Guida ai cocktail senza glutine

È importante poter brindare in compagnia, così come in occasioni più intime. Ed è appunto per questi momenti speciali che ho composto questa guida ai cocktail senza glutine. Che siano miscelati per feste, occasioni particolari o voglie del momento, mi affascina il fatto che la combinazione di ingredienti così diversi – per densità, consistenza e origini – regali sorsi che dissetano, appagano e soddisfano: è un po’ come cucinare.

Premetto che non sono né barmanmixologist, semplicemente adoro i cocktail, e per motivi di salute seguo una dieta senza glutine. Guidata dal mio trascorso professionale in cucina e pasticceria, ho intrapreso questa mia esplorazione del mondo dei mixed drink gluten free (bevande miscelate senza glutine) e degli ingredienti che li rendono così deliziosi, per quei momenti dove un buon cocktail fa la differenza. Come diceva la mitica Bette Davis “Arriva un momento nella vita di ogni donna in cui l’unica cosa che aiuta è un bicchiere di champagne”. Sono d’accordissimo, ma anche un buon cocktail è di grande aiuto.

La storia documentata dei cocktail risale al XVIII secolo, salvo prendere in considerazione tutti i tipi di “pozioni” mescolate da tempi immemori, ma questa è un’altra storia. Per quanto riguarda la sfera dei cocktail senza glutine – a parte i suggerimenti dell’AIC (Associazione Italiana Celiachia) – ahimè non c’è letteratura, almeno per il momento. Le informazioni vengono estrapolate dai forum che trattano di celiachia, dalle risposte a email inviate alle aziende produttrici (quando rispondono), e dagli articoli scritti da chi, come me, è sempre in allerta glutine. La stiamo costruendo un post alla volta.

“Non importa quanto lentamente procedi, purché non ti fermi.” (Confucio)

Per approfondimenti a riguardo, potete consultare la mia Guida per bere senza glutine, già pubblicata qui sul sito di AIFB. Trattasi di una raccolta di informazioni nata dalla necessità di apprendere come trasformare la mia alimentazione da “normale” a gluten free, anche per la sfera del bere. Ebbene sì, c’è il rischio di trovare glutine anche nelle bevande alcoliche e non. Ma passiamo all’appellativo.

Perché si chiamano cocktail

Perché si chiamano cocktail? L’origine del termine è molto dibattuta. Trattasi di una parola composta – verosimilmente di origini anglo-francesi – dalle interpretazioni più svariate e tutte molto pittoresche. Di seguito vi elenco alcune delle teorie più citate, tutte credibilmente legate alle quattro chiacchiere al bar.

  • Coquetier, il portauovo. Questa tesi fa riferimento al termine francese “coquetier”. Era un contenitore (tipo portauova) dove Monsier Antoine Amédée Peychaud, farmacista di New Orleans, serviva – nel suo retrobottega – una miscela di cognac e dei suoi bitter, tutt’oggi in commercio. Col tempo, i fan della bevanda avrebbero anglicizzato la pronuncia, finendo per approdare al “cocktail” di oggi. Siamo tra il 1793 e 1806.
  • Cock-tailings, la feccia delle botti. Si racconta che, durante il periodo coloniale nordamericano, i tavernieri conservassero i liquori da servire nelle loro botti originali. Quando queste si svuotavano, i fondi (chiamati tailings) venivano versati in un’unica botte dotata di rubinetto (detto cock). L’intruglio, decisamente più economico, era offerto come cock-tailing. Quando il prezzo fa la differenza.
  • Ci sono anche le varianti legate a traduzioni più letterali. Come la leggenda della “coda di gallo”. Una piuma, strappata al gallo vincitore di un combattimento, veniva posizionata sul bicchiere del drink celebrativo del proprietario del vittorioso pennuto, forse per mescolare la bevanda? “Vive le cocktail“, ma povero gallo.
  • Poi c’è la tesi della “coda di cavallo” legata al mondo equestre. Ma questa è un’altra storia.

La prima citazione del termine cock-tail si registra nel 1798 sul giornale londinese The Morning Post and Gazetteer. Tuttavia bisognerà attendere il 1806 per avere un’interessante descrizione – più o meno esplicativa – di cosa fosse. Secondo l’Oxford English Dictionary, il 13 maggio 1806, sul Balance and Columbian Repository, (un giornale federalista di Hudson, New York), l’editore (Harry Croswell) rispondeva alla lettera di un lettore che, confuso dal nuovo termine, chiedeva spiegazioni:

Un cocktail, quindi, è un liquore stimolante composto da alcolici di qualsiasi tipo – zucchero, acqua e amari; è volgarmente chiamato bittered sling (*) e dovrebbe essere un’eccellente pozione elettorale, in quanto rende il cuore forte e ardito, nello stesso tempo confonde le idee.” (*) Bittered sling è un cocktail a base brandy.

