ogni cultura ha sviluppato una cucina propria in cui si sentono quei particolari aromi che, anche a occhi chiusi, ci indicano se si tratta di cucina cinese o indiana, nordeuropea o nordafricana, giapponese o thailandese e tutto ciò è avvenuto a differenza di qualsiasi altro ingrediente, indipendentemente dalla produzione o reperibilità.
Il termine spezie, infatti, deriva dal latino species, che indica una merce speciale, di valore, che si differenzia dalla merce ordinaria; sostanze nobili, quindi, riservate ai potenti, avvolte da un certo mistero e a cui, talvolta, venivano attribuite perfino virtù magiche in quanto si ritiene che le spezie fossero elemento essenziale nei rituali sacri di molte società antiche.

Fin dai tempi più remoti i mercanti indiani e arabi cominciarono a trasportarle con carovane dall’India al Golfo Persico, attraverso il mar Rosso fino all’Egitto e al Medio Oriente. Le spezie, merci costose ed esotiche erano anche usate per la preparazione di cosmetici, pozioni amorose, magici elisir e veleni.
Il greco Ippocrate (460-370 a.C.), considerato il padre della medicina moderna, illustra nei suoi scritti l’importanza delle spezie e delle loro virtù alimentari e medicamentose; gli antichi romani usavano molto pepe, oltre a zafferano, zenzero, chiodi di garofano e cardamomo ed usavano profumare i palcoscenici dei teatri con zafferano, chiodi di garofano e cumino.
Dopo la caduta dell’Impero Romano, nel 476, le spezie quasi scomparvero dall’Europa, anche se i mercanti bizantini continuavano a portarne piccole quantità nel Nord Atlantico. Un documento dell’archivio di Stato di Venezia cita la donazione di un sacco di pepe e incenso da parte di un ricco veneziano al monastero di Sant’Ilario. Si tratta comunque di un avvenimento eccezionale in quanto durante tutto il medioevo il commercio delle spezie fu minimo: la povertà infatti era così diffusa che la priorità assoluta era procurarsi qualche cosa da mangiare e la domanda di articoli di lusso come le spezie era praticamente inesistente.

Furono le Crociate, verso la fine del XI secolo, che inventarono il turismo religioso di massa, portando un flusso importante di persone che andavano a combattere i Musulmani per riprendere il controllo dei luoghi sacri. Grazie alla sua posizione geografica Venezia seppe sfruttare questo fervore religioso per il proprio tornaconto economico: era divenuta infatti il punto di imbarco delle migliaia di pellegrini che provenivano da tutta Europa e che cercavano un passaggio a pagamento sulle galee veneziane per l’ultimo tratto di viaggio.

Le imbarcazioni partivano cariche di giovani ardimentosi che spesso non tornavano, liberando così le stive delle navi che rientravano cariche di tonnellate di spezie preziose e di sete. La Quarta Crociata fu particolarmente significativa: Venezia convinse gli altri partecipanti a compiere una deviazione a Costantinopoli, che fu conquistata e saccheggiata, aprendo così la strada alle navi veneziane che poterono spingersi fino al mar Nero, accessibile in precedenza solo alle navi bizantine, e occasionalmente a quelle genovesi. In seguito le navi veneziane si guadagnarono l’accesso ad altre rotte e i veneziani divennero i mediatori del sistema straordinariamente complesso del commercio delle spezie.

L’utilizzo delle Galee o Galeazze, imbarcazioni leggere e mosse da vele e da rematori mercenari di professione (non schiavi, la cui retribuzione era composta da una parte variabile legata alla buona riuscita della spedizione), consentì quindi alla Serenissima di divenire una potenza europea; l’invenzione della bussola magnetica, avvenuta nel 1250, che rese possibile la navigazione anche durante i mesi invernali, quando le stelle potevano essere rese non consultabili dalle avverse condizioni meteorologiche, aumentò enormemente il flusso dei traffici e le quantità delle merci trasportate. Si calcola che per tutto il XV secolo Venezia commercializzasse ben 2,5 tonnellate di pepe e di zenzero e altrettante tonnellate di alte spezie miste che partivano dal mercato di Rialto: durante il Rinascimento era il principale emporio di spezie e probabilmente anche la più importante piazza commerciale del mondo. Dalla laguna, quindi, fino nelle dispense di massaie veneziane e di cuochi prestigiosi, negli alambicchi di sapienti spezieri, nelle tavole delle corti europee.

