Favole in cucina: Cappuccetto Rosso e il Lupo

Favole da Mangiare Cappuccetto Rosso e il Lupo la focaccia_Silvia Tavella

La favola di Cappuccetto Rosso e il Lupo è una  storia che conosciamo bene. A tutti noi è stata raccontata almeno una volta e, prima di noi, a molti altri bambini da più di 500 anni. La prima versione scritta è di Charles Perrault che la incluse nel suo libro di racconti popolari datato 1697. Precedentemente infatti, sulle montagne tra Italia e Francia, esistevano diverse versioni di questa storia più o meno spaventose, tramandate semplicemente a voce. Dopo di lui invece, altri scrissero la storia di Cappuccetto Rosso e del lupo, modificando il finale e il contenuto, fino ad arrivare ai fratelli Grimm, nel 1812, e al lieto fine che tutti conosciamo.

Cappuccetto Rosso era una bella bambina che abitava con la mamma al limitare di un fitto bosco. Un giorno uscì di casa con un cesto di provviste da portare alla nonna malata e, nonostante le raccomandazioni della mamma, si inoltrò nel bosco senza paura. Strada facendo Cappuccetto incontrò un lupo nero che, dopo essersi fatto rivelare dove abitava la nonna, indicò alla bambina la strada sbagliata, così da farle perdere tempo. Lesto e veloce il lupo arrivò a casa della nonna e la inghiottì in un sol boccone. Poi si mise a letto, indossando la cuffia della nonna e i suoi occhiali, per ingannare Cappuccetto Rosso. Non appena la bambina entrò in casa, il lupo ingoiò anche lei, e poi si mise a letto per schiacciare un pisolino. Ma il cacciatore, che lo seguiva da un po’, spalancò la porta, aprì la pancia del lupo con il suo coltellaccio, salvando nonna e nipotina.

Io penso però che le cose non andarono proprio così: forse Cappuccetto, il lupo e la nonna, trovarono il modo di mettersi d’accordo davanti ad un buon piatto, senza bisogno del cacciatore e del suo coltellaccio. Ma, come sempre, le storie cominciano dall’inizio.

Cappuccetto Rosso_Silvia Tavella

La favola originale e il suo significato simbolico

Ho trovato molto interessante tutto quel che ho letto sulla storia di Cappuccetto Rosso e sul suo significato simbolico. Tutti sappiamo che le favole – storie semplici con pochi personaggi e una morale – si raccontano ai bambini per metterli in guardia da qualcosa, e per insegnare loro che la paura si può affrontare e sconfiggere. Non è indispensabile un lieto fine, e Cappuccetto Rosso per molti anni rimase con la nonna nelle viscere del lupo, senza che nessun cacciatore corresse a salvarle. Non solo, questo racconto, nella tradizione orale delle Alpi settentrionali, aveva diverse versioni, più cruente e torbide di quanto si possa immaginare. Quando Perrault scrisse Cappuccetto Rosso e il lupo decise di eliminare le note violente della storia, ma non il finale, dal momento che le strade erano pericolose e piene di malintenzionati. I bambini perciò dovevano imparare la morale della favola: mai fidarsi degli sconosciuti. Il cacciatore è un eroe dell’età vittoriana, e arriva con il suo lieto fine all’inizio dell’ottocento con la versione dei fratelli Grimm. Lo storytelling di questa favola insomma, come è giusto, si è evoluto e modificato in base alle mode, ai costumi e ai problemi dei tempi.

Oggi Cappuccetto Rosso racconta una nuova storia; o meglio, noi ne facciamo una lettura diversa, forse più profonda. Potremmo quindi immaginare Cappuccetto Rosso come una bimba che cresce e che, nel bosco intricato, tra paura e consapevolezza, trova se stessa e si scopre abbastanza forte da affrontare il lupo senza perdere la strada per diventare una donna. Lei esce di casa bambina, ma arriva dalla nonna cresciuta, e capace di scegliere la sua via, seppur diversa da quella indicata dalla mamma.