Nel tempo, la consistente presenza di bitter e vermut di origini italiche li ha resi, in qualche modo, nostrani.  Da sempre alla ricerca dell’elisir di lunga vita (vedi gli infusi medicinali di Ippocrate o quelli della Schola Medica Salernitana), è solo dalla seconda metà del 18° secolo che nella nostra bella penisola, si riscontra una lavorazione strutturata della produzione di “amari e tonici” che, con le loro ricette ricche di erbe locali e ingredienti segreti, aspiravano a lenire/curare malesseri vari. Magari i creatori di queste pozioni, almeno inizialmente, non avevano alcuna intenzione di somministrarle in occasioni da intrattenimento, ma la presenza di alcol ha conferito quel non so ché di ricreativo, poi rivelatosi un compagno d’avventura perfetto per il mondo dei cocktail. Un’idea più contemporanea del termine ce la dà il Sabatini Coletti. Nel dizionario si legge che per cocktail si intende una “Mescolanza di liquori o di liquori e bibite, miscelati, con o senza ghiaccio”. Stimolanti combinazioni di spiriti e bevande zuccherine che, mescolate anche a tonici e/o amari, regalano appaganti pozioni in bicchiere, con relative variazioni sul tema.

“Il 13 maggio è la giornata mondiale dei cocktail”

Kit essenziale per cocktail

set per cocktail

In questa guida ai cocktail senza glutine, c’è sempre spazio per l’improvvisazione tuttavia, per esordire nell’arte dei mixed drink, bisogna avere a disposizione un kit essenziale per cocktail.

È da quando ho memoria, che in casa c’è sempre stato un angolo bar ben fornito – sia di ingredienti che di arnesi e bicchieri per fare i cocktail – ed è da qui che sono partita per compilare la lista che segue. Sono i pezzi che, col tempo, ho imparato ad apprezzare sia per la loro praticità ed efficacia, che per il look e il sempre graditissimo effetto salva tempo. Che siano utensili professionali o casalinghi, ci sono alcuni elementi dell’attrezzatura da bar che non possono mancare. Per tutto il resto si possono riutilizzare (o riciclare) molti degli oggetti già presenti nelle nostre cucine.

Ecco a voi una lista sicuramente non esaustiva ma, come dice il proverbio, “Chi ben comincia è a metà dell’opera.”