I venditori di spezie fondarono nel 1258 la Scuola degli Spezieri, suddivisa in due tipologie diverse di venditori: gli Spezieri da fino ovvero i moderni farmacisti e gli Spezieri da grosso che vendevano spezie per uso non officinale. Erano sottoposti a controlli molto severi per proteggere il popolo da ciarlatani e dalle sostanze pericolose o tossiche. Il commercio delle spezie rivoluzionò la pratica medica in quanto aumentò i prodotti disponibili per uso curativo che prima erano esclusivamente confezionati con erbe e radici. Gli spezieri veneziani erano conosciuti in tutta Europa per la loro conoscenza ed abilità in buona parte acquisita direttamente nel Medio Oriente da esperti spezieri musulmani.

Grazie alla circolazione delle merci in Europa nasce la moda delle spezie, una vera e propria passione in-controllata per queste sostanze, soprattutto nei paesi del Nord. E’ chiaro comunque che solo una esigua minoranza poteva permettersi questo lusso, per cui le spezie divennero una sorta di status symbol, una delle cose che indicavano e distinguevano la posizione sociale delle persone mentre i poveri si accontentavano delle erbe aromatiche che coltivavano loro stessi, come rosmarino, prezzemolo, salvia mentre i ricchi si inebriavano con i sentori dei chiodi di garofano, zafferano e il preziosissimo pepe.

Nel Cinquecento la cucina dei ricchi era caratterizzata da sapori molti forti, pronunciati e speziati: i gusti semplici e delicati non erano sicuramente apprezzati. Visto l’uso che se ne faceva delle spezie è difficile dire se il gusto dell’epoca era frutto di scelta: le lunghe cotture infatti e la necessità di coprire il gusto della carne rancida erano sicuramente un valido motivo per consumare cibi speziati. Le porzioni poi erano davvero abbondanti ed i principi attivi di zenzero e cardamomo aiutavano la digestione. Inoltre, prima della scoperta del nuovo mondo e delle primizie che i traffici oceanici consentirono di degustare, la varietà dei cibi a disposizione era davvero limitata e l’uso delle spezie consentiva di dare gusti diversi allo stesso alimento, rendendolo sicuramente più gradevole. Si racconta anche che durante il Medioevo, e fino alla cosiddetta “piccola era glaciale” della fine del Quattrocento, il clima europeo era probabilmente abbastanza caldo da rendere allettanti i piatti speziati, per motivi biochimici e psicologici: le spezie infatti favoriscono la traspirazione che evaporando lascia sulla pelle un gradevole profumato effetto rinfrescante.

Lo zucchero, la spezia più dolce

Se lo zucchero non esistesse bisognerebbe proprio inventarlo. Certo, fino alla scoperta in India della canna da zucchero (a proposito, sapete che la parola veneziana “sucaro” ha la medesima radice di “sakhara” che in sanscrito vuol dire sabbia o zucchero?) qualcosina si poteva fare con il miele o con la frutta, unici riferimenti dolci che la natura aveva offerto fino a quando l’esercito di Alessandro Magno scoprì nel 324 a.C. la mitica “canna di Persia”.

