Il Torrone

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Giornata Nazionale del Torrone

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Il Torrone è un dolce principalmente natalizio il cui ingrediente di base è dato dalla frutta secca (solitamente mandorle o nocciole, anche se esistono versioni a base di pistacchi e arachidi) in un amalgama di albume, zucchero e miele, racchiuso fra due fogli di ostia. E’ diffuso in numerose varianti in tutto il bacino del Mediterraneo, oltre che nella nostra penisola dove, alle diverse versioni, corrispondono ingredienti, nomi e storie del tutto peculiari.
La controversa etimologia del nome “torrone” è spia di un’origine altrettanto non univoca: il termine deriverebbe dal latino “torreo” (abbrustolire) o “torrere” (tostare), con un chiaro riferimento al processo di tostatura a cui venivano sottoposte le mandorle. Per altri, invece,Torrone deriva dallo spagnolo ‘Turun’, termine citato per la prima volta in un trattato dell’ XI secolo, De medicinis et cibis semplicibus, del medico spagnoloAbdul Mutarrif di Cordova, che ci riporta in ambito arabo.
Da non trascurare è anche l’altro nome del Torrone, Cubaita o cupàte, con cui è ancora oggi conosciuto in Sicilia, che nuovamente ci riporta al mondo arabo: qubbàita, infatti, è la mandorla, la cui pianta, originaria dell’Asia Minore, è pervenuta in Italia (Sicilia) attraverso i Fenici, i primi navigatori della storia antica che si allontanavano dalla loro petrosa terra (oggi Libano) per commerciare e fondare mercati e città (Cartagine e Palermo). Dei frutti, in realtà semi commestibili, facevano uso i Romani e soprattutto i Greci, tanto che gli stessi Romani li definivano noci greche.
Paolo Aldo Rossi, docente di Storia della Scienza a Genova, segnala un passo del “De Agricultura” di Catone il Censore dove si parla di una specialità cartaginese fatta di miele, farina, uova e formaggio fresco (sebbene sembri richiamare più una puls – sorta di piatto affine al moderno cous cous – il “razionale” assomiglia già a quello del torrone). Marco Terenzio Varronenelle “Satyre Menippeae” cita la cuppedo, ghiottoneria a base di semi oleosi, miele e albume: e al di là che lo scrittore reatino abbia inventato la storia della cuppedo “inventata” dai Sanniti per salvare da una fame autoimposta i Romani che dovevano stare al mondo per passare sotto le Forche Caudine, quella delle Satyre è comunque una testimonianza che a Roma doveva già esistere. Tito Liviocita la cuppedo come alimento adatto alle lunghe marce dei legionari per le sue proprietà nutritive e la facile conservazione (una sorta di Enervit del mondo antico). Ma la specialità dolciaria latina che si avvicina più al nostro Torrone si trova menzionata da MarcoGavio “Apicio”: nel “De Re Culinaria” compare la ricetta di un dolce preparato con noci, miele e albume d’uovo, chiamato nucatum (varrà la pena di ricordare che il moderno torrone francese è chiamato nougat). Tuttavia, non è da escludere che i Romani possano averlo mutuato dal Medio Oriente ellenistico, dove, avverte lo storico Elio Galasso, già prima dell’Islam esistevano dolci secchi fatti con mandorle o granella di noci e nocciole, farina e miele.” (Michele Scolari,Il Torrone, un dolce arabo).

In Italia la coltivazione del mandorlo attecchì nei suoli del Sud (Puglia e Sicilia) dal clima mite: tuttavia, è ormai fuori di dubbio che questo dolce nacque e si sviluppò nel mondo arabo, da dove giunse in Italia sulla scia della diffusione dei trattati di medicina nati nell’ambito di questa cultura. Ed è proprio in due di questi testi (le Tavole della salute di IbnBuṭlān e del Cammino dell’esposizione di ciò che l’uomo utilizza di Ibn Jazla) che troviamo la prima menzione di un dolce che può essere pacificamente considerato come l’antenato del nostro Torrone. Nelle Tavole di Butlan e nel Cammino di Jazla (cristiano convertito all’Islam), composte nel califfato abbaside di Baghdad nell’XI secolo, nella parte riservata ai dolci secchi compare il Chaloe (in arabo halawa), indicato per febbri, tosse o dolori reumatici: dalla ricetta risulta preparato con noci, mandorle o pistacchi («cum nucibus aut amygdalis aut festicis») legate da miele e zucchero (miscentur cum melle et zaccharo) e aromatizzate con spezie. Manca l’albume, ma la variante bianca è ottenuta tramite il processo di lavorazione dello zucchero, come si legge nel Compendio delle vivande (Kitab al-Tabikh) del medico Al-Baghdadi, vissuto nel XIII secolo (due secoli dopo Butlan e Jazla): «Sciogli lo zucchero in acqua e fallo addensare bollendo, poi versalo su un piano, battilo e tiralo finchè diventa bianco, impastaci pistacchi o mandorle, taglialo in stecche o rombi e dallo a chi vuoi». Lo stesso tipo di Torrone (chiamato ancora halva, dall’antico nome arabo di halawa) fa tutt’oggi bella mostra in mille versioni sui banchi dei bazor tra Iran e Uzbekistan, lungo l’antica Via della Seta. E all’antico Chaloe si richiamano anche il Torrone dell’Iran, il Gaz of Khunsar, e quello dell’Iraq, chiamato Mann-Al-Sama.” (Michele Scolari,Il Torrone, un dolce arabo).
Questa tradizione,storicamente fondata, mal si accorda con la leggenda della nascita del Torrone di Cremona, che si considera da sempre la patria storica di questa preparazione. Secondo la vulgata, il primo Torrone venne presentato al banchetto nuziale di Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, celebrate nel 1441: si trattava di una composizione a base di mandorle, miele e albume, nella foggia del Torrione,la torre cittadina, da cui il nome Torrone e la nascita della fama della città legata alla sua produzione. Storicamente, considerata la diffusione dei trattati di cui sopra, presto tradotti anche in latino e utilizzati a Venezia e in Sicilia, non è improbabile una connessione fra le ricette arabe e la versione cremonese. Ma è altrettanto probabile che il Torrone sia giunto qui attraverso la via dei commerci, le Crociate e,non ultima,la lunga frequentazione che Federico II di Svevia ebbe coi Cremonesi e con la loro città, dove fu ospite per ben 16 volte nel corso del suo Regno. Pur non potendo vantare la stessa importanza e magnificenza delle corti di Napoli e Palermo, Cremona ospitò Federico ben sedici volte nella prima metà del Duecento, alloggiato in un palazzo imperiale nei pressi del monastero di S. Lorenzo ed attorniato dalla sua corte di intellettuali islamici provenienti dai grandi califfati abbasidi di Baghdad (parecchie pagine sono dedicate a Cremona dallo storico Ernst Kantorowicz nella Biografia del sovrano): tra costoro v’erano anche numerosi gastronomi e cuochi che devono quindi aver operato diffusamente anche all’ombra del Torrazzo. Spesso infatti la presenza imperiale si accompagnava a feste e cerimonie di grande lustro, inclusi banchetti nuziali. Federico celebrò a Cremona una magna curia – un’assemblea di tutta la sua corte – con grandi feste dopo il matrimonio di sua figlia, Selvaggia di Svevia, con Ezzelino da Romano; e ancora a Cremona l’imperatore procedette all’addobbamento del figlio Enzo nel 1238, e di alcuni nobili lombardi nel 1245, mentre nel gennaio 1249 si celebrarono le seconde nozze di Enzo. Ora, conoscendo l’infatuazione dell’imperatore per la cultura araba (inclusa la gastronomia) e considerando il suo staff di cuochi islamici, non è difficile inferire la presenza, in questi banchetti, di specialità esotiche provenienti dai califfati persianizzati d’Oriente. A questo punto, tenuto conto di quanto già riportato, potrebbe risultare più credibile che il torrone possa essere comparso a Cremona, nella sua forma primitiva, proprio sulla tavola di uno di questi banchetti nuziali dell’epoca federiciana, piuttosto che su quella quattrocentesca del matrimonio tra Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza. Contestualmente, si potrebbe anche ipotizzare che la tradizione di mangiare torrone a Natale possa essere ricondotta ad un dolce esotico con in quale Federico usava festeggiare il suo compleanno, che cadeva proprio il 26 dicembre (Michele Scolari,Il Torrone, un dolce arabo).
Altrettanto interessante è la storia legata all’altro nome con cui il Torrone era conosciuto,mantenuta anche in alcune varanti regionali: cuppeto, cubedo, cubaita, entrambe da qubbat, il termine arabo per definire la mandorla. In Sicilia, essa è affiancata anche da giuggiulèna, dall’arabo gioggiolan, che nella parte occidentale dell’ isola indica il Torrone a base di sesamo.
Le varianti regionali si basano su prodotti locali e su diverse ricette. Le distinzioni classiche sono due: fra il Torrone a pasta morbida e quello a pasta dura, a seconda del grado di cottura della pasta e fra “mandorlato” e “nocciolato”,a seconda della frutta secca utilizzata. Su queste varianti si innestano altre versioni locali, fra cui ricordiamo il Torrone sardo (prodotto con mandorle abbrustolite e miele,aromatizzato con scorze di arancia e di limone);il Torrone classico di Cremona ( a pasta bianca, dura, a base di mandorle); il Torrone abruzzese (tenero, al cioccolato, diffuso soprattutto a L’Aquila); il Torrone e i Torroncini di Benevento; la Cubaita del Ponente Ligure; la Cubaita siciliana e le sue varianti al pistacchio; la già citata Giuggiulenaal sesamo e, a Licata,una versione con i ceci.

La ricetta che ho scelto di raccontare è legata alla mia terra d’origine, la Calabria, dove il Torrone è attestato in diverse varianti. Tra la provincia di Messina e quella di Reggio Calabria il Torrone gelato ha forma di tronco nodoso abbattuto, detto così per l’impasto di pasta di mandorle, agrumi, zucchero fondente, frutta candita al profumo del bergamotto (frutto importato da Cristoforo Colombo o nato da un innesto nel XVIII secolo). Tra i canditi nei torroni calabresi si utilizza il cedro. Questo frutto del cosentino è considerato dagli Ebrei la varietà più nobile della specie. Tutti gli anni i rabbini vengono a prelevarli perché considerato il frutto proibito di Adamo. La buccia presenta una piega che simboleggia il morso biblico che rese l’uomo peccatore. I Torroni di Bagnara e Taurianova risalgono al ‘700, quando una dama spagnola ne portò la ricetta. I monaci delle abbazie li preparavano e li commercializzavano, utilizzandoli come baratto per il legname. Hanno la forma di parallelepipedo e non si utilizzano coloranti e conservanti. I Calabresi preparano in casa per le feste natalizie il Torrone ferrato, noto anche come Torrone dei poveri costituito da due ingredienti: mandorle non spellate e zucchero.

Ingredienti: 1kg di mandorle e1kg di zucchero.

Ungere un ripiano di marmo (o della carta da forno) con olio, preferibilmente di semi. Sciogliere a fuoco lento lo zucchero. Quando il colore è lievemente ambrato, aggiungere le mandorle. Mescolare. Versare sul ripiano e livellare con un limone.

Partecipano come contributors:

Erica Repaci, Il torrone alle mandorle

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