  • Jigger – il dosatore. È un misurino che consente di dosare con precisione gli ingredienti da miscelare. Può essere sia singolo (a forma conica) che doppio, detto giapponese, dalle forme che ricordano la clessidra, con un lato più capiente dell’altro.
    Solitamente graduati, ce ne sono di varie misure e proporzioni: il tipo base presenta delle tacche di riferimento da 1 oz (30 ml) e 1,5 oz (45 ml), con il lato piccolo da ½ oz (15 ml) e ¾ oz (22ml). Con queste misure potrete seguire il mare magnum di ricette internazionali dove spesso si parla di “parti” o “once”. I più economici e resistenti sono in acciaio, ma ci sono anche in bronzo, rame, oro e argento.
    Nota: in mancanza di un jigger, si può sempre usare un bicchierino da caffè. Pesatene la capienza su una valida bilancia da cucina e dovreste avere un’idea della dose. In tutti i casi vale la pena comprarne uno.
  • Shaker – il contenitore per agitare. È un recipiente a forma di vaso conico. Generalmente graduato, è formato da due o tre pezzi e serve a shakerare (agitare).
    Tra quelli a due elementi c’è:
    il Boston shaker, detto l’americano. Consiste in due bicchieri di acciaio, (o acciaio e vetro temperato) a incastro. Molto minimal, robusto, maneggevole ed efficiente, è quello più diffuso tra i professionisti.
    Il secondo è il Parisienne, o shaker francese. Composto da un bicchiere e un tappo, gli addetti ai lavori non lo considerano così efficace come il Boston, sembra che il tappo si incastri troppo spesso.
    Lo shaker a tre elementi è il Cobbler, apparso sulle scene dei bar americani nel 1884. Mr. Eduard Hauck, il suo creatore, decise di aggiungere un colino al tappo dello shaker francese, (sicuramente per questioni di praticità). È quello più diffuso negli angoli bar casalinghi. Tres chic!
    Nota: lo shaker, può essere egregiamente sostituito da un barattolo o vaso per conserve (o bottiglia a collo largo, per passate o succhi di frutta), in vetro e con tappo a vite; meglio se termoresistente.
  • Il mixing glass – per miscelare. È un bicchiere di vetro, cristallo (o acciaio), spesso dalla forma conica, in cui si miscelano gli ingredienti del cocktail, prima di setacciarlo e versarlo nei bicchieri dedicati. Nota: una brocca/caraffa va benissimo, meglio se in Pyrex.
  • Strainer – il filtro. Copre una famiglia di colini utilizzati per “filtrare” i cocktail prima di servirli. Separa il liquido dal ghiaccio e/o da altri elementi che non si vuole nei bicchieri.
    C’è il tipo Julep, che ricorda molto un piccolo cucchiaio/mestolo forato, dal manico medio-corto.
    Lo Hawthorne presenta una parte perforata (abbastanza finemente), circondata da una corona (o linguette) sulla quale è montata una molla che si adatta alla bocca del bicchiere dello shaker. Nota: a casa si può usare il classico colino da tisana, maglia medio-fine.
  • I bar-spoon – per dosare e miscelare. Sono cucchiai e cucchiaini dal manico medio-lungo (liscio o a spirale), di varie forme e misure. Servono a miscelare i cocktail che non vanno shakerati, a dosare ingredienti con una certa precisione (da 1 a 5 ml circa), ma anche a rompere le zollette di zucchero usate in alcuni tipi di cocktail. Nota: i cucchiai da tè freddo (generalmente a manico lungo), così come i set di cucchiai dosatori (per cucina e pasticceria) vanno benissimo.
  • Lo spremi lime-limone. È uno spremiagrumi col doppio manico; molto pratico da usare quando si vuole estrarre il succo di mezzo lime o limone direttamente sul bicchiere dello shaker o del mixing glass. Trattiene i semi e riesce a estrarre dalla buccia anche quel po’ di oli essenziali molto caratterizzanti. Nota: va bene anche un semplice spremiagrumi. E, per la parte aromatica, basta strofinare la buccia dell’agrume di preferenza, lungo i bordi del bicchiere.
  • Il muddler – per pestare. È un pestello usato per frantumare (spesso direttamente nei bicchieri) ingredienti di varia consistenza. Può essere di acciaio (con punta di gomma), plastica o legno. Nota: un mortaio e pestello da cucina lo sostituisce egregiamente.

E poi c’è la grande famiglia dei bicchieri dedicati, dai nomi più disparati. Eccone alcuni:

  • Old Fashioned è un bicchiere corto con fondo spesso. Viene anche chiamato “lowball” o “rocks“. Ci si serve il Negroni e qualsiasi drink “on the rock” (sul ghiaccio).
  • Highball e Collins, molto simili tra loro, si usano in modo intercambiabile per bevande che richiedono bicchieri alti. Tipico per Gin & Tonic, Rum & Coca o Mojito.
  • Coupe: il bicchiere tradizionalmente usato per offrire una coppa di champagne (prima che arrivassero i flute). Lo si può usare per servire Manhattan, o Boulvardier.
  • Cocktail: la coppa a forma conica tipicamente legata al cocktail Martini, o Cosmopolitan. È il bicchiere dal quale James Bond sorseggia il suo “Vesper” agitato, non mescolato!

Ingredienti essenziali per cocktail senza glutine

Adesso che conosciamo il kit necessario, passiamo agli ingredienti essenziali per cocktail senza glutine.

Per preparare questi drink, si parte dalla classica proporzione di base: la formula 1:1:1 (con la variante 2:1:1), entrambe facili da ricordare.

  • 1 parte di alcol (o analcolico);
  • 1 componente dolce;
  • 1 componente aspro-acidula.

Ovviamente, nei cocktail più complessi, ci sarà un numero maggiore di ingredienti e il rapporto può variare. Eccovi gli ingredienti essenziali.

Alcolici e analcolici

Riguardo alla parte alcolici e analcolici. In linea generale sia distillati che acquaviti (alcolici e superalcolici) sono considerati senza glutine.

Secondo l’AIC (Associazione Italiana Celiachia) “il distillato è puro (tal quale) senza aggiunta di aromi, coloranti o altri additivi. Quindi, facendo un esempio: la vodka è libera, ma la vodka alla pesca è a rischio. Non sempre la presenza di altre sostanze si rende evidente dalla semplice lettura del nome del prodotto, come in questo caso, pertanto si consiglia di leggere attentamente l’etichetta prima di consumare un distillato.