Dovete sapere che tutte le pratiche mediche che furono seguite fino al tardo medioevo si basavano sugli studi, e sulle convinzioni, di due scienziati antichi: Ippocrate (460 a. C. – 370 a. C. circa) e Galeno (130 e il 210 d.C) rispettati medici e filosofi. Essi ritenevano che la buona salute di una persona dipendesse dal buon equilibrio fra i quattro umori presenti nel corpo: sangue, flegma, bile nera e bile gialla. Lo squilibrio umorale, anche se minimo, si manifestava nel fatto che il corpo diventava troppo secco o troppo umido, oppure troppo freddo o caldo ed andava ad incidere in maniera nefasta sulla salute fisica e mentale.
Rifacendosi alle teoria “atomica” di Anassimene prima ed Anassimandro poi si riteneva che la materia organica che componeva il mondo allora conosciuto contenesse gli stessi umori in proporzioni variabili – corrispondenti ai quattro elementi: aria, acqua, terra e fuoco – e quindi ciascun tipo di alimento aveva delle caratteristiche umorali proprie. Diventava quindi fondamentale seguire un determinato stile di vita composto da corretta alimentazione, oltre ad un giusto sonno ed adeguato movimento fisico, per fare in modo che le corrette proporzioni degli umori non si alterassero. Da qui ad affermare che “Sia il cibo la tua medicina” il passo fu davvero breve e stabilire che gli alimenti dolci e speziati rappresentavano la summa degli umori fondamentali, ovvero il calore e l’umidità, fu la logica conseguenza.
Si narra che lo scienziato persiano Abu Bakr Mohammad Al-Razi (865 – 930 d.C.), originario di Ray, un’antica città nei pressi di Teheran, somministrava le medicine ai pazienti più piccoli ricoprendo il “principio attivo” (ovvero la spezia o la mistura più adatta) con un rivestimento ottenuto dalla lavorazione dello zucchero. Da qui alla nascita del confetto il passo fu breve, ma questa è un’altra storia.

Gli esperti di medicina sapevano che ogni tipo di alimento combinava due qualità umorali fondamentali – il calore e l’umidità – e si trovava nel punto di intersezione di due assi aventi ciascuno nove posizioni, passando dal caldo al freddo e dal secco all’umido.
Ecco allora che somministrare una sostanza zuccherina che ricopriva un medicamento, azione postuma necessaria a correggere uno squilibrio corporeo, fu sostituita dalla somministrazione preventiva, come indicato anche da Giovanvettorio Soderini (Firenze 1526-1597) nel suo Trattato della cultura degli orti e giardini Cuopronsi i coriandoli di zucchero per confetti, rompono le ventosità del ventre mangiati dopo pasto, e rendono buon odore e fanno buon fiato masticati in bocca.”
Lo zucchero quindi, al pari di pepe e zafferano, era una spezia a tutti gli effetti, ugualmente preziosa ed ugualmente necessaria.

Lo zucchero è una parentesi rosa tra le parole amore e strategia

I primi a raffinare e purificare la canna da zucchero furono gli Egizi e gli Arabi lo introdussero in Europa con le dominazioni spagnole dell’VIII secolo ma chi lo fece conoscere al mondo furono senza ombra di dubbio i mercanti veneziani, che furono anche grandi strateghi.
La famiglia Cornaro a Venezia era una famiglia conosciuta e temuta. Ricchissimi, grazie ad un’enorme piantagione di canne da zucchero a Cipro, nel 1464 ricevettero una richiesta d’aiuto dall’allora re Giacomo II di Lusignano, impegnato in una guerra contro i genovesi, eterni rivali della Serenissima. I Cornaro offrirono al re importanti finanziamenti ed anche una sposa, Caterina. Quando la donna rimase vedova e senza figli il governo veneziano, con un’abile mossa diplomatica, l’adottò ufficialmente, facendola divenire figlia della Serenissima. La convinsero ad abdicare in favore di Venezia e Cipro divenne un possedimento veneziano. Accolsero in città Caterina Cornaro come se fosse ancora una regina e le donarono la splendida città di Asolo (vi consiglio di programmare una visita in tutte le stagioni dell’anno, partendo da Treviso e cogliendo l’occasione di visitare Castelfranco, Montebelluna e Valdobbiadene), dove lei visse fino alla morte con la sua corte prestigiosa.