Insomma la faccenda è seria e anche io, che da sempre amo le favole e il cibo, ho provato a riscrivere la favola portandola in cucina, e fidandomi di alcune regole d’oro:

  • il profumo del cibo e la sua memoria, sono una spinta alle origini per ognuno di noi;
  • il desiderio di un cibo amato può far perdere la testa;
  • il cibo rappresenta spesso una soluzione pacifica dei conflitti: è un ponte;
  • chi passa per Genova una volta sola, non dimentica più la sua focaccia.

La favola di Cappuccetto Rosso, il lupo e la focaccia genovese

C’era una volta una bimbetta volitiva e coraggiosa. Fare di testa sua le piaceva moltissimo e non capiva perché dovesse sempre obbedire alla mamma. Cappuccetto e la mamma abitavano al limitar del bosco, e la loro unica parente in vita era la nonna, che abitava proprio dall’altra parte. La mamma di Cappuccetto, dunque, si ostinava testardamente a proibirle di passare attraverso il bosco e pretendeva che lei, per andare dalla nonna, prendesse la via lunga e percorresse a piedi, sotto il sole, tutta la strada che girava intorno al bosco. Per scorgerla da lontano, le aveva cucito una graziosa mantellina rossa con tanto di cappuccio, da cui derivava il suo nomignolo.

Quel lunedì la nonna aveva un gran raffreddore e la mamma sospettava che le sarebbe venuta la febbre, così le raccomandò di mettersi sotto le coperte e di non fare strapazzi. Poi disse: «Cappuccetto, ecco qui una striscia di focaccia 1. Ti preparo un paniere leggero con cui potrai andare dalla nonna senza stancarti. Sarà contenta di vederti!».

Cappuccetto rispose: «Certo mamma, vado volentieri, ma passerò per il bosco. Non so se hai sentito cosa dice il Colonnello Bernacca 2, ma questo luglio sembra essere il più caldo degli ultimi mille mila anni».

«Non se ne parla – disse la mamma – non farmi dire sempre la stessa cosa: farai il giro lungo e se hai caldo tirati su il cappuccio.»

Te lo scordi mamma, te lo scordi davvero e apri bene le orecchie “per sentirci meglio”: se vuoi che passi per la strada allora vacci tu, e basta con questa storia del lupo, tanto non ci credo!

Questo è quello che Cappuccetto pensò, ma non quello che disse. Era una brava bambina, e dare un dispiacere alla mamma dispiaceva tanto anche a lei. Di questa storia del lupo non ne poteva più: senza dire niente, appena la mamma perdeva di vista il rosso della sua mantellina, lei passava per il bosco. Tempo di percorrenza? Quindici minuti all’ombra, contro quarantacinque al sole sulla strada lunga. Ebbene “codesto lupo”, lei non lo aveva mai incontrato.

 

Resistere al profumo della focaccia genovese

Cappuccetto passò dal bosco anche quel giorno, con la focaccia ancora tiepida e profumata nel paniere che aveva sottobraccio.

Baciccia era un lupo solitario venuto dal mare. Era nato sul monte Fasce 3 ed era genovese fino al midollo: un tipo scontroso, un tipo vivi e lascia vivere, un tipo fatto a modo suo, sensibile e permaloso. Si era trasferito in quel bosco a causa di una delusione d’amore, e non era mai più tornato a casa. Vedeva sempre Cappuccetto andare e venire da casa della nonna, ma lui, mugugnone 4 e ruvido com’era, non si era mai sognato di uscire di casa anche solo per offrirle un bicchier d’acqua.

Quel lunedì, tuttavia, fu tutto diverso.

Belin 5 che profumo – pensò il lupo Baciccia – se non sapessi che è impossibile direi che è focaccia della mia.

Stava facendo colazione con un cappuccino fumante, e immaginò di avere tra le zampe una striscia di focaccia, tutta buchi, olio e sale. Ecco perché, proprio quel giorno, uscì di casa.

«Ciao piccoletta, dove vai?»

Cappuccetto non credeva ai suoi occhi: il lupo esisteva veramente e non sembrava affatto pericoloso.