Anche l’EFSA – l’Autorità Europea per la Sicurezza degli Alimenti – conferma che “Il processo produttivo tramite distillazione, infatti, è tale per cui il prodotto finito non può contenere glutine né esserne contaminato.”

Cosa avere a disposizione? In un angolo bar senza glutine, gli alcolici principali dai quali partire sono da scegliere tra i distillati bianchi come:

  • Grappa. Ottenuta dalle vinacce, generalmente si va sul sicuro.
  • Vodka. È da preferire quella distillata da patate, uva o mais.
  • Gin. Il tipo London Dry è tra quelli più sicuri. Solitamente ottenuto da cereali che contengono glutine, il profilo aromatico si ottiene da elementi botanici naturali attraverso una seconda distillazione. Questo tipo di gin non può contenere coloranti o altri ingredienti aggiunti, tranne l’acqua.
  • Rum. Quello tradizionalmente ottenuto da canna da zucchero, senza aromi e/o spezie.
  • Tequila e Mezcal, il tipo “blanco” dovrebbe essere quello più sicuro, ma solo se 100% agave. Da sapere che “il” Tequila è un tipo di Mezcal, ma non tutti i Mezcal si possono chiamare Tequila che si ottiene esclusivamente da agave blu. Ebbene sì, avete letto bene, per entrambi gli alcolici il nome originale è di genere maschile.

Attenzione agli analcolici, e a tutti i distillati aromatizzati, specialmente quando riportano la dicitura “botanicals”. Mentre nel processo di distillazione il glutine non passa, nelle alternative aromatizzate, così come per gli “spiriti botanici analcolici”, non è sempre chiaro (almeno per il momento) se i prodotti siano o meno gluten free. Le aziende produttrici tendono a mantenere segreto il loro modus operandi.

Liquori, vermouth e bitter

A proposito dei liquori, vermouth e bitter, qui entriamo in un territorio minato. Sono drink generalmente ottenuti dalla macerazione o infusione – in alcol e/o vino – di erbe, bacche, radici, foglie, fiori, frutta. L’iter di queste pozioni potrebbe seguire processi di distillazione (con conseguente eliminazione del glutine), ma anche di chiarificazione, filtraggio e/o colorazione, dove il rischio contaminazione è altissimo.

Cosa comprare? Di fatto, a meno che non li facciate in casa – sia l’alcol etilico tal quale che il vino sono considerati senza glutine – fate sempre molta attenzione. Tanto dipende dalla vostra sensibilità al glutine o ai cereali che lo contengono. Dalle informazioni raccolte sui siti aziendali delle case produttrici (sempre troppo poche), ecco qualche bottiglia che potrebbe servire a fare la differenza nel successo di un cocktail.

  • Tra i liquori, uno tra i più utilizzati è il Triple Sec (alcolico aromatizzato con le bucce di arancia essiccate al sole), o il Cointreau.
    Per fragranze mediterranee ci sono Sambuca o Mirto (Pacini, Sardegna), o il più noto Limoncello (la gamma Limoncè della Stock Spirits). Sui siti si legge che sono senza glutine e vegani.
  • Per i vermouth quelli del marchio Martini & Rossi (Bianco, Rosso, Extradry) sono senza glutine. Qualche tempo fa ho scritto al gruppo Bacardi (proprietario del brand) che mi ha prontamente risposto a riguardo.
  • Tra i bitter senza glutine, sotto il marchio Angostura c’è il tipo “Aromatic”, quelli “Orange e Cocoa” no, sono a rischio.
    Del Gruppo Campari, il Campari Soda è approvato dall’AIC; Aperol e Campari sono onnipresenti ma non hanno certificazioni ufficiali a riguardo.

Birra e vino

Eccoci alla birra. Dovrà necessariamente riportare il marchio con la spiga barrata e/o la dicitura senza glutine, prima di essere consumata. Io bevo solo quelle ottenute da cereali naturalmente senza glutine, tipo la birra 100% sorgo italiano, fatta in Emilia-Romagna.

Infine c’è il nostro beneamato nettare, onnipresente su tutte le tavole: il vino. Fedele compagno di pasteggiamenti, in genere è sicuro.

Sweet & Sour: componente dolce e aspro-acidula

Per Sweet & Sour si intende la componente dolce e aspro-acidula necessaria a bilanciare i cocktail.