Il pepe, la spezia più preziosa

C’è una top ten delle spezie? Certo! E la prima posizione, per migliaia d’anni, fu tenuta saldamente dal pepe.
L’erudito Isidoro di Siviglia, autore di un’enciclopedia etimologica, nel VII secolo scrisse che il pepe veniva dall’India, “sulle pendici orientali del Caucaso. Le sue foglie sono simili a quelle del ginepro. le foreste formate da tela albero sono custodie da serpenti, però gli abitanti della regione, quando il pepe è maturo, lo incendiano mettendo inuma i serpenti con il fuoco. Il pepe, quindi, è reso nero dalle fiamme, essendo per natura bianco. Il suo frutto si presenta con differente aspetto: ancora acerbo è chiamato pepe lungo; quanto non è corrotto dal fuco è detto pepe bianco; quando, infine, la sua superficie diviene rugose e ruvida, pare colore e nome dal calore del fuoco: Il pepe, se leggero è vecchio, se pesante, invece, novello. Ci si deve, però guardare dalla frode dei mercanti, soliti bagnare il pepe più vecchio e mescolarlo con spuma d’argento o piombo per dargli peso maggiore.”

Si tratta di una spezia conosciuta fin dalla notte dei tempi, considerata estremamente preziosa anche per la difficoltà del raccolto e da sempre avvolta da un’aura magica tanto da essere usata, come l’incenso, nei riti religiosi e nelle pratiche di mummificazione: un grano di pepe nero fu trovato nella narice della mummia del faraone Ramesse II, morto nel 1212 a.C.
Ma il pepe, come per chiunque abbia troppo successo, non fu sempre accolto a dispense aperte. Ne “Il tesoro della sanità” scritto nel 1586 dal medico Castore Durante da Gualdo, il pepe viene catalogato come frutto, inserito tra la pera e la noce moscata, e si sottolinea che il “pepe bianco nasce in una pianta e il nero in un’altra, stessa differenza che c’è tra la vite bianca e quella nera e che, per la teoria degli umori, essendo caldo e secco, nuocerà alle persone che sono di costituzione calda e che provengono da paesi caldi in quanto infiammerà il sangue di chi lo assume”.
Anche Bartolomeo Platina, nel suo “De onesta voluptate e valetitudine” pubblicato nel 1474, cataloga il pepe inserendolo nel libro terzo dell’opera: ne narra della provenienza, lo paragona al mirto, mette in guardia sui suoi effetti ma lo assolve in parte in quanto è vero che riscalderà gli animi ma sicuramente “dissipa e scaccia le ventosità dell’intestino ed è diuretico”. E naturalmente fini sotto la lente d’ingrandimento dei fustigatori della società che consideravano le spezie fonte di malvagità in quanto istigatrici di avidità. Ma non l’avidità della ricchezza, come nel caso dell’oro, ma l’avidità del consumo di un cibo che avrebbe portato “alla lussuria, alla decadenza morale ed alla ridicola dissipazione delle proprie ricchezze per poter esibire beni puramente voluttuari”. Il poeta tedesco Ulrich von Hutten, ai tempi della Riforma infatti, tuonò contro la moda di accapararsi “i ninnoli inconsistenti come quei maledetti pepe, zenzero, cannella, zafferano, chiodi di garofano”.

Ciò nonostante, da tempo immemore, è la domanda che regola l’offerta e proprio per questo il pepe fu oggetto di investimenti importanti da parte dei mercanti di tutto il mondo allora conosciuto: quando Alessandro il Grande conquistò l’Asia nel IV secolo a.C. e furono aperte vere e proprie strade carovaniere, il pepe arrivò in Occidente. I Romani, nonostante il costo elevato, ne consumavano moltissimo. Plinio il vecchio ne “La Storia naturale” racconta che il pepe bianco costava 18 denari e il pepe nero soltanto 9 denari e commentava “non vi è anno in cui l’India non dreni 50 milioni di sesterzi all’Impero romano”. Quindi bisognava che i mercati ne fossero sempre provvisti.

