La segale

Pubblicazione: 12/10/2017

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Un antico detto diffuso in valle Gesso, in provincia di Cuneo, dice: lou sél l’è lou pan, e lou pan l’è la vita, ovvero la segale è il pane, e il pane è la vita. In poche parole è concentrato il ruolo essenziale che questo cereale ha avuto nell’economia e nell’alimentazione delle popolazioni alpine nei tempi passati.

Originaria dell’Asia Minore, la segale era inizialmente considerata un infestante delle coltivazioni di grano e orzo. In seguito, la grande rusticità di questa pianta, capace di adattarsi ai climi rigidi e ai terreni magri e sabbiosi, e la sua ottima resa hanno fatto in modo che la coltivazione della segale fosse preferita ad altre varietà nelle zone di agricoltura marginale praticamente su tutto l’arco alpino. In Piemonte sono stati rinvenuti chicchi di segale in scavi della medio-tarda età del Bronzo in località Borgo Moretta ad Alba e dell’età del Ferro a Montaldo di Mondovì. Si può quindi affermare che questo cereale era presente fin dalla preistoria in una zona dove, ancora oggi, lo si coltiva spesso in avvicendamento alla patata, che è un’altra pianta tipica dell’agricoltura di montagna, sebbene di introduzione molto più recente.

3.Segale

La segale si inseriva perfettamente nell’organizzazione delle attività lavorative delle comunità montanare. La semina avveniva tra agosto e ottobre, secondo l’altitudine e, comunque, in seguito al rientro del bestiame dall’alpeggio; la raccolta avveniva fra metà luglio e metà agosto dell’anno successivo, mediamente cioè dopo undici mesi. Tutta la comunità era impegnata nella mietitura: gli steli andavano tagliati il più vicino possibile al terreno per una buona resa anche della paglia; quindi c’era chi tagliava e chi legava i covoni, che, dopo qualche giorno di essiccazione all’aria, venivano battuti per recuperare la granella.

4.Segale

Le lunghe spighe venivano battute sull’aia con il correggiato (che nelle alpi Marittime si chiama cavaglio), uno strumento composto da due bastoni uniti al centro da una striscia di cuoio. Uno dei due bastoni aveva funzione di manico, mentre l’altro veniva fatto roteare con forza dal battitore come un battacchio. La granella di segale così ottenuta era utilizzata per produrre l’alimento base della dieta montanara: il pane nero.

Si trattava di pagnotte scure, dal sapore acidulo; era un pane cotto nei forni comunitari una sola volta l’anno – spesso nel tardo autunno o inizio inverno – e conservato per i successivi dodici mesi su apposite rastrelliere in legno. Con il passare del tempo il pane si induriva, tanto che per consumarlo lo si doveva frantumare a fatica con un apposito coltello agganciato a un pesante tagliere.

6. Segale

Mah, allora c’era la miseria, si viveva a pane di segala. Quel pane non era ben cotto e ammuffiva. A tagliarlo con il taiun, fumava, faceva polvere… ricorda Giovanni Tolosano, classe 1889, in una delle tante, strazianti testimonianze raccolte negli anni Settanta da Nuto Revelli nel suo saggio Il mondo dei vinti.

Le difficoltà di panificare esclusivamente con farina di segale erano evidenti (scarsa presenza di glutine, quindi scarsa lievitazione), per cui si cercava sempre di avere una minima percentuale di farina di frumento per rendere migliore il pane. La miscela di grano e segale però non si faceva al momento della panificazione, ma direttamente nel campo; l’astuzia montanara mescolava spesso i semi dei due cereali già durante la semina. La segale, resistente alle temperature rigide ma non ai forti venti, era supportata dal frumento, dotato invece di una spiga avara e sensibile alle avversità climatiche, ma anche di uno stelo corto e robusto. In questo modo si otteneva, nelle annate buone, una farina “mista” e gustosa e, in quelle meno buone, almeno la sostanziosa farina di segale per sopravvivere. Da questa antica tecnica di coltura praticata sulle piccole terrazze di montagna deriva il pan barbarià (pane imbarbarito o imbastardito), che, già nel nome, denuncia le difficoltà e gli stenti della sua produzione.

5.Segale

L’uso della segale non era tuttavia confinato all’alimentazione: lo stelo della pianta era utilizzato nelle stalle come lettiera per gli animali; per intrecciare cappelli; per impagliare le sedie; come copertura dei tetti delle abitazioni. Ancor oggi in alcune vallate cuneesi – le valli Gesso, Vermenagna e Stura – si possono vedere edifici con i tetti di questa paglia. Si può dire che la segale, un po’ come il castagno, è stata per secoli un pilastro della vita nelle terre alte dell’arco alpino. Il rapporto tra questa pianta e le civiltà montanare era troppo radicato per essere cancellato dalla pur profondissima crisi del mondo contadino e dallo spopolamento delle montagne degli anni Cinquanta e Sessanta, ancora oggi non è completamente dimenticato.

1.Segale

Assistiamo infatti a una timida ripresa della coltivazione: i campi di segale in Italia occupano circa seimila ettari, concentrati quasi esclusivamente nelle aree alpine di Piemonte, Lombardia e Trentino. Si valorizza e celebra la segale attraverso mostre, iniziative e manifestazioni organizzate su tutto l’arco alpino. Tra queste val la pena citare, in provincia di Cuneo, la Festa della Segale di Sant’Anna di Valdieri che viene organizzata ogni anno ad agosto dalla comunità locale con la collaborazione dell’Ente Parco Naturale delle Alpi Marittime. A Sant’Anna esiste anche l’Ecomuseo della Segale dove non solo si mostrano oggetti, ma si cerca di ricostruire il patrimonio culturale delle comunità locali.

Importante è anche la Festa transfrontaliera del pane delle Alpi Lo pan ner che si svolge nella vicina Val d’Aosta a metà del mese di ottobre (per il 2017 il 14 e 15 ottobre), che vede l’accensione in contemporanea di oltre cinquanta forni in tutta la vallata per la cottura del pane nero e il fiorire di diverse iniziative di promozione.


Le recenti scoperte circa i benefici di una dieta che includa “cereali antichi”, unite a queste iniziative di valorizzazione turistica dei luoghi di coltivazione, stanno riportando in auge la segale e i suoi derivati. Gli usi della segale oggi infatti possono essere numerosi quanto un tempo,  dall’alimentazione diretta alla produzione della birra, fino alla bioedilizia.

Autrice Beatrice Di Tullio del blog Betulla

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