Sweet: per aggiungere dolcezza, oltre agli ingredienti liquorosi, c’è la frutta e i suoi succhi che doneranno ai cocktail quel tocco rinfrescante, a tratti esotico. Che si tratti di spremute fresche o succhi di frutta concentrati, i più utilizzati sono il succo d’arancia, ananas o mirtillo. Consiglio di seguire le stagioni e di giocare con il livello di maturità dei frutti scelti, saranno più o meno dolci e/o aciduli, e vi aiuteranno anche a realizzare gustose decorazioni.

E poi c’è lo zucchero. Dalla zolletta allo sciroppo semplice – con varianti più complesse a seconda dello zucchero utilizzato e delle variazioni aromatizzate (con vaniglia, cannella, o scorza d’arancia) – ci sono innumerevoli livelli di dolcezza da aggiungere ai cocktail.

Il più comune è lo sciroppo semplice 1:1. Si può comprare già pronto ma è così facile da fare che vale la pena provarci.

Ecco una ricetta per lo sciroppo di zucchero, semplice semplice.
Ingredienti:

  • 1 chilogrammo di zucchero raffinato.
  • 1 litro di acqua bollente.

Procedimento:

  • Mettete gli ingredienti in una casseruola.
  • Scaldate il composto a fuoco medio e mescolate fino allo scioglimento dello zucchero.
  • Spegnete, fate raffreddare e imbottigliate.

Sour. A contro-bilanciare i toni dolci, ci pensa la componente aspro-acidula. Per regalarsi dei deliziosi “sweet & sour mix” gli ingredienti più comuni che aggiungono quei toni aspri tanto rinfrescanti, sono il succo di limone e quello di lime; ma anche gli agrumi in generale e i frutti di bosco. Mi raccomando, freschi sono sempre più buoni.

Il ghiaccio

Il ghiaccio è uno degli elementi essenziali in un cocktail, per due motivi: diluizione e raffreddamento. A rendere popolari queste pozioni, galeotto fu proprio il ghiaccio. La singolare commistione di liquori, distillati e compagnia bella – ognuno con il suo patrimonio gustativo e storico-artigianale – unita alla diffusione del ghiaccio nei bar, è stata determinante nell’ideazione e il successo di queste bevande dalle ricette più svariate. Ce ne sono di diverse forme e dimensioni, eccone alcune:

  • i ben noti cubetti. Possono avere varie misure, essere più o meno trasparenti, e sono perfetti per quasi tutte le esigenze (cocktail agitati, mescolati, ma anche per succhi e bibite).
  • poi ci sono le sfere usate per i drinkon the rock”, molto belli da vedere.
  • C’è il ghiaccio tritato, utilizzato per una maggiore e più veloce diluizione dei cocktail.
  • E poi il ghiaccio secco per effetti speciali.

Assicuratevi di averne sempre almeno un sacchetto nel vostro congelatore, perché se manca la giusta quantità di ghiaccio anche un drink sapientemente realizzato risulterà insipido, se non banale. Nel dubbio è meglio abbondare.

cocktail

Ecco un breve promemoria. Un buon cocktail è composto da:

  1. Ingredienti di qualità: ispiratevi alle stagioni che, con le loro peculiarità, vi stimoleranno creativamente per la freschezza degli ingredienti a disposizione.
  2. Una miscela dei componenti nelle giuste proporzioni – ricordate le formule 1:1:1 oppure 2:1:1.
  3. Deliziose decorazioni, fatte con la buccia degli agrumi, frutta, foglioline di erbette aromatiche, zucchero, sale. Le varianti sono tante.
  4. Il tutto versato in calici ad hoc con ghiaccio, o senza.

Mi raccomando, adottate sempre un certo livello di moderazione rispetto al tasso alcolico e fate sempre molta attenzione che tutti gli ingredienti siano rigorosamente senza glutine. E, se avete informazioni relative ad altri ingredienti per fare cocktail senza glutine, non esitate a comunicarceli scrivendo qui sotto, nello spazio commenti.

A questo punto non mi resta che ringraziarvi per la preziosissima attenzione accordatami e augurarvi Happy Cocktail Hour!

Per saperne di più continuate a seguire i nostri approfondimenti dedicati al bere senza glutine. Vi aspettiamo.

P.S. E voi i cocktail come li preferite, shakerati o mescolati?

 

 

4 commenti

  1. Carissima Orsola, un articolo molto interessante e…beverino.
    Ora ho una gran voglia di un aperitivo come si deve!

    1. Grazie Silvia, i cocktail sono diventati una vera e propria passione: è un po’ come cucinare… ed è sempre un buon momento per un aperitivo!

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