Dopo la caduta dell’Impero Romano furono gli Arabi che mantennero il monopolio della commercializzazione e la comparsa della Serenissima sbaragliò le carte in tavola: essa mantenne saldo il timone dei traffici per secoli fino alla scoperta da parte di Vasco de Gama della rotta che, circumnavigando l’Africa, portava in India.
Gli effetti non furono immediati sull’egemonia veneziana nel commercio delle spezie, perché i portoghesi non riuscirono a creare un monopolio analogo a quello della Serenissima; quando però il re spagnolo Filippo II reclamò quelle terre nel 1580, assumendo il controllo anche sulle attività commerciali, che nel Seicento gli fu tolto dagli Olandesi e dagli Inglesi, Venezia perse a poco a poco i propri possedimenti nel Mediterraneo orientale e i mercanti veneziani che avevano sempre guardato a Est cedettero il passo alle nuove generazioni che invece dedicarono le loro energie allo sviluppo di nuove imprese sulla terraferma, a Ovest.
Iniziò allora un lento decadimento della città lagunare che le recenti cronache estive continuano, purtroppo, a testimoniare, come fece il vicentino Antonio Pigafetta, che nel 1524 diede alle stampe, a Venezia, il suo celebre “Diario”, testimonianza scritta del primo viaggio di circumnavigazione della terra guidato da Ferdinando Magellano.
Nel panorama commerciale fecero la loro comparsa, dopo le corti spagnole e portoghesi, anche quelle olandesi ed inglesi, e la Compagnia delle Indie divenne il centro del mondo e dei commerci allora conosciuti; la scoperta delle Isole Molucche, passate di mano dagli arabi ai portoghesi, dagli olandesi ai cinesi fino ai giapponesi durante l’ultima guerra mondiale, testimoniò l’apertura dell’ultimo scrigno custode delle preziose spezie, oramai formato da sbiadite terre una volta incontaminate e dal ricordo dello sterminio delle popolazioni autoctone.

Pillole pepate

• I paesi produttori, parte l’India, sono anche quelli che consumano meno pepe: in America 95,8 g/anno per persona, in Europa 57,96 e in Asia solo 35,43.
• Tra le migliori qualità di pepe troviamo il Tellicherry che viene coltivato in India nello stato del Kerala; il pepe di Sarawak (Malesia); dal Camerun arriva invece il pepe di Penja, forse la varietà più pregiata.
• A causa dell’alto costo il pepe nel corso dei secoli è sempre stato soggetto a sofisticazioni, soprattutto se in polvere. Oggigiorno vengono usate spezie di minor valore come il pepe lungo o frutti del kubaba.
• Frutti e bacche di altre piante per comodità vengono considerati pepi, alcuni contengono Piperina e ap-partengono alla stessa famiglia botanica come il pepe Cubebe, il Pepe Lungo, il Pepe Voatsiperifery.
• Il mercato mondiale del pepe è a Kochi in India e Attualmente invece, il bianco di Muntok è il pepe di riferimento per la borsa valori delle spezie di New York.
• Il pepe rappresenta, in valore monetario, il 20% del commercio di spezie nel mondo (2002). Il prezzo del pepe è volatile e fluttua molto di anno in anno.
• Per avere sempre a portata di mano gli aromi più utili o per decorare un angolo disadorno della cucina, procuratevi uno spago robusto, dei peperoncini, delle stecche di cannella, delle foglie di alloro e infilateli con lo spago alternandoli a elementi decorativi secchi, naturali, come le fette d’arancia essiccata o i melograni disidratati.

Il medico nel piatto

Le spezie sono certamente il segreto per tanti gustosi piatti in cucina: arricchiscono i sapori dei cibi, deliziano il palato sia con note piccanti che con gusti più dolci, appagano la vista con i loro sgargianti colori.
Le spezie, tuttavia, hanno anche dei potenziali benefici sulla salute: con il loro carico di antiossidanti e anti-infiammatori aiutano il sistema immunitario e possono agevolare il mantenimento del peso forma, intervenendo sul metabolismo.