Fatte le presentazioni, cominciarono a camminare insieme. Cappuccetto chiacchierava a più non posso ed era assai contenta di avere compagnia; raccontava al lupo, come fanno i bambini, quello che non avrebbe mai dovuto dire: il bosco, la mamma, la nonna e tutto il resto. Baciccia invece pensava solo alla focaccia.

«Cappuccetto carissima, ho una gran fame, mi daresti un pezzo di focaccia?»

«Oh, non posso caro lupo, mi dispiace, ma la nonna è raffreddata e la focaccia è per lei.»

Se è raffreddata non sentirà neanche il sapore e io muoio dalla voglia – pensò Baciccia – e spalancò la bocca.

«Che bocca grande che hai», disse Cappuccetto sgranando gli occhi.

«Scusa lo sbadiglio – rispose lui – ma ho un buco nello stomaco.»

Focaccia genovese fatta in casa - Silvia Tavella

Desiderare un cibo da morire!

Giunti al limitar del bosco, ecco comparire la casa della nonna. Sulla porta c’era un cartello che diceva: “Per il postino: lasci la posta fuori della porta, io non apro ai foresti 6. E niente pubblicità che poi devo buttare la carta”.

Baciccia ebbe un tuffo al cuore: la nonna era certamente genovese, forse sarebbe stata disposta a dividere la focaccia con lui!

TOC TOC

«Chi è?›»

«Sono io nonnina, Cappuccetto.»

«Entra pure bambina.»

Appena la nonna vide il lupo esclamò: «Ma cosa ci fa questo lupo spelacchiato a casa mia?». Non fu certo gentile, e scesa dal letto, senza ciabatte ma con la cuffia in testa, prese a rincorrere il povero Baciccia armata di scopa. Cappuccetto osservava la scena attonita, la bocca aperta come un merluzzo, il paniere sotto braccio.

E la nonna: «Che orecchie grandi che hai lupo! Ma sei sordo forse? Fa fito 7 e vattene, che c’è pure scritto fuori che non voglio foresti.».

«Signora nonnina no, son ligure anche mi e vorrei solo un pezzo di focaccia, non ne mangio da un secolo.»

Ma la nonna continuò a comportarsi come una pazza, inseguendo il povero lupo con la scopa in mano.

Baciccia era arrabbiatissimo: nessuno lo trattava così da quel giorno in cui la fidanzata lo aveva lasciato sulle pendici del Fasce. I brutti ricordi gli affollarono la mente e, improvvisamente, si ricordò di essere un lupo. Così spalancò le fauci ed inghiottì la nonna in un sol boccone.

Sulle prime Cappuccetto rosso non si rese conto di quel che era successo. La scena era stata concitata e velocissima e lei era solo una bambina confusa con in mano la focaccia. Però era anche un tipo volitivo e coraggioso, l’abbiamo detto. Guardò il lupo Baciccia seduto sul letto della nonna, mentre si leccava i baffi dopo aver mangiato la nonna e non la focaccia, e disse: «Baciccia, mi fidavo di te, pensavo che fossi un amico».

«E ti sbagliavi, bambina mia, non sono tuo amico, sono un lupo cattivo, possibile che nessuno ti avesse avvertito?»

«In effetti la mamma mi ha messo in guardia diverse volte. Ora, per favore, sputa subito la nonna!»

«Perché dovrei farlo? – chiese il lupo – Per farmi prendere di nuovo a scopate?»

 

Risolvere il conflitto… a tavola

«No no, dovresti farlo per la focaccia – disse Cappuccetto – La mia nonna non è mai così sgarbata, ma da quando è andata in pensione non è più lei. Lavorava in un forno a Genova, chiacchierava con tutti e sfornava la migliore focaccia del quartiere. Ormai però impasta solo il martedì, e l’unica che mangia la sua focaccia sono io. In più ogni settimana devo ascoltarla raccontare di Boccadasse, Apparizione e Sestri Ponente. Io quei posti non li ho mai visti, e non so cosa risponderle. Le servirebbe un amico che fosse goloso di focaccia e conoscesse i suoi posti del cuore. Se tu la sputassi subito, sarebbe come se non fosse successo niente».

Cappuccetto parlava e si faceva sempre più agitata, grosse lacrime le rigavano le guance, ma stava dritta davanti al lupo e lo guardava negli occhi.

«Che occhi grandi che hai, lupo.»

«Per guardarti meglio bambina mia. Mi fai tenerezza, perché ho un cuore gentile», disse, e risputò la nonna direttamente sul suo letto.

Cappuccetto porse a Baciccia la focaccia che aveva in mano e sussurrò un debole ringraziamento. Poi chiuse gli occhi e strinse le spalle, aspettando la reazione della nonna.

Ma quella, sistemandosi la cuffia disse: «Non mi ricordo esattamente: sono stata alle terme, e il bagno turco mi ha fatto bene. Ora sono un po’ umida, ma il raffreddore è passato. Quindi domani impasto, e se vuol venire, signor Lupo, le faccio assaggiare la focaccia genovese»

Cappuccetto e il lupo si guardarono increduli, la bimba si asciugò gli occhi e il naso in una manica e Baciccia rispose: «Grazie, verrò volentieri. Ma sa signora, io conosco la focaccia genovese, perché son nato ad Apparizione».

«Veramente? E perché mai sta nascosto in questo bosco?»

«Eh, una delusione d’amore.»

«Ma guarda? E vuscià 8 lo sa che la focaccia dopo cotta si scaravolta 9

«Davvero? Non lo sapevo, le va un sigaro signora? »

… Cappuccetto chiuse piano piano la porta, e si incamminò verso casa.

La focaccia Genovese nel forno di casa

Chi passa per Genova una volta sola, non dimentica più la sua focaccia.

Questo è il motivo per cui il lupo di questa storia, sensibile e goloso, non resistette al suo profumo.

La focaccia è la colazione del mattino, la merenda per la scuola dalle elementari al liceo, lo spuntino del pomeriggio, l’aperitivo la sera. Non perché a Genova siamo monotematici, perché la focaccia, è un cibo squisito e versatile, che si accompagna ai salumi, ai formaggi, al pesto genovese e, soprattutto, al caffè e al cappuccino.

I fornai cominciano presto la mattina, e aspettano le mamme e i bambini prima della scuola, abili equilibristi consegnano ai bar del quartiere cabaret di carta pieni di focaccia a listarelle, camminando a passo svelto senza togliersi il grembiule infarinato e, infine, accolgono massaie, turisti e pensionati.

Per questo, anche se il forno di casa non sarà mai come quello del panettiere, ho rubato qualche segreto qua e là e ho messo a punto una buona ricetta per preparare la focaccia genovese nel forno di casa, e so per certo che anche la nonna di Cappuccetto Rosso, nella sua casa al limitar del bosco, la prepara così.

Se vuoi imparare anche tu consulta la mia ricetta, e troverai i segreti della nonna, e le varianti più golose:

Focaccia genovese nel forno di casa

 

 

Note dell’autrice

1. La focaccia genovese è bassa, morbida sopra e croccante sotto. Ha delle caratteristiche fossette, piene di olio e sale, ed è squisita anche con il caffè o il cappuccino. Il lupo lo sapeva.

2. Il Colonnello Bernacca è un famosissimo e distinto colonnello che leggeva le previsioni del tempo in TV quando ero piccola.

3. Il Monte Fasce è un monte non troppo alto alle spalle di Genova. Il quartiere che si sviluppa alle sue pendici si chiama Apparizione, le case sono nel verde ma godono di una incantevole vista mare.

4. Mugugno: il mugugno è un’attività tipica dei genovesi, è un brontolio interno che a volte si esprime a parole, ma talvolta resta inespresso ed è un rumore di fondo. Uno stato d’animo insomma.

5. Belin è una intraducibile esclamazione dialettale. Avrebbe un significato letterale che mi sento di tralasciare, ma a Genova significa: accipicchia, caspita, davvero, te lo assicuro, ecc. ecc.

6. Foresti sono tutti coloro che NON sono di Genova.

7. Fa’ fito: fai presto in genovese.

8. Vuscià: lei in genovese.

9. Scaravoltare: capovolgere.

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