Coriandolo: i semi di coriandolo sembra abbiano effetti unici sulla digestione e, recentemente, sono diventati una delle strategie di miglior successo per alleviare i sintomi della sindrome da intestino irritabile;
Chiodi di garofano: noti per le loro capacità antiossidanti, i chiodi di garofano sono anche usati per il loro lieve effetto anestetico, soprattutto in caso di carie o affini. Possono inoltre combattere alcuni batteri e funghi.
Curcuma: la curcuma contiene un antiossidante che, nel lungo periodo, pare essere in grado di ridurre il rischio di soffrire di patologie cardiache. Oltre a essere un noto anti-infiammatorio, dei recenti studi hanno rilevato anche una non ben nota capacità di limitare la crescita di alcune cellule tumorali ma solo se abbinato al principio attivo del pepe;
Cardamomo: contiene il limonene, un fortissimo antiossidante. Inoltre, diminuisce la pressione arteriosa e aiuta la digestione;
Cannella: uno studio svedese ha dimostrato come la cannella possa essere utile nei casi di diabete di tipo 2, per una naturale capacità del condimento di regolare la quantità di zuccheri disciolti nel sangue;
Peperoncino: le proprietà benefiche del peperoncino, con il suo carico piccante, sono note sin da tempo antico. Ha effetti fortemente antibatterici, aumenta e facilita il metabolismo, è fonte immediata di energia e può essere utilizzato come coadiuvante nelle allergie della pelle, riducendo bruciori e pruriti;
Zenzero: dalle note proprietà antiossidanti e anti-infiammatorie, lo zenzero è ottimo per agevolare la di-gestione lenta. Inoltre, la radice pare che abbia degli effetti di contrasto per la nausea o i giramenti di testa da movimento.

Siamo arrivati! Il nostro viaggio in realtà è appena iniziato in quanto usare le spezie in cucina significa amarle profondamente, liberarsi dagli schemi mentali del dolce-salato-piccante-agresto e parlare con loro: annusarle, strofinarle, scaldarle, assaggiarle e poi lasciare che ci raccontino da dove vengono e dove vogliono andare. Significa rispettare il luogo in cui vengono prodotte e la fatica di chi le ha fatte giungere fino a noi. Significa acquistare piccolissime quantità, mai più di 20 grammi, e conservarle al buio e magari sottovuoto e preparare da noi le miscele che caratterizzano le cucine del mondo e che troviamo banalizzate sugli scaffali: Cinque Spezie, Ras al-Hanut, Curry verde o rosso, Garam Masala, Harissa, Creola, Habarat, Speculos e chi più ne ha più ne metta.
Vi lascio con una coccola, un antico rito energetico e anarchico in quanto potete preparalo con il pepe e con il miele che preferite e la cui assunzione non prevede posate:

“Versa sul palmo della mano sinistra 3 grani di pepe nero polverizzati, schiacciandoli prima in un panno bianco con un mortaio pulito. Uniscili ad un cucchiaino di miele puro e amalgama dolcemente con l’indice della mano destra per un minuto preciso, in quanto è il tempo che ci vuole perché il miscuglio raggiunga la temperatura corporea di chi lo prepara. Lecca l’impasto direttamente dalla mano sinistra, poco alla volta, lasciando sciogliere in bocca e sotto la lingua prima di ingoiarlo. Questa cura è considerata una risposta completa al fabbisogno di energia.”

Bibliografia:
Sally Spector, Venezia ed i suoi sapori
AAVV, Spezie, Slow Food Editore
Paul Freedman, Il gusto delle spezie nel Medioevo
Giampiero Rorato, Spezie, vino e pane nella Serenissima
Bartolomeo Platina, Il piacere onesto e la buona salute
Castore Durnate da Gualdo, Il tesoro della sanità
Niki Segnit, La grammatica dei sapori
Marco Ceriani, Il potere delle spezie, Macrolibrarsi
Ada De Sanctis e Luigi Ballarini, Erbe da mangiare
Isabel Allende, Afrodita
Kamila Shamsie, Sale e Zafferano
Laura Malinverni – La cucina medioevale: umori, spezie e miscugli
Ippocrate – Teoria degli umori
Galeno – De elementis secundum Hippocratem
www.spezie